C’è un problema nei giornali sardi, che si chiama rassegnazione al peggio, abitudine al non sapere, al non voler capire, al non essere più curiosi.
Ieri la Regione, solo perché costretta dalla protesta degli studenti (degli studenti, però, non dell’Ateneo, e questo la dice lunga sul clima dei rapproti istituzionali cagliaritani) ha nominato il consigliere di amministrazione, designato alla Presidenza dell’Ente, di propria competenza.
Un giornalista che abbia conservato la curiosità dei suoi esordi, non si sarebbe limitato a raccontare la svolta dell’ultimo momento, ma avrebbe indagato sul perché l’Ersu è stato così a lungo commissariato. Io non ho il tempo di farlo e certamente non è mio compito, ma come sono state raccontate a me alcune cose, sicuramente sono arrivate anche alle redazioni, che però oggi le tacciono.
Le cose stanno così. L’Ersu è rimasto bloccato per due ragioni: la prima è la realizzazione del Campus nelle ex semolerie Cellino, che meriterebbe un accesso civico a tutti i documenti, fatto tempestivamente e con i Carabinieri prima che casualmente le carte si incendino, e che vede, per il secondo lotto l’avvenuta presentazione di una proposta di project financing.
Il secondo è che a quella carica ambiva un alleato strettissimo di Solinas, un suo fidato consigliere, del quale io non ho voluto indagare il nome perché ieri non avevo tempo, ma che un giornalista o un consigliere regionale facilmente identificherebbero con tre telefonate. Questa designazione non ha avuto successo. Non ne conosco i motivi, ma solo perché non ho il tempo di dedicarmici. Per illuminare la vicenda Ersu bisogna avere la curiosità della verità, ciò che molti giornalisti hanno perso, piegati dalla derubricazione del loro mestiere da intellettuale della realtà a meccanico di impaginazione.
Poi c’è il pranzo di Sardara. Premesso che un’indagine giornalistica seria non è mai stata fatta, bisogna ricordarsi che non si è mai capito per chi fosse stato convocato questo simposio, perché è un po’ difficile che tante persone e tante cariche si fossero date appuntamneto per guardarsi in faccia tra loro. Mai si è indagato su coloro che dovevano giungere al pranzo e magicamente non sono giunti a destinazione. Ma tutto questo è uno scrupolo di un giornalismo politico di altri tempi, non di quello di oggi.
I giornali seri oggi avrebbero fatto i titoli contro la Procura di Cagliari, capace di alzare un polverone inutile, tutto orientato al palcoscenico, tutto volto a occupare la scena in un periodo non proprio brillante per se stessa, e invece titolano sui rinviati a giudizio (La Nuova no, titola sull’archiviazione di Casula secondo un perfetto e compassato rituale), tra cui tre poveri militari accusati di peculato per l’uso della macchina di servizio (ripeto, se lo stesso criterio fosse stato usato durante la Giunta di cui io stesso facevo parte, avrebbero dovuto incriminare tutti gli assessori che ogni giorno avevano la macchina di servizio sotto casa per essere accompagnati in ufficio, perché se è vero, come mi è stato spiegato, che esiste una norma che rende insindacabili le esigenze di spostamento per ragioni istituzionali di un assessore, ve n’è un’altra che dice che anche gli assessori, come tutti i cristiani, devono raggiungere gli uffici coi loro mezzi), nonché il povero Umberto Oppus e Gianni Corona, accusati di aver fornito l’alibi falso ai militari, roba da matti.
Viceversa, e qui sta il punto, è stata chiesta l’archiviazione per l’ex comandante del Corpo Forestale, nel frattempo stalinianamente processato da un severissimo Solinas, reintegrato dal giudice del lavoro ma confinato in area lagunare e sostituito con un generale della Guardia di Finanza (che non manca mai, a protezione dell’integrità ambientale e di tanto altro); per Giuliano Patteri, anche lui processato ma graziato, e per il mio amico Giorgio Sorrentino, ex manager della AOU di Cagliari, il quale, appena si vide affidato ai cani dilanianti dell’opinione pubblica, si dimise dall’incarico (e al policlinico universitario se ne sono accorti tutti che non c’è più lui) senza che alcuno respingesse quelle dimissioni, senza che alcuno si levasse a dire alla Regione e alla magistratura che ne abbiamo le orecchie piene dei massacri mediatico-giudiziari e delle inchieste da palcoscenico fatte sul nulla. Tutti zitti, tutti impauriti, tutti immemori del valore delle persone.
Oggi che i fatti confermano il vuoto pneumatico dell’inchiesta, anziché titolare sull’inchiesta flatulenta, si titola sui rinviati a giudizio.
In sardo c’è un’espressione per queste occasioni, ma non si può ripetere.
Forse il problema sta nel mezzo, in una sorta di legge di mercato: non si fanno indagini giornalistiche serie e disinteressate su certi argomenti, vedi pranzo di Sardara, perché la notizia è un prodotto da vendere e certi argomenti vendono poco.
Il giornalista medio è un produttore di beni di consumo dalla durata effimera, da consumare preferibilmente entro le 24 ore, adatti a una domanda che chiede e compra notizie poco impegnative. Vuoi mettere il divorzio di Totti e Hilary in confronto a una quarantina di colletti più o meno bianchi che sono stati beccati a fare un’adunata segreta in periodo di restrizioni? Ma perché il lettore medio deve spappolarsi il cervello per capire quali interessi occulti abbiano mosso quelle persone ad adunarsi quel giorno?
Anche il disinteresse e l’indifferenza dei cittadini consumatori del prodotto notizia andrebbero indagati e capiti.
In questo brodo di indifferenza e disinteresse il potere occulto e interessato ci sguazza benissimo, e questa, per me, è una tra le tante cause che stanno minando il funzionamento delle nostre povere e stanche democrazie.
Anche le indagini giudiziarie, probabilmente atti dovuti, che creano effimeri clamori iniziali ma scarsi risultati sull’accertamento dei fatti, specialmente se questi non hanno rilevanza penale, contribuiscono ad alimentare questo clima di disinteresse e indifferenza molto utile a quella parte di potere che agisce politicamente impunito in danno alla società.