Vorrei raccontare quanto segue al mio Rettore, cui voglio bene, perché ciò che sto per dire riguarda molto l’Università di Cagliari. Alcuni potrebbero dire: «Incontratevi e parlate e non state a scassare i cabasisi a noi!».
Vero.
Purtroppo, però, l’università non è più quella di un tempo, quando si era pagati (dalle rette degli studenti) per pensare, educare e fare ricerca. No, oggi l’università è una factory, con indici di produzione, controlli di gestione, valutazioni e competizione darwinista per reperire le risorse e competizione edonista per il numero di progettini di ricerca che si riesce a mettere su. Quando si compete con Toyota e Ford nella produzione, non c’è tempo per parlare. Per cui, è meglio scrivere di primo mattino.
Il fatto è che noi universitari abbiamo eletto il nostro rappresentante nel Consiglio di amministrazione dell’Ersu circa due anni fa. Come è noto, il Consiglio non si è mai insediato per difetto di nomina degli altri componenti da parte degli organi della Regione, tra cui il Consiglio regionale, nel quale siede un presidente – a congiuntivo incerto – che non ha esitato a usare i poteri sostitutivi per nominare la terna dei rappresentanti della Regione nel Consiglio di indirizzo della Fondazione di Sardegna, ma si è guardato bene dall’usarli per nominare il Collegio sindacale dell’Ersu.
Se ne può arguire che c’è nel sistema politico sardo, o meglio, nel mondo cagliaritano, una certa tendenza a prolungare la vita del Commissario (che mi pare percepisca emolumenti pur essendo pensionato) e a non fare insediare il Consiglio di Amministrazione.
E dunque si pone un serio problema cui agganciare un bel progetto di ricerca universitario, uno del tipo da borsine di studio da 800 euro. Il titolo potrebbe essere: Fenomenologia della presa per il culo. Nuovi dati statistici
Posto che i filologi tendenzialmente insegnano a non farsi prendere per il naso da falsari, manipolatori, sofisti, imperatori, prepotenti, populisti, fascisti in erba e stalinisti redivivi ecc. ecc., sono andato a verificare perché non si vorrebbe vedere insediato questo benedetto Consiglio di amministrazione e mi sono imbattuto nella notizia, mi pare nota, ma non del tutto compresa, del deposito presso il protocollo dell’Ersu di Cagliari, di una proposta di finanza di progetto per il secondo lotto del Campus presentata dalla Ditta Pellegrini e dalla Camplus International Srl (una società partecipata dalla Cassa Depositi e Prestiti, specializzata in realizzazione e gestione di residenze universitarie).
Quindi, in buona sostanza, la Pellegrini Spa propone all’Ersu di costruire il Campus universitario con proprie risorse assumendone in cambio la gestione, cosa ampliamente prevista e normata dal codice degli appalti.
Una decisione del genere è meglio che la assuma un Consiglio di amministrazione con rappresentanti dell’università e degli studenti o un organo monocratico? Datevi la risposta.
Dopo esservela data, cominciate a riflettere sul fatto che il patron della Pellegrini, l’ing. De Pascale, è anche il leader di Confindustria e il Presidente della Camera di Commercio di Cagliari, e, di conseguenza, il principale player dell’Aeroporto di Cagliari.
Quando mi occupavo di rischio idrogeologico da assessore regionale, mi accadde di notare che ogni volta che andavo verso nord-est per cercare luoghi dove realizzare vasche di compensazione per le acque che rischiano di soverchiare Monserrato, Pirri, Quartucciu e Quartu, trovavo terreni della famiglia Floris; ogni volta che andavo verso ovest e verso Elmas, trovavo una galassia di soggetti tra cui i Cellino e, almeno in un’occasione, De Pascale. Ho sempre avuto un dubbio sugli interessi di Dart Fener, ma mai un oggettivo riscontro. Resta un fatto: la ricchezza è potere e il potere, a casa mia, diventa uno strumento di sviluppo se regolato dalle norme e vigilato dall’informazione.
Qui ritorno al mio Rettore.
O l’Università batte un colpo sulle scelte che riguardano la domanda abitativa da essa generata, o le subisce. E deve farlo anche in fretta, perché i costruttori hanno imparato a ‘proteggere’ i loro piani anche con un’intensa attività di persuasione dell’opinione pubblica. Ormai, i costruttori che investono in editoria sanno di perdere delle risorse (e infatti De Pascale si è ‘docilmente’ fatto fregare dalla proposta di ingresso nel capitale della Nuova Sardegna, il giornale che proprio nei giorni scorsi ha decimato il numero dei suoi collaboratori e ha visto, dopo tanti anni, un’assemblea dei giornalisti – nascosta da tutti i media – deliberare un piano di agitazioni di cui nessuno ha dato notizia tale e tanta è la paura di disturbare il manovratore), ma lo considerano un costo sopportabile in vista del conseguimento del consenso sociale sulle proprie iniziative.
Come difendersi dalla scoperta degli alligatori agnellati?
L’unico modo è accendere la luce, pretendere legalità (e mi pare che il Palazzo di Giustizia di Cagliari sia in parte meno politicizzato di un tempo, quando su Elmas e ex Semolerie si usavano pesi e misure diverse che su Tuvixeddu, come ci ha ricordato ieri Franco Sardi; dico in parte, perché mi pare che la parte destrorsa del Palazzo sia formidabilmente, silenziosamente e protettivamente attiva) e discutere, pretendere di discutere e di decidere collegialmente. Non si deve fare come si è fatto con il DG dell’azienda mista: oggi l’AOU di Cagliari è in una fase drammatica, proprio perché non ci si è impuntati a voler concorrere alla scelta dell’apicale anziché subirla.
Sull’Ersu, Magnifico, bisogna accendere la luce.
Caro Paolo, neocapitalismo, neoliberismo, neoimperialismo, globalizzazione (cioè corrosione del tessuto sociale alla base), postcolonialismo ecc. Aggiungerei neofordismo, perché è quello che è stato imposto in maniera soft all’università, assieme allo slittamento non contrastato, lento ma efficace, verso la privatizzazione. Tutti questi neo- indicano in maniera approssimativa dei concetti nuovi, ai quali dovrebbero corrispondere parole nuove, perché la realtà alla quale si riferiscono è qualitativamente diversa dalla precedente, non è NEO. Che vanno di pari passo, per quel che ho potuto sperimentare proprio all’università, a partire dalla fine degli anni ‘90 (decennio cruciale in Europa) con la trasformazione della gestione democratica sostanziale in una formale e verticistica. Dove chi sta ai vertici non necessariamente e’ una mente illuminata o competente. Questo parlando in generale. A Bucarest ci hanno fatto studiare per un anno economia politica, pur essendo io in una facoltà di lingue. Due volumi , densi , come manuali. A qualcosa mi sarà servito.
Continuando così, alla luce delle pietose statistiche demografiche dell’isola, del fatto che tanti studenti sardi scelgono altri atenei nazionali – alla faccia dell’insularitá – e della quasi assente presenza di studenti provenienti da altre regioni, si rischia solo di costruire cattedrali nel deserto, che arrichiranno pochi e saranno totalmente inutili per molti.
Capito poco. Solo che c’ è molto da ricostruire. Diversamente. C’ è da rifiutare l’ amministrazione dell’istruzione come azienda. C’ è da assicurare pari opportunità. Da dare occasioni di formazione a studenti volenterosi e disposti a spendere il proprio tempo a servizio loro e degli altri. Perché la distruzione della scuola e dell’università ha significato non avere figure in grado di trovare soluzioni alle tante questioni poste dal presente.
Approfitto impunemente dell’articolo di oggi che ho letto molto volentieri ma senza conoscenza del mondo Cagliaritano, per estrapolare questa frase: “Purtroppo, però, l’università non è più quella di un tempo, quando si era pagati (dalle rette degli studenti) per pensare, educare e fare ricerca. No, oggi l’università è una factory, con indici di produzione, controlli di gestione, valutazioni e competizione darwinista per reperire le risorse e competizione edonista per il numero di progettini di ricerca che si riesce a mettere su”.
È Mia na riflessione sintetica su cui mi trovo molto d’accordo (anche se immagino che dovremmo fissare quel “tempo” universitario a cui ci richiamiamo sia io che P.M.), almeno per quel che vedo qui da noi.
Se l’università è una factory, si tratta di una multifactory. Fortunatamente ci sono ancora alcuni individui che continuano a fare ricerca vera e didattica seria. Ma questo non è sufficiente a scongiurare la mia amarissima e sconfortante (in quanto inutile) ennesima critica.
Peraltro della sua drammatica decadenza si accenna spesso, da più parti, talora per fortuna anche dal di dentro ma non si tratta mai minuziosamente arrivando ai numerosi e intricati nodi del pettine. Di solito si oreferisce strombazzare numeri, statistiche e successi (“i benefici”), senza tuttavia mai guardare alle innumerevoli e desolanti B sides (” i costi”).
In più aggiungo, a titolo meramente personale, che da tempo, come professionista libero, vado stigmatizzando, non rassegnato ma impotente, lo spregiuducato quanto imbarazzante ricorso al “baratto” della pseudoricerca (vedi “progettini” di cui all’articolo) attuato da certi dipartimenti, tramite gli “Accordi di Collaborazione” con amministrazioni pubbliche bisognose di prestazioni sostanzialmente professionali.
Tutto terreno fertile per l’esaltazione autoreferenziale degli uni e delle altre.
Formidabile, tuttavia penso che il Magnifico non riterrà di accendere alcunché.
E se non lo farà a fronte di tanta ricostruzione, Quando? In denegata ipotesi sarà un piacere continuare a seguirne gli sviluppi