di Paolo Maninchedda
Tutti abbiamo seguito la polemica scoppiata ieri sulle parole infelici del deputato Cinque Stelle Di Maio, il quale ha assimilato l’opportuno organizzarsi dei malati di tumore con l’attività di lobbing.
A me non interessa polemizzare con Di Maio. Richiamo l’accaduto solo perché mentre scoppiavano le polemiche, la memoria mi ha fatto rivedere tanti volti di persone che col tumore ci hanno combattuto e ci combattono. E tutte cercano aiuto, perché non si può reggere il confronto con questa malattia (e con altre) senza aiuti morali, psicologici e pratici.
Certo è che se ci si ammala si sperimenta in quale giungla si viene proiettati (altro che riforma della Sanità fatta con le tabelle excel). Può capitare di passare da un reparto di chirurgia efficiente, con personale educatissimo e sensibile, a un reparto di degenza in un altro ospedale, dove si va a a fare la terapia, dove si viene presi a pesci in faccia. L’educazione non è regolabile per legge.
Si può sperimentare l’errore seriale. Un mio caro amico è andato nell’ospedale di riferimento sardo per un banale neo maligno sulla cute del cranio. Viene operato, gli tolgono un po’ di pelle, ma dopo neanche due settimane risultava evidente che non gli avevano tolto tutta la parte affetta dal tumore ed è dovuto andare a Pavia o a Milano a farsi rioperare. Stesso discorso per almeno due signore che sono state colpite da tumore della mammella.
Poi c’è il problema dell’ammissione ai farmaci tumorali. Appena una persona ha bisogno di un farmaco fuori dal protocoloo inizia un inferno. Una mia cara amica è colpita da un tumore che è sensibile a un chemioterapico usato per un altro tipo di tumore. Un inferno, che si è concluso positivamente proprio per quell’attività di passaparola, di intervento pressante, di circolazione di informazioni che si realizza tra gli amici e i familiari dei malati.
L’ultimo caso è quello del signor Marcello, di Cagliari, ancora irrisolto. Nel 2009 gli viene diagnosticato un tumore; recidiva nel 2014. Dopo aver fatto tutte le linee di cura del protocollo terapeutico, mentre era in cura presso il Policlinico di Monserrato, ad aprile del 2016 è andato a consulto presso la ASL n. 8 di Arezzo da un rinomato professore. Emerge che è possibile utilizzare un’ultima linea di cura col farmaco Nivolumab. Il policlinico di Monserrato ha chiesto espressamente che il farmaco sia utilizzabile a carico del Servizio Sanitario Nazionale anche per i tumori renali. Oggi tale farmaco è utilizzabile solo per le patologie tumorali polmonari. Richiesta evidentemente respinta da qualcuno, per cui il Direttore Amminsitrativo del Policlinico informa Marcello che nel suo caso il farmaco Nivolumab Opdivo non poteva essere ordinato a carico del S.S.N. ma acquistato a suo carico. La scheda del farmaco indica che anche il carcinoma di Marcello è tra quelli trattabili con ottimi risultati certificati da vasta letteratura scientifica. Ma la cosa ancora più assurda è che Marcello ha anche metastasi polmonari però, siccome non sono derivanti dal tumore primario, non può ricevere il farmaco Nivolumab a carico della Asl. Dal 20 aprile Marcello è senza cura. Muovere tutti i santi del mondo non è sevito a trovare il percorso perché possa curarsi. Credo sia chiaro perché chi si ammala, si associa: il mondo della sanità è una giungla di difficoltà inestricabili da cui occorre difendersi in qualche modo.