Abbiamo cercato di mantenerla come una riunione preparatoria, ma non appena sono partite le prime mail di conferma, la notizia è diventata di dominio pubblico.
Come molti ormai sanno, circa 200 amministratori locali della Sardegna, chi sindaco e chi consigliere, provenienti da 129 comuni dell’Isola, mi hanno chiesto di convocare una grande assemblea popolare sul modello di Ottana per discutere delle prossime elezioni sarde senza schemi preconcetti, liberi dagli estremismi e, appunto, dagli schematismi. Ovviamente, una volta che si riuniscono così tanti amministratori, verranno anche altri.
Che ci sia una gran voglia di parlare e di confrontarsi è un dato di fatto.
Che ci siano tante persone che sono infastidite dall’obbligo cui taluni vorrebbero assoggettare altri a ripetere sempre e solo le stesse cose, gli stessi slogan, le stesse parole d’ordine, è un altro dato di fatto.
Che a noi che vogliamo unire la Sardegna intorno ai suoi interessi, che vogliamo combattere contro un fisco maledettamente ingiusto che da due secoli priva la Sardegna di qualsiasi possibilità di sviluppo sostenibile e permanente, serva una grande bagno di umiltà, un grande esercizio democratico di costruzione dal basso di una possibilità di libertà non plasmata dalle frontiere politiche italiane, anche questo è un fatto chiarissimo.
Che i risparmiatori sardi abbiano una paura profonda di ciò che sta accadendo in Italia è un altro dato evidente.
Che ci siano molti piccoli imprenditori perseguitati e annientati da una persecuzione fiscale inumana e che attendono chi li organizzi per lottare per la giustizia e la dignità è un fatto sotto gli occhi di tutti.
Che in Sardegna siano in maggior numero coloro che non vogliono padroni né etichette è un fatto antropologico e storico.
Che i partiti vecchi e nuovi abbiano una certa difficoltà a praticare la democrazia, a percorrere i sentieri dei ragionamenti e non delle parole d’ordine, a rinunciare all’insulto e a costruire la prospettiva, è un altro dato di fatto.
Che in Sardegna si stia vivendo da un lato in preda al disorentamento e dall’altro si senta una gran voglia di partecipare e di candidarsi, è un fatto con cui bisogna confrontarsi.
Ci sono molti indipendenti che non vogliono né schierarsi sotto le bandiere inferocite degli schieramenti tradizionali, né necessariamente intrupparsi o divenire nostri militanti.
C’è una richiesta di uno spazio di libertà, di rispetto delle storie individuali, che sappia però alzare la bandiera della battaglia per la Sardegna.
Per cui, proprio perché si sta vivendo in un quadro di incertezza politica, noi dobbiamo creare le occasioni della democrazia senza egemonizzarle, come abbiamo fatto a Ottana. Dal basso, con qualche rischio, ma dal basso.
Resta da decidere il rapporto con i media.
Molti vorrebbero fare la riunione a porte chiuse per evitare l’effetto passerella. Altri, invece, vorrebbero proprio i megafoni per gridare più forte. Facciamo un giro rapido di consultazioni e decidiamo. Io sono indifferente: i media ci hanno messo il silenziatore, ma la rete è anarchica e fa sentire anche le nostre voci.
Una cosa è chiara: il 23 inizia un percorso che non sappiamo dove ci porterà. Quando si riunisce un numero così consistente di amministratori si sa come si inizia ma non si sa come si finisce. Ma se vogliamo costruire una nazione, non dobbiamo né prevaricare né temere il popolo e chi lo rappresenta. Buon lavoro a tutti e che Dio ce la mandi buona.