Ogni volta che si prova a organizzare un convegno sulla grave crisi dei servizi che si registra nel sistema sanitario sardo, oppure sullo spostamento di fatto del debito delle Asl sui fornitori (le fatture ormai vengono pagate oltre i sei mesi e già vi è chi, per esempio a Cagliari, ha fatto scrivere dai propri legali all’Azienda), si registra un grande imbarazzo da parte dei dipendenti delle Asl sarde a partecipare come relatori, che siano o no figure apicali. Motivo? Temono sanzioni o addirittura il licenziamento da parte dei Direttori generali delle Asl.
Il problema è reale e non riguarda solo le Asl, riguarda tutti i dipendenti pubblici e i dipendenti regionali, ma chissà perché nelle Asl è vissuto in modo più drammatico, forse perché più alto è il livello di tensione e di dissenso.
Da una piccola verifica risulta essere vero che con una certa frequenza il dipendente pubblico che espliciti posizioni critiche rispetto alla linea aziendale o a iniziative specifiche, viene raggiunto come minimo da una lettera nella quale lo si invita a fornire chiarimenti.
Il tema sta assumendo forme molto rilevanti rispetto ai diritti costituzionalmente garantiti, per cui è bene sgombrare il campo dagli equivoci, combattere le prepotenze in modo chiaro e aperto e restituire la dialettica democratica anche a chi, per paura, sta rinunciando a esercitarla. La piccola analisi che segue spero che serva a diradare dubbi, a inibire questo aleggiante clima repressivo che si sta respirando nelle pubbliche amministrazioni, a restituire dialettica e trasparenza negli ospedali, perché non è vero che non si possa criticare civilmente. L’unico giusto limite è la diffamazione e l’obbligo di non mentire.
Le norme di riferimento in questa materia sono alcuni articoli del DPR 16/04/2013 n.62 CODICE DI COMPORTAMENTO DEI DIPENDENTI PUBBLICI.
Vediamoli e commentiamoli uno per uno.
articolo 10
“Nei rapporti privati, comprese le relazioni extralavorative con pubblici ufficiali nell’esercizio delle loro funzioni, il dipendente non sfrutta, né menziona la posizione che ricopre nell’amministrazione per ottenere utilità che non gli spettino e non assume nessun altro comportamento che possa nuocere all’immagine dell’amministrazione.”
COMMENTO: La parte insidiosa è quella sottolineata. Che cosa nuocia all’immagine di un’azienda è cosa sufficientemente opinabile. Dinanzi a un grave disservizio dell’Azienda, noto e non riservato, il dipendente che ne parli in pubblico o con la stampa – vedremo poi il problema delle forme con cui si parla – lede o no l’immagine dell’azienda? Un dipendente dell’Ats può dire che l’Ats non è efficiente o che la gestione e l’organizzazione dei servizi è deficitaria? Un dipendente dell’Ats può affermare pubblicamente che Moirano non è all’altezza delle attese?
articolo 12 c.2
“Salvo il diritto di esprimere valutazioni e diffondere informazioni a tutela dei diritti sindacali, il dipendente si astiene da dichiarazioni pubbliche offensive nei confronti dell’amministrazione.”
COMMENTO: La norma è meno insidiosa della precedente. È evidente infatti che chiunque debba astenersi dal pronunciare frasi e/o opinioni che configurino la diffamazione.
articolo 13 c.9
“Il dirigente, nei limiti delle sue possibilità, evita che notizie non rispondenti al vero quanto all’organizzazione, all’attività e ai dipendenti pubblici possano diffondersi. Favorisce la diffusione della conoscenza di buone prassi e buoni esempi al fine di rafforzare il senso di fiducia nei confronti dell’amministrazione”
COMMENTO: L’impegno per la verità è un dovere sacrosanto, ma la verità non è sempre un dato evidente. Poniamo il caso delle liste di attesa. Vi è chi ne scorge le cause in un fenomeno e chi in un altro. Il dipendente impegnato politicamente e socialmente, può parlarne in pubblico?
articolo 2105 del c.c.
“Il prestatore di lavoro non deve trattare affari, per conto proprio o di terzi, in concorrenza con l’imprenditore, né divulgare notizie attinenti all’organizzazione e ai metodi di produzione dell’impresa, o farne uso in modo da poter recare ad essa pregiudizio.”
COMMENTO: Questa è una delle norme più insidiose, perché iscrive le forme organizzative dell’impresa pubblica nella sfera della riservatezza dell’impresa privata. In una visione restrittiva, anche l’organizzazione dei servizi pubblici più legati alla vigenza di diritti costituzionalmente garantiti rientrerebbe nell’obbligo di riservatezza.
Vediamo adesso la giurisprudenza. Vi è la sentenza 65 del 1970 della Corte Costituzionale individua i cosiddetti limiti esterni del diritto di critica nelle esigenze di altri diritti costituzionalmente garantiti, quali appunto la salute e l’iniziativa economica privata. Questa sentenza, però, va letta insieme alle altre, che invece hanno precisato i limiti interni del diritto di critica, individuandoli nella continenza sostanziale (occorre dire la verità) e nella continenza formale (occorre usare un linguaggio che non offenda la reputazione altrui). Infine, la norma del codice civile va letta soprattutto come divieto di nuocere all’esercizio della libera concorrenza da parte dell’azienda, nonché l’obbligo di riservatezza per non nuocerle sul mercato. Si veda questo articolo. Nel maggio 2017 la Corte di Cassazione si è infine pronunciata (Cass. sent. n. 27323/17 del 31.05.2017) su un licenziamento a danno di una persona che aveva criticato l’Azienda su Facebook, precisando che quando le critiche non configurano il reato di diffamazione, ogni sanzione è illegittima e il lavoratore deve essere reintegrato.