di Paolo Maninchedda
C’è un brano un po’ trascurato di Passavamo sulla terra leggeri di Sergio Atzeni che invece ha un altissimo contenuto per la coscienza della civiltà dei sardi.
«I fenici sbarcarono a Ch’ia, sbocco di una valle fertile e con molte fonti, a meridione, fra i monti e il mare, alla foce di un torrente. Otto navi. Molti uomini, donne, cavalli. Spedirono ambasciatori. Capivamo la loro lingua. Era simile alla lingua degli uomini del mare. Chiedevano di potere costruire un porto per comprare e per vendere. Comprare formaggi, sale, carne salata di cervo e di pecora. Vendere gioielli, stoffe e spezie».
Notate la frase centrale: «Capivamo la loro lingua».
Chi ha coste, chi ha porti, chi ha solo mare intorno, vuole capire la lingua degli altri, vuole parlare e ascoltare, perché diversamente muore.
Noi siamo fortunatamente condannati a capire la lingua di tutti, perché siamo un isola e vogliamo commerciare, scambiare prodotti, conoscenze, ospitare, viaggiare, produrre ricchezza e farne produrre ai nostri amici.
Oggi che la nostra istruzione è maggiore e più diffusa che nel passato il problema non è la nostra chiusura ma la concreta opportunità dell’apertura, il diritto ad avere relazioni col mondo secondo i nostri codici.
Un sardo più di ogni altro è sempre impegnato in politica estera.
Ho un amico che non ha mai avuto una casa di proprietà, ma ha sempre avuto e voluto avere la barca e non per andare a calamari, ma per girare per porti, per isole, per Stati. Sarà un caso, ma quando gli è capitato di avere importanti incarichi internazionali, si è dimostrato molto più capace dei suoi colleghi nella difficile arte di capire gli interlocutori, le differenze, i contrasti.
Il coraggio dell’apertura, la libertà dell’avventura, cioè del rischio della libertà, è la cifra dell’educazione di un sardo. Domani vado a dire questo e altro a Oristano perché le elezioni amministrative non sono una questione locale, sono una questione educativa. Nelle elezioni amministrative si struttura la possibilità di mobilitarci come popolo, di aprirci come nazione, di governarci con competenza e giustizia.