Da ieri sera monitoro ( si fa per dire, ho molte altre cose da fare) la gestione di una notizia importantissima.
La Guardia di Finanza ha scoperto che 526 lavoratori sardi, prevalentemente impiegati nella grande distribuzione, erano stati reclutati da cooperative, per lo più campane, con contratti farlocchi che mascheravano il nero e lo sfruttamento di queste persone. Oggi i giornali ne riferiscono in due articoletti non all’altezza della gravità dell’evento.
Perché non trovate una parola sui nomi e i cognomi degli imprenditori e delle aziende coinvolte? Perché le aziende pagano pubblicità sui media, ma da Cagliari a Villacidro tutti conoscono le imprese coinvolte, e quando dico tutti, dico tutti. Ma nessuno fa il nome. Perché?
Per lo stesso motivo per il quale nei giorni scorsi la richiesta di rinvio a giudizio per evasione fiscale della Marcegaglia non è stata pubblicata dai grandi quotidiani italiani, dal Corriere della Sera fino a Repubblica.
La prima questione è di merito. Per svilupparla fingo di rivolgermi al procuratore della Repubblica di Oristano, in partenza per Lecco, ma fino a settembre in servizio permanente effettivo in Sardegna, un uomo il cui nome è temuto da Sardara a Montresta, per non parlare di Macomer.
Il Procuratore sicuramente ricorderà la grancassa della Guardia di Finanza di Oristano sui lavoratori interinali assunti alla Asl di Oristano.
Ricorderà anche che vennero addiritttura sentiti sulla nomina dei Dg della Asl il Presidente della Regione e l’Assessore della Sanità.
Sicuramente non sa che mentre oggi si sa tutto dei lavoratori interinali assunti dalla Asl di Oristano a quei tempi, perché tutto avveniva alla luce del sole e per tabulas, non si sa nulla dei lavoratori interinali assunti dalle altre Asl nello stesso periodo, sui quali è scesa una spessissima coltre di fumo, non solo con i lavoratori interinali, ma con le cooperative, col metodo campano.
Ma soprattutto forse non sa che mentre zelanti ispettori del lavoro prendevano cantonate bestiali (secondo la Corte di Cassazione) sul perimetro legislativo utilizzato nell’indagine per inquadrare il lavoro interinale, spettabilissime cooperative venivano utilizzate nelle altre Asl e dai privati, nel distretto di Oristano e fuori, per fornire lavoro a imprese pubbliche e private.
La domanda è: perché un’azienda che ha bisogno di manodopera stagionale utilizza una cooperativa per assumerla? Semplice, perché risparmia.
Ma perché risparmia?
Perché la cooperativa tira il collo ai dipendenti.
Chi dovrebbe essere sentito dagli inquirenti?
Seguendo lo schema del ‘cerca il deluso’, ‘cerca la voce’ dell’inchiesta Ippocrate, dovrebbero essere ascoltati i tanti lavoratori passati in tante imprese – caso strano le più grandi utilizzatrici sono quella della grande distribuzione – e farsi raccontare da loro come si lavora e a quali condizioni con le celebri cooperative.
Ma soprattutto dovrebbero essere ascoltati loro, i ricchi avidi, quelli che licenziano i cinquantenni perché onerosi e assumono i ventenni perché contributati.
Bisognerebbe pubblicare i nomi dei ricchi avidi e sverniciare la parvenza di persone per bene cui tengono tanto, perché la credibilità ha un valore in banca e non si deve sapere che mentre si licenzia, ci si compra mega ville o mega barche per continuare a deturpare il buon gusto e il creato.
Invece, egregio procuratore, i papaveri sono sempre ben difesi.
Mai un imprenditore della grande distribuzione in procura; mai un grande marchio sotto la lente di ingrandimento; mai il nuovo schiavismo indagato con cura. Mai condotta su larga scala un’indagine sugli interinali e sulle cooperative in Sardegna.
E d’altra parte, la Procura di Oristano convocò mezza Giunta, inutilmente, sulla nomina dei Dg che avevano fatto funzionare la Asl di Oristano (con grande dispetto dei privati e della sanità cagliaritana che oggi, ipertrofica, ha il gozzo pieno di medici e primari e gli ospedali inefficienti per difetto di competenze, ma intanto Oristano tiene i traumatizzati in trazione in attesa che di grazia si aprano le sale operatorie), mentre oggi la stessa Procura non chiama nessuno dei politici che hanno sfasciato la sanità, non chiede conto della nomina dei commissari, delle ragioni che hanno indotto a una scelta piuttosto che a un’altra e che hanno determinato lo sfascio attuale. Allo stesso modo non convoca uno che si dica uno dei grandi nomi che oggi pretendono anche l’omaggio della riconoscenza per dare lavoro attraverso cooperative e mai direttamente, in ragione del risparmio e dell’efficienza ottenute con lo sfruttamento altrui.
Anche io non posso fare i nomi, ma non per paura, solo perché non ho una pletora di avvocati che mi difendano dall’aggressione che subirei se facessi i nomi.
I grandi giornali possono farlo.
Ma anche la Guardia di Finanza che quando arresta un sindaco o un semplice cittadino, a momenti pubblica anche le analisi del sangue che lo riguardano, dovrebbe considerare che sapere che finalmente l’impunità degli schiavisti è finita aiuterebbe a vivere, aiuterebbe chi è onesto a non sentirsi fesso e insegnerebbe che la ricchezza, quando è eccessiva, è sempre immancabilmente sporca.
Un tempo c’erano capitani d’impresa che credevano nel ruolo sociale delle aziende. Il profitto era visto anche in funzione di una quota di ridistribuzione di richezza verso il fattore umano, i lavoratori.
Oggi invece l’unico credo dei consigli di amministrazione è produrre lauti dividendi per gli azionisti. Un credo nato nella borsa di New York e diffusosi pandemicamente nel resto del mondo.
I fatti raccontati nella notizia sono la naturale conseguenza di un’economia che ha dimenticato da tempo il valore delle tre “e”. E i lavoratori sono le vittime.
No, Medardo, non è questione delle persone, è questione di aziende. I nomi delle persone si fanno sempre, sbagliando, quelle delle aziende dipende dalla loro forza. Sempre.
“S’andada ‘e su fumu”.
Semus “al top” (menzus puru in tempus de pandemia) de una civiltade mercenària (e de mercenari): totugantos merce, venduti/comprati, da vendere/comprare, merce ‘pregiata’ (ca ‘costat’ a sa frundhida), usa e getta, scadente e scaduta de séculos e de millénnios peus de sa petza pudéscia, sempre assatanados in númene e prommore su deus dinari (sempre fartzu che dinari malu).
Epuru tenimus totu pro èssere cristianos – cun totu sos pecos – e no animales chentza pecos (de sa zenia isciallos, leones) , zente, umanidade, in donzi furrungone de su pianeta e a donzi modu cun libbertade e responsabbilidade, cun sa cara a númene e sambenadu e fintzas cuados o mascarados che a chie tenet cosa de cuare.
Insomma …. Sbagliare una volta non autorizza a sbagliare sempre. I nomi degli indagati non bisogna pubblicarli mai. Essere esposti alla pubblica gogna è una barbarie, sempre! E questo vale per per tutti, belli e brutti. Lo imporrei per legge, punirei i giornali e i siti che lo fanno e consentirei solo la pubblicazione dei nomi dei condannati.
Concordo. Pubblicare non solo i nomi, impedire che lo sfruttamento continui, che molti si arricchiscano sulle paure e necessità di sopravvivere di altri.