Ad ascoltare il discorso di Zingaretti, aperto col ricordo accorato della proclamazione del Regno d’Italia il 17 marzo 1861, si ha la sensazione di una replica, di qualcosa di già visto.
Ad un’analisi più accurata si capisce il perché: Zingaretti parla di tutto fuorché dello Stato, cioè della forma del potere e dei poteri in Italia.
Invece parla del governo, cioè della funzione esercitata da chi conquista il diritto di usare i poteri dello Stato.
Questo è l’errore storico della Sinistra italiana, che essa condivide con la Destra, sin dal 1948, grande occasione sprecata post-bellica per rifondare lo Stato; il continuismo delle strutture fondamentali dello Stato, cioè della convivenza civile. Ciò lo porta a intuire la necessità per la sua parte di candidare, per esempio, Cacciari alle europee, per esempio, ma a non adottare la prospettiva federalista di Cacciari, che porterebbe a un cambio radicale della Costituzione italiana.
Da qui l’assenza di categorie di pensiero efficaci sulle grandi questioni della Repubblica italiana: la questione meridionale e la questione sarda. Queste due questioni non sono socio-economiche, non sono da iscrivere nella categoria del ritardo di sviluppo; sono invece questioni politiche, cioè di distribuzione del potere, e storiche, cioè di uso del potere da parte dell’area settentrionale del Paese politicamente egemone per rafforzarsi economicamente e subordinare socialmente le altre (anche il nuovo disegno ‘autonomistico’ di Veneto, Lombardia e Emilia va in questa direzione). Destra e Sinistra italiana condividono il consenso sulla struttura dello Stato, competono solo per guidarlo. Questo è il déjà vu di Zingaretti.