È in discussione in Consiglio regionale la proposta di legge per il Comparto unico regionale. In sostanza, si tratta di una norma che adegua i contratti dei dipendenti dei Comuni (che sono dipendenti dello Stato) a quello dei dipendenti regionali.
Il ragionamento soggiacente non è peregrino e consiste nell’equiparare il compenso di chi svolge mansioni simili, se non uguali.
La motivazione della equiparazione, con costi enormi (che a me non paiono quelli indicati nella proposta di legge, valutati molto a spanne in 30 milioni di euro a regime) a carico della Regione, sta nella constatazione che i Comuni esercitano funzioni regionali delegate.
Il risultato, però, è che la Regione, se la legge fosse approvata, pagherebbe il personale dipendente dello Stato (i Comuni sono ancora direttamente Stato italiano) per svolgere sia le funzioni regionali che quelle statali. La stortura potrebbe essere corretta distinguendo il costo standard delle funzioni, parametrando il costo di quelle regionali e di quelle statali, e magari addivenendo all’auspicabile soluzione per la quale lo Stato continui a pagare le sue funzioni e la Regione le proprie. Non mi pare che questo percorso sia stato svolto: si ha fretta di andare dai dipendenti degli enti locali a esibire il contratto dei regionali e a chiedere loro il voto.
Tuttavia, la vicenda si presta a un ragionamento di natura politica, cioè di quella natura che sta latitando in questa legislatura.
Uno dei punti fermi della cultura autonomistica, strettamente coesa con il principio di sussidiarietà sancito dalla Costituzione, è che tutte le funzioni statali dovrebbero essere delegate alla Regione. Per esempio, non ha alcun senso che rimangano in capo ai prefetti alcune funzioni che essi esercitano; come pure, ed è questione drammatica in Sardegna, non ha senso che le Soprintendenze ai beni artistici e archeologici in Sardegna rispondano allo Stato e non alla Regione, come per esempio accade in Sicilia. Tuttavia, data la ben nota indifferenza dei Sardi alle questioni di principio e, invece, la loro straordinaria sensibilità per le questioni di natura pratica e economica, ormai lo Stato sa che con i Sardi si può parlare di denaro senza cedere un millimetro di potere.
Faccio degli esempi.
Qualcuno ricorda quando ci siamo fatti carico dei costi della continuità territoriale?
È sommamente ingiusto che i costi della continuità territoriale non gravino sulla fiscalità generale dello Stato italiano, perché è proprio lo Stato a dover soccorrere i cittadini svantaggiati dall’insularità; invece, come è noto, siamo noi sardi a pagarci il costo che ci deriva dal vivere in un’isola. E sia pure, si potrebbe dire, ma almeno acquisiamo il potere regolatorio sui trasporti che ci riguardano! Invece no: noi paghiamo e le regole le scrive lo Stato. Questo significa cedere sui costi e non guadagnare sui poteri.
Altro esempio.
La Sardegna si paga interamente i costi della sanità, eppure non ha lo straccio di un potere regolatorio sulla Sanità: il DM 70 incombe sulla nostra isola, sebbene sia una follia applicarlo nella regione, quale è la Sardegna, con l’indice di rugosità più alto d’Italia, cosa che, insieme alla bassa densità demografica, rende impossibile la realizzazione dei modelli funzionali e organizzativi previsti dal Decreto (è quello che non poteva capire la Dirindin e che è inarrivabile per Bertolazzi). Avremmo dovuto, a suo tempo, accettare di pagare il costo della sanità in cambio del potere di organizzarla in modo differente. Invece no: l’assenza di cultura politica che ci affligge da troppo tempo, ci ha portato (invero per un calcolo vantaggioso sul piano economico, cioè il calcolo delle compartecipazioni sull’IVA determinato su quella prodotta e non su quella riscossa, cosa che ha fatto lievitare, e di molto, il bilancio regionale; tuttavia, il denaro non è tutto, soprattutto quando una parte rilevante del governo della realtà passa per il potere regolatorio i servizi) a acquisire il costo e a non rivendicare il potere. I Trentini fanno da sempre esattamente il contrario, basta leggere le loro Norme di attuazione.
In sintesi, temo proprio che stiamo andando nella stessa direzione: ci prenderemo i costi della gestione dei Comuni senza acquisire alcun potere. Ci meritiamo il sussiegoso disprezzo che vedevo stampato, quando ero assessore, nel viso di tanti ministeriali. Io, quel sorriso, nel mio piccolo, sono riuscito a farlo morire e mi sono conquistato rispetto, ma una Regione non diventa Nazione solo con la coerenza o la cocciutaggine di un singolo: serve pensiero, servono partiti veri, serve altissima ambizione, tutte cose attualmente latitanti.
Io in questa mossa di autonomistico ci vedo poco o niente. Ci vedo un regalo ai sindacati, magari quelli che ogni tanto fanno finta di criticare, e ai dipendenti interessati. Slegata da un disegno generale ila stessa porterà solo spese, malumori dei dipendenti regionali e voti. Tanti voti in …(s) cambio
Trovo ottima la descrizione fatta dal signor Stefano Locci, l’argomento del comparto unico deve essere affrontato a più livelli e non solo dal loro punto di vista del consenso elettorale.
Egregio signor Pia, sono ben consapevole dell’esistenza del comparto unico anche in altre regioni, direi in molte altre, ma il mio ragionamento non è sindacale (remunerare allo stesso modo persone che fanno lo stesso lavoro) è istituzionale: posto che persone pagate dalla Regione andranno a svolgere anche funzioni statatali, perché non esigere che quelle funzioni siano interamnene delegate alla Regione? Il tema del costo – nuovo contratto con oneri aggiuntivi a carico della Regione e non dei Comuni – pone il problema del corripettivo aumento delle funzioni esercitate. La conseguenza pratica del comparto unico sarà un aumento dei costi di funzionamento a carico della Regione, con la conseguente necessità di trovare altre risorse per gli investimenti. Non tutto è sindacalese.
Il personale della Regione ed il personale degli enti locali sono nello stesso comparto nelle quindici regioni a statuto ordinario e nelle tre regioni a statuto speciale che hanno realizzato il comparto unico alla fine degli anni novanta. La Sardegna lo ha istituito nel 2006 e non vi ha dato mai attuazione, con la conseguenza che il nostro federalismo interno è stato realizzato scaricando competenze della Regione al sistema degli enti locali senza il personale per svolgerle. Ricordo la emblematica vicenda del Comune di Goni che a motivo del trasferimento di un funzionario comunale alla Regione ha visto la Sindaca e l’intero Consiglio Comunale dimettersi a causa dell’impossibilità di portare avanti i servizi essenziali. Egr. Professore pur apprezzando le Sue condivisibili riflessioni in merito alla necessità di rivendicare un’autonomia sostenibile non viene colto il dato normativo reale, infatti l’art. 12 comma 5 della L.R. 9/2006, prevede che lo Stato continui a garantire il medesimo trasferimento delle risorse nei bilanci degli enti locali della Sardegna. Peraltro il Comparto Unico costituisce l’esercizio di una competenza statutaria primaria della Regione Autonoma della Sardegna in materia di ordinamento degli enti locali che giustamente rivendica per riformare la pubblica amministrazione regionale e locale della nostra Isola secondo i principi di buon andamento e imparzialità ex art. 97 Cost.
Todos caballeros
A parte le differenti opinioni qui espresse, devo comunque complimentarmi per le argomentazioni formulate dalle varie “parti contrapposte”… Solo una osservazione o curiosità: sembra che in Friuli Venezia Giulia vi sia un unico comparto contrattuale che ricomprende i dipendenti del relativo Consiglio Regionale, della Regione, e dei Comuni localizzati nel correlato territorio Friulano. Dato che in Regione si stendono testi che sono progetti di legge, dato che si effettuano anche verifiche sulla legittimazione + rivestire la carica – di rappresentanti regionali nelle società ed enti dalla stessa controllate, come mai non si é proceduto alla equiparazione dei trattamenti economici dei dipendenti regionali a quelli del Consiglio ? E qs sono due attività di cui sono venuto a sapere da dipendenti di distinti assessorati regionali
Anche, se devo ammettere che, forse, le attività identiche tra uffici/dipendenti del Consiglio Regionale sardo e Regione Autonoma Sardegna potrebbero anche essere altre.
Egregio, ennesima boutade di questa maggioranza pentafarlocca. L’ipotesi del comparto unico regionale sta ormai per compiere i 20 anni di età (art.12 LR n.9 del 2006) senza aver prodotto praticamente nessun effetto.
In linea di principio trattasi di argomento fondato ma che si scontra da sempre con almeno 3 fattori: 1- può essere realizzato soltanto se includono TUTTI gli enti pubblici presenti nel territorio sardo. Quindi tutti gli EELL, la sanità che è SSR, scuole, enti strumentali (è di qualche settimana fa la notizia che l’Arpas passa sotto lo stesso contratto dei regionali) ed una sequela di piccoli enti di funzione pubblica (consorzi di bonifica, abbanoa) dai quali scaturirebbero ricorsi a manetta in caso di esclusione;
2- il costo dell’operazione sarebbe almeno il quintuplo di quanto da Lei richiamato (tralascio l’incazzatura che scaturirebbe di fronte ai 96 mln di euro di sbilancio che la fondazione Gimbe ha oggi rivelato esistere per le compensazioni sanitarie spese dai Sardi che sono costretti a curarsi sulla penisola);
3- l’armonizzazione che si renderebbe necessaria tra figure che non esistono nei quadri regionali (si pensi ai medici e infermieri per esempio) rendono l’argomento assai scivoloso.
Conclusione: trattasi di ennesima fuffa generata dalla convinzione che si possano usare risorse pubbliche per comprare consenso facile. Questi signori conoscono così poco il mondo che sono stati chiamati (!!!!) ad amministrare che pensano si risolva tutto con misure da superbonus 110% o RdC che neanche Achille Lauro. Deprimente. Saluti.
fanno la legge perchè nessuno vuole più lavorare nei piccoli Comuni e chi può va in Regione i Politici sia di destra che di sinistra dicono che cosi si combatte lo spopolamento sarà veramente cosi ?????
A più riprese e con governi di ogni colore ,si è avviata seppur in tempi diversi e con risultati quanto meno dubbii ,una semplificazione e riduzione della spesa corrente al fine di ridurre i deficit dei vari organi della pubblica amministrazione .Si sono pertanto tagliate spese in modo indiscriminato senza preoccuparsi dei servizi essenziali che molte di quelle spese coprivano . Si sono così bloccati i turnover e dato spazio a rivendicazioni di ogni sorta ,spesso corporative che reclamavano promozioni e riduzioni di orario di lavoro ; per sopperire ai ” maggiori impegni ” ; si è così arrivati a disarticolare la sanità ( concedendo ai medici la libera prifessione intra moenia ,a discapito del SSN ),negli Enti locali e’ inspiegabilmente lievitato il numero dei direttori generali,dei dirigenti e funzionari che hanno ben poco da dirigere e/organizzare ; sono scomparsi contemporaneamente tutti gli applicati e gli uscieri ( promossi a categorie meglio remunerate ),,che pur nella loro limitata sfera di azione davano segnali di presenza agli utenti ;prr quanto ovvio , la spesa non si è ridotta ,ma si sono alimentati gli appetiti .!!!! Se è vero e giusto che a parità di impiego sarebbe equo erogare una retribuzione simile ,forse bisognerebbe analizzare e confrontare contemporaneamente cosa comporta in prestazione la direzione,la dirigenza in regione e quella di pari grado e mansione in Comune !!!! Credo che ne verrebbero fuori frutti amari difficilmente digeribili .Verrebbero evidenziate , così ,tutte le consorterie ,tutti gli amichetismi ,tutti i voti di scambio che pesano sull’intera nazione e che tengono in catene ogni idea di sviluppo e progresso . Altro che adeguare i contratti a quello più oneroso : sarebbe solo un ulteriore peso sulle spalle di coloro che diligentemente o forzatamente pagano le tasse !!!
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Egregia Gp, osservazione esatta, certo, ma a me risulta che lo Stato trasferisca ai Comuni fondi per il loro funzionamento, perché essi sono articolazioni territoriali della Repubblica (art.114 della Costituzione) e, non a caso, il contratto degli addetti è il contratto nazionale degli enti locali. Altrettanto vero è che le funzioni esercitate dai Comuni sono o di derivazione statale (la gran parte, art. 118 della Costituzione) o della Regione. Il mio errore è stato nell’usare un espressione generica (dipendenti dello Stato) volendo intendere dipendenti della Repubblica. Chiedo venia. Per il resto, invece, non darei come virtuoso l’uso del fondo unico per pagare il personale. Mi pare un’aberrazione, certamente legittima, giacché la legge regionale trasferisce le risorse senza vincolo di finalità, ma altrettanto certamente contraria all’originario spirito della legge che intendeva far partecipare i Comuni alle compartecipazioni fiscali più in vista dello sviluppo, e degli investimenti, che della gestione e del funzionamento.
Già, serve pensiero, serve ambizione, serve coraggio!
L’articolo è viziato da un errore di fondo. I dipendenti comunali non sono dipendenti dello Stato, ma dei singoli comuni e hanno un contratto degli Enti locali e non ministeriale. Vengono pagati con le risorse dei comuni, e solo in minima parte dal contributo che viene dato dal fondo unico regionale. Il contratto però è nazionale ed è quello degli Enti locali.
Senza interessare mamma Regione, basterebbe che gli Enti locali approvassero per tutta Italia un contratto identico a quello della Regione, sicuramente più vantaggioso basti pensare alla quattordicesima mensilità che esiste solo in Regione . Il punto è che ci vorrebbero troppi soldi, sia per i Comuni, sia eventualmente per lo Stato o per le Regioni. La Regione, essendo a Statuto speciale potrebbe equiparare il contratto, ma servirebbero a regime molti molti più soldi e non credo che possa essere possibile.
A questo punto, perchè non equipararare tutti i contratti dei dipendenti pubblici (comunali, ras, sanità, ecc. ecc.) al contratto applicato ai dipendenti del Consiglio Regionale?
Buongiorno Professore, a mio avviso il problema sta a monte. La Sardegna è una regione a statuto speciale, ma lo statuto e le leggi che lo compongono, vengono interpretati a piacimento sia dal Governo che dalla Regione, soprattutto quando tra Regione e Governo non si ha la stessa rappresentanza politica.
…mio caro Paolo …il problema sta tutto in questa tua chiosa finale : …una Regione non diventa Nazione solo con la coerenza o la cocciutaggine di un singolo ( o di pochi visionari _ ndR ) : serve pensiero, servono partiti veri, serve altissima ambizione, tutte cose attualmente latitanti….”
NON È che in realtà fanno tutto ciò apposta perché NON SI DIVENTI NAZIONE ( Nazione eh , manco Repubblica Indipendente…. peraltro molti neanche capiscono la differenza …a Dx come a Sx … ma questo è un Altro Seminario )
Caro Paolo, il tema che poni è uno dei tanti che convergono sulla questione pluriennale e mai risolta delle norme di attuazione dello Statuto sardo. Norme negoziate con lo Stato da una commissione che ad ogni legislatura viene rinnovata e sistematicamente composta, da elementi evidentemente inadeguati al compito. Citi il caso del Trentino: farei un confronto (il più grezzo possibile, senza considerare il merito delle cose) del peso della carta prodotta da loro e quella prodotta dalla Sardegna. Ne scopriremmo delle belle. Scopriremmo per esempio che la questione delle energie da fonte rinnovabile non l’avremmo patita come la stiamo patendo oggi.
È incredibile come Grilloidi e Pidioti in un anno di legislatura non si siano occupati che di elargire stipendi a destra e a manca tralasciando le cose più importanti.
Nel frattempo la continuità territoriale resta un miraggio, la sanità è allo sbando (però vogliono sostituire i DG coi loro compagni di merende) e ci
stanno sommergendo di pale eoliche ignorando la Pratobello24.
Non capiscono che troverebbero molti più voti quando andremo a votare (in estate?), risolvendo i problemi anziché distribuire prebende.
e i dipendenti della Asl varie? Non è sempre similare il lavoro svolto dagli amministrativi? ma che differenza c’è? adeguano quello dei Comunali e alle ASL niente……
mah
Bravo Prof… intervento centratissimo…politico e sostanziale….vecchio .tema ma attualissimo, che nonostante la sua “cocciuttaggine” non entra nella testa dei piu’..gjusto quindi insistere e divsrsificare su questo argomento e su altri temi di una ” controinformazione” necessaria, direi indispenaabile, per quanto isolata, sottraendo il blog all immagine, aime’ diffusa, di monotona acredine “antiTodde””.
Si, è proprio così : oggi si impiega il denaro delle tasse per pensare di mantenere il proprio status di “rappresentante” a vita; è la realtà che spiega l’astensione.
Sembrerebbe qualunquistico ma , purtroppo, si vive in una situazione in cui non è possibile pensare a una idea riconducibile a una “grande politica”.
Perché? Due cose; una, evidente pressoché a tutti: una parte , consistente, che ha relazioni con il mondo amministrativo in modo diretto e anche no(pensiamo al cosmo delle Associazioni) che garantiscono la tenuta del sistema. L’altra, non meno deleteria, un sistema normativo che è all’origine di storture ancora più devastanti; pensiamo al riguardo al sistema di Contabilità Pubblica , concepito a partire da un unica e primaria esigenza che è quella di impedire di spendere le risorse e non il contrario.
Sassari, significativo esempio, come Comune ha una cassa di circa 170 milioni di euro con irrisoria possibilità di spesa e, parola andatevi a vedere il video di consiglio comunale, i nostri rappresentanti ne decantavano la VIRTÙ di siffatta situazione.
Non venivano minimamente attraversato dal sospetto che non impiegare risorse equivaleva a infliggere sofferenza alla città.
Ecco , parte minoritaria coinvolta e normativa, agenti di bassissima Politica.
Buongiorno Professore mi può ricordare quale giunta regionale decise di porre a carico della regione Sardegna le spese per la continuità territoriale? Grazie
… Concetti limpidi e inoppugnabili … purtroppo inarrivabili da chi è affetto da “glaucoma politico” ….
Condivido pienamente e aggiungo che la scelta di pagarci la sanità avvenne con Soru governatore se non sbaglio. Una scelta che si poteva anche condividere, se non fosse che esattamente come prima e da quel momento in poi come sempre, la sanità ha continuato ad essere un bancomat al servizio del malaffare, della corruzione e degli interessi dei politici stessi. Qualcosa che il commissariamento attuale, unica ragione di discussione partecipata da tutti, continua a dimostrare
Pàulu, iscusa, no sunt «le cose latitanti» ca custas “cosas” las zughimus fintzas de tropu tempus subra e a malistropiadura: latitanti sunt sos ‘polìtici’ di ogni risma e di ogni conio e mannària, politici chi cun àteras peràulas, ca sunt latitanti, si tiant pòdere menzus definire bandhidos, mancari onorevoli e pagados bene puru, fossis incantados a su dinari e a unu onore cagadu ma chentza idea e ne gana de nos guvernare, cun d-‘unu ideale de pedulianos, mendicanti, ispetendhe s’azudu chi nos impromitint totu sos ladros de Pisa (chi ant lassadu cussa fama) in d-un’Ísula rica de benes ma posta, leada e lassada a dispostitzione de chie ndhe cheret aprofitare e de totu sos isfrutamentos e isfrutadores e mancu nos abbizamus chi semus morindhe e isperdindhennoche!
Macos che cadhu!
Sos Vènetos (e sos àteros in s’ISTIVALE, e fintzas in sa “botza” Sicilia) sunt e si sentint in domos issoro e faghent che in domo issoro ca sunt in domo issoro: invetzes sos Sardos in domo nostra, che minchiones o innangarados, semus istranzos in terra nostra.
Si zughent coro e cherbedhu sos politici sardignolos (ca a birgonza pro nois etotu nos ruspimus a subra s’unu cun s’àteru e a nois etotu faghindhe fortza ‘paris’ a irbariamentu, totu a iscórriu pro fesserias de torracontu prus personale), tandho coro e cherbedhu ndhe zughent fintzas sos canes de isterzu.
Candho est chi l’amus a agabbare cun sa ‘politica’ de sa dipendhéntzia fintzas in su chi podimus fàghere nois etotu solu si aimus tentu carchi lisca de dignidade e de idea de èssere zente e de nos guvernare e no pedulianos e isfrutados puru, allenados a pessare male de nois etotu e creìndhennos civilizados puru!
Chiaro e illuminante.