di Paolo Maninchedda
Ieri il Quotidiano Unico (Repubblica, il Corriere e La Stampa) ha tentato, ignorando milioni di persone che ormai ‘masticano’ se proprio non ‘parlano’ l’inglese, di manipolare per l’ennesima volta gli elettori in vista del referendum.
Il Financial Time, celeberrimo giornale finanziario inglese, noto anche a chi non lo legge per una mirabile barzelletta sull’analfabetismo dei nonni di un tempo e sull’avverbio ‘evidentemente’, ha pubblicato un articolo di Wolfang Münchau intitolato: “Italy’s referendum holds the key to the future of the euro”, e cioè: “Il referendum italiano ha la chiave del futuro dell’euro”.
Titolo pauroso del Corriere: Allarme del Financial Times sul referendum: il «No» potrebbe accelerare l’ uscita dell’Italia dall’euro. Vediamo Repubblica: Referendum, sul Financial Times: “Italia fuori dall’euro se vince il No. Ma gli osservatori economici sono divisi”. Infine La Stampa: Referendum, Financial Times e Wall Street Journal: “Se vince il no l’Italia fuori dall’euro”.
Cosa c’è scritto davvero nell’articolo di Wolfang Münchau? Intanto Münchau ha scritto un articolo confuso, ma gli italiani sono talmente succubi dell’egemonia culturale inglese che non sanno distinguere un buon articolo da un articolo pasticciato. Bisogna spiegare all’italiano medio provincial-esterofilo che non basta che un articolo sia scritto in inglese perché sia un buon articolo. Infatti da un lato Münchau scrive:
«Se Matteo Renzi, primo ministro italiano, perde il suo referendum costituzionale il 4 dicembre, mi aspetterei una sequenza di eventi che potrebbero sollevare questioni di partecipazione dell’Italia nella zona euro».
Dall’altra scrive:
«Le cause alla base di questa possibilità estremamente preoccupante non hanno nulla a che fare con il referendum stesso».
Eccoci qua, il buon Wolfang inconsapevolmente ammette in apertura di trovarsi a svolgere il suo ragionamento nei termini posti da Renzi, non nei termini reali. In sostanza, il primo ministro italiano ha trasformato il voto sul referendum in un voto di fiducia sulle sue politiche che poco hanno a che fare col referendum, ma Münchau anziché chiedersi perché lo ha fatto, sta nell’antica contraddizione irrisolvibile tra verità e propaganda.
Cosa c’entra il referendum con l’euro? Niente, e infatti Münchau scrive:
«Le cause alla base di questa possibilità estremamente preoccupante non hanno nulla a che fare con il referendum stesso. La più importante è stata la performance economica dell’Italia dal momento dell’adozione dell’euro nel 1999. La produttività, la produzione non generata da lavoro e capitale, è diminuita in Italia di circa il 5 per cento da allora mentre in Germania e in Francia è salita di circa il 10 per cento. La seconda causa è stata il fallimento da parte dell’UE nella costruzione di una vera e propria unione economica e bancaria dopo la crisi della zona euro 2010-2012, a favore invece dell’austerità. Se si vuole sapere perché Angela Merkel non può essere il leader del mondo libero, non serve andare oltre: il cancelliere tedesco non è riuscita a guidare l’Europa quando aveva il potere di farlo».
A valle di queste affermazioni, che sono sostanza e esprimono un severo attacco alla Merkel, il resto del ragionamento è frutto dello schematismo geometrico inglese, ben noto agli scrittori britannici che ci hanno scritto sopra tante pagine satiriche. In sostanza il buon Wolfang scrive che se Renzi perde, vincono le opposizioni (Forza Italia, Movimento Cinque Stelle e Lega) accomunate dall’antieuropeismo e dall’ostilità all’Euro. Ma come, Münchau non si è accorto che proprio nelle ultime settimane Renzi sta facendo l’antieuropeista? Non si è accorto che in Italia la cosa più probabile che possa accadere è l’accordo Renzi-Forza Italia, posto che Confalonieri, custode delle aziende di Berlusconi, è chiaramente orientato, come tutte le televisioni del cavaliere, per il Sì? No, non se n’è accorto, ma non appena il Financial Times emette un piccolo peto di confusa preoccupazione, ecco che i corifei della paura, i Mangiamorte della ragione, ripetono con la bocca ciò che altri fanno con parti meno addestrate del nostro fragile corpo umano.