di Paolo Maninchedda
Alice nel paese delle meraviglie! Ho pensato a lei quando ho sentito Debora Serracchiani dichiarare ai microfoni dei Tg italiani che, udite udite, le regole del pareggio di bilancio varate dai parlamenti italiani negli ultimi cinque anni sono incompatibili con la politica degli investimenti.
E buongiorno!
Ma quando lo dicevamo noi che l’applicazione del Decreto Legislativo 118 del 2011 sarebbe stata un massacro per le politiche di investimento, tutti a dire che le regole per l’equilibrio di bilancio erano la panacea di tutti i mali. Come al solito l’Italia vive di moralismi: prima bisboccia e se ne fotte di tutto e di tutti, poi si pente e alza a tal punto l’asticella del dovere da indurre tutti a passarci sotto.
Ma la cosa più assurda è dichiarare queste cose e far finta di non sapere (non ce l’ho con la Serracchiani, ce l’ho col sistema politico italiano che è privo di senso morale, di serietà, di spirito di sacrificio) che il famoso 118 ha una chiara funzione: impedire l’uscita di denaro dalle casse dello Stato. Perché? Perché non c’è un soldo, questa è la verità.
Il decreto legislativo 118 è stato varato dal governo Berlusconi come foglia di fico sulla finanza dissestata della Repubblica italiana. Erano i mesi che precedevano il varodel Governo Monti; lo spread era l’incubo dei risparmiatori italiani. Ovviamente il campione dei gaudenti varò la norma, secondo i costumi italici, degna del migliore dei priori trappisti. Comuni e Regioni per realizzare un’opera pubblica o comunque un investimento in conto capitale da quel moneto in poi devono fare salti mortali.
Il governo Renzi poteva riformare tutto questo ma ha preferito gli 80 euro. Che volete che vi dica!
È in questo quadro che va letta anche la dichiarazione imbarazzata di Gentiloni sulle richieste di Paci dell’apertura di un tavolo Sardegna sugli accantonamenti. Il fatto che se ne parlerà già prima di Pasqua non depone a favore della resurrezione dell’onestà intellettuale dello Stato italiano.
La Sardegna ha ragione da vendere e lo sa benissimo.
Il furto di Stato sugli accantonamenti vale, dal 2012 al 2016 2 miliardi 644 milioni.
Noi del Partito dei Sardi abbiamo subito e non condiviso la politica della collaborazione (anziché della competizione) col Governo italiano. Non abbiamo apprezzato il ritiro dei ricorsi dinanzi alla Corte Costituzionale, ma abbiamo dovuto riconoscere il varo delle Norme di attuazione sull’articolo 8 dello Statuto che mancavano da quasi 70 anni.
Non abbiamo condiviso l’applicazione immediata e anticipata dell’equilibrio di Bilancio, ma abbiamo dovuto riconoscere che nel 2015 abbiamo pagato debiti pregressi in misura nettamente superiore a quella degli altri anni (in sostanza abbiamo quasi azzerato il ritardo di pagamenti accumulato negli anni del Patto di stabilità).
Oggi il vero bilancio della Regione è quello di cassa e se si andasse a vedere il Bilancio 2017 varato dalla Giunta si capirebbe che se solo pagassimo nell’anno il disavanzo finanziario della sanità dell’anno immediatamente precedente (non parliamo delle ‘code’ di quelli passati), non ci sarebbe bilancio.
Il sistema istituzionale sardo sta seduto su una bomba a orologeria che viene dai decenni passati e che sta alla Sardegna come il Vesuvio stava a Pompei.
Altro che Centrosinistra contro Centrodestra e/o Grillini: le divisioni dei sardi sono superfetazioni teatrali rispetto alla drammaticità della situazione, che non sono di parte, ma di sistema.
Francamente, dopo mesi dall’insediamento, mi aspettavo dall’eccellenza Moirano qualche proposta tempestiva e innovativa in più rispetto alla situazione difficilissima in cui versa la sanità sarda. Da alcune eccellenze sarde, non apprezzate a suo tempo, ho sentito invece proposte innovative e efficaci, ma questa è un’altra storia (e un’altra spina che ho nel piede e nel cuore).
Voglio dire che il furto di Stato degli accantonamenti e l’emorragia finanziaria della sanità sono minacce di Stato e di pessima abitudine sarda che incombono sul futuro della nostra Nazione.
Non abbiamo condiviso l’accettazione dell’ancellarità dei nostri aeroporti agli hub di Roma e Milano, ma abbiamo apprezzato il finanziamento sulla fiscalità generale italiana della continuità territoriale sarda.
Oggi apprezziamo che la nostra pazienza ha avuto ragione, da un lato, perché di fatto la posizione della Giunta verso il Governo italiano si è evoluta in una dimensione molto più competitiva di prima. Non solo: lo stesso Pd sardo, oggi a congresso, è di fronte al tema dell’esaurimento giuridico, culturale e politico dell’autonomia e lo sa e lo dice. Di fatto molti leader Pd sardi sono più su posizioni federaliste che autonomiste e questo già è un passo in avanti.
Dall’altro però siamo molto preoccupati della cura da cavallo di cui necessita rapidamente il sistema sardo se vuole ancora salvaguardare una politica dello sviluppo. Le divisioni su questo tema sono copioni da cabaret. Bisogna prendere in mano la parte più difficile del nostro percorso nazionale: bisogna chiudere con le abitudini del passato e incardinare un nuovo sistema morale, culturale e istituzionale che all’inizio costa fatica, sacrificio, disciplina ma che dopo produce sviluppo sostenibile, partecipato e ordinato.