Fatta una rapida indagine di mercato tra le offerte che molti albergatori stanno facendo agli stagionali sardi del turismo, il contratto più vantaggioso sarebbe questo: mille euro mese, vitto e alloggio, nessun limite di orario e, ovviamente, nessuna protesta. Dico che è il più vantaggioso, perché la gran parte è sotto i mille euro.
Si pongono due questioni.
La prima: i contratti da schiavi nascono ovviamente dalla fame, quindi dall’eccesso di domanda di lavoro rispetto all’offerta, per cui chi prova a protestare è prontamente sostituito da chi è disposto a tutto pur di guadagnare qualcosa.
Non più tardi di ieri, il figlio di un mio amico che ha provato a far notare a un volgarissimo albergatore sardo che le ore di straordinario dovrebbero essere pagate, si è sentito rispondere che i rumeni non se le fanno pagare.
In una situazione siffatta, gli Ispettorati del lavoro che in più di un processo non hanno brillato per precisione dei perimetri normativi con cui hanno condotto le loro indagini rispetto a tante imprese, dovrebbero occuparsi di questi imprenditori che se ne strafottono della libertà e dei diritti, ma accade anche che spesso questi nuovi schiavisti siano anche i nuovi prinzipales dei paesi ed è difficile che trovino l’eroe, dipendente dello Stato italiano, Ispettore del lavoro con famiglia, che li metta spalle al muro e faccia pagare loro il dovuto. Più facile che piazzi anche lui i suoi figli alle dipendenze dell’albergatore prinzipale. Anche perché, sia detto con chiarezza, dopo il jobs act le udienze di fronte ai giudici del lavoro non sono più udienze guidate dal dirittto, ma da uno spirito di mediazione che porta subito a determinare il quantum perché un’azienda possa togliersi di torno il dipendente ritenuto fastidioso.
Impossibile chiedere a persone normali, che non vogliano divenire banditi, di opporsi ai nuovi Castelvì, Alagon, Carroç, Centelles ecc. Serve un’organizzazione per combattere.
La seconda questione è politica.
I nuovi feudatari si presentano bene, fanno donazioni, sono gentilissimi e cordialissimi, nascondono nella stiva gli schiavi, vedono in Briatore e simili il loro modello, scimmiottano dai giornali il lessico economico dell’efficienza e della competitività, e in ultima analisi dicono che ormai il prezzo del prodotto lo fa il mercato e il valore del lavoro lo fanno i paesi del terzo mondo: se vogliamo essere competitivi, come dicono loro, dobbiamo accettare l’allineamento salariale al salario definito dal mercato, non dai livelli di civiltà raggiunti.
A questi pezzi di mollica (vale solo la consonante iniziale, la ‘m’, per evocare l’immagine vera) non risponde nessuno.
Sintomatico che in Italia si parli molto delle discriminazioni sessuali, cioè di un tema che interessa molto i costumi dei ceti medio alti, ma si taccia sulla grande questione della povertà e della subordinazione.
È sintomatico che anche la Chiesa (attentissima in Sardegna a non parlare dei temi più drammatici, ad evitare ogni questione che drammaticamente la metta di fronte alla verità della sua imbarazzante pavidità) sulla questione dei ricchi che rendono schiavi i poveri, con i ricchi che hanno nomi e cognomi che nessuno pronuncia (ce n’è uno un po’ anziano dell’hinterland di Cagliari che ha preso una legnata niente male dalla Guardia di Finanza e i giornali non riescono neanche a dirne il nome), sui ricchi che hanno condotte di vita all’insegna dei macchinoni, dei barconi, dei villoni e che hanno tutti i cognomi e lo spirito in -oni, su questa ostentazione di dominio e di potere è sintomatico che la Chiesa taccia: zente cun zente e fae cun lardu.
Cosa rimane da fare?
In primo luogo dire ciò che fa chiarezza: voi, ricchi e schiavisti, da una parte; noi , dall’altra.
Bisogna ripristinare una sana competizione politica dove tutte le vacche non siano grige.
Chi fa un certo mestiere sta da una parte, noi dall’altra.
Chi usa le cooperative per assumere e licenziare; chi fa fare più ore del dovuto; chi applica i peggiori contratti (comprese le pubbliche amministrazioni) a parità di prestazioni; chi licenzia i cinquantenni per poi assumere giovani incentivati e lascia i cinquantenni a fare l’elemosina; chi assume e non paga gli stipendi finché non pagano le pubbliche amministrazioni e così fa fare al dipendente quello che lui dovrebbe fare con le banche; chi strizza i dipendenti e poi butta venimila euro per andare in aereo a trovare un amico, fare una serata in spiaggia e rientrare più o meno in giornata; chi compra i titoli di studio per i propri figli perché incapaci di raggiungere anche il solo diploma di scuola media, anziché pagare per insegnare loro la disciplina mentale e fisica che la scuola richiede; chi licenzia i propri commerciali assunti a tempo indeterminato e poi propone loro di riassumerli a tempo determinato e per la sola durata della stagione, ovviamente attraverso una propria società (questo succede già da qualche anno).
Tutti questi, da una parte.
Noi, con chiarezza, dall’altra, fino a marcare anche la distanza sociale, fino a rifiutare il contatto con loro, fino a non andare a comprare nei loro market, fino a non comprare i loro prodotti, fino a non frequentare i loro alberghi, fino a denunciare i loro monopoli.
La risposta politica alla volgarità dei nuovi prinzipales (la cui vanagloria trova un contrappunto nell’ironia livellatrice del camposanto) che non producono ricchezza – attività nobilissima – ma sfruttano il prossimo per aumentare la propria ricchezza – che è cosa diversa e ignobile – deve essere dichiarato avversario politico.
Deve finire il bon ton dell’interclassismo.
Se è vero che le classi sociali non esistono più;
se è vero che la lotta di classe di Marx fu e sarà sempre una grande fregatura, è vero anche che le persone hanno spesso, sul terreno della giustizia sociale, interessi contrastanti, alcuni legittimi, altri ignobili.
Bene, questo contrasto deve riprendere ad avere interpretazione politica, non per la rivoluzione, ma per la dignità e per la libertà. Ogni volta che sento una persona dire a un’altra che gli sta facendo un favore perché gli dà da lavorare mi incazzo come una bestia. Chi lavora per un altro, lavora per la ricchezza dell’altro. Non di favori si tratta, ma di funzioni diverse, con pari dignità.
Si deve riprendere a dire: “Voi da un parte, noi dall’altra”. Bisogna restituire alla politica il suo fondamneto sociale e sottrarla al marketing.
Non che nel settore pubblico sia molto diverso.
Laurea, Master, esperienza pluriennale anche di alto livello, selezioni, ecc. pagate 1.300-1.400 euro per un profilo che è uno dei più ambiti in Italia, come dimostrano i numeri sulle partecipazioni ai Concorsi. 1400 euro per trasferirsi in Calabria, lasciando un figlio e le spese in Sardegna e facendosi prestare i soldi per gestire le perdite. Sapete quante volte ho pensato di andare a fare il receptionist con vitto e alloggio? Sempre! Però pare che non vogliano profili senior e troppo formati.
Tristissimo ed efficace…
“fino a marcare anche la distanza sociale, fino a rifiutare il contatto con loro, fino a non andare a comprare nei loro market, fino a non comprare i loro prodotti, fino a non frequentare i loro alberghi, fino a denunciare i loro monopoli”
sacrosanto
spargiamo la voce e diffondiamo i nomi
Grazie, grazie e ancora grazie per accendere un po’ di luce sul buio di questo ignobile sfruttamento del bisogno…..
Niente di più vero! Settore completamente allo sbando, senza controlli, tutele e assistenza da parte di sindacati, una poltiglia di schifosi, tante strette di mano, cene pagate e ville al mare. Un vero schifo!
In questo ennesimo articolo, pieno di tanti ottimi spunti per riflettere, mi ha fatto rabbrividire la frase sul pagamento degli strardinari in cui un ragazzo “si è sentito rispondere che i rumeni non se le fanno pagare”.
Perché mi fa rabbrividire? Perché credo che frasi del genere, pronunciate a chi sta cercando un posto di lavoro per necessità, se non ben digerite, avvicinino i poveri alle destre, che predicano continuamente la paura contro gli immigrati per assicurarsi il voto di tanti, sempre più poveri, ma con l’intento naturale di fare l’interesse di pochi, sempre più ricchi.
Il tutto condito dai partiti di centro sinistra e da ambienti cattolici sempre più lontani dalla realtà quotidiana dei cittadini, che sono stanchi di sentire prediche e buoni propositi pronunciati dai pulpiti e altrettanto stufi di non vedere esempi conseguenti.
L’articolo descrive esattamente la realtà. Tuttavia personalmente eviterei le contrapposizioni ideologiche, ormai desuete – noi e loro – come organismi diversi (uno patogeno e l’altro vittima) e non facenti parte di uno stesso circuito e tessuto sociale ed economico con ruoli e funzioni diverse all’interno del medesimo sistema. La sua è una semplificazione che induce a pensare che tutti i prinzipales siano sfruttatori e tutti siano carogne da estirpare, cosa ovviamente non vera. Ci sono decine, migliaia di prinzipales che letteralmente si tolgono il pane di bocca per pagare i propri collaboratori con i compensi previsti per legge e molti altri ancora che possono essere annoverati come farabutti. Ma dire noi e loro equivale a dire noi sempre sottomessi e sfruttati, loro sempre tronfi, pieni di denari rubati e truffatori. Ma cosi non è. Certo è che il prinzipale sguazza dove maggiore è la domanda di lavoro; dove si trova sempre qualcuno che accetta un euro in meno. Ma il problema è ben più serio e ben più ampio; le responsabilità sono molteplici, della politica, delle istituzioni e di una mentalità, proprio quella della contrapposizione, che guarda in modo bieco l’azienda che cresce, prospera e, finalmente – con investimenti, sacrifici e spesso notti insonni – potrà remunerare al meglio il lavoro (e in genere si parla di lavoro poco qualificato, nei casi che cita). Con questo non difendo i farabutti, non ci penso minimamente, ma contesto un idea approssimativa del sistema economico e degli adeguamenti (lentissimi) che si dovrebbero attuare per stare sul mercato e crescere; che non arrivano mai. Condizione su cui la politica, come l’impresa, ha gravi colpe.
Gentile Prof. Maninchedda, questa sua giusta disamina andrebbe letta con il giusto spirito che la gravità degli argomenti trattati impone.
Nei miei precedenti commenti, in questo form, ho evitato di inserire, tra i dati richiesti, il ns (spiegherò dopo) sito internet di riferimento. L’ho fatto spinto da quella oramai ancestrale educazione cui sono stato indirizzato che ti richiede di bussare prima di entrare, rispettare il prossimo, non toccare ciò che non ti appartiene, vivere a testa alta e fare del tuo meglio.
Oggi sento invece il bisogno della condivisione, mi consenta ad adiuvandum, della mia esperienza personale quale innesto del suo ragionamento.
Una sudatissima laurea in giurisprudenza mi ha formato alla resilienza. Una discreta esperienza politica, alla comprensione dell’altrui ragione. Una conosciuta vita in campagna, all’analisi interiore. I primi vent’anni trascorsi in un piccolo paese di montagna, infine pur se in principio, hanno avuto fondamentale importanza nell’indirizzare i miei sogni e farmi amare la voglia di accrescere la mia conoscenza.
Premesso ciò, e volendo per l’appunto inserirmi nel suo discorso, vorrei presentarle ReGenFix.
Cinque persone, da tre anni a questa parte, hanno deciso di condividere le proprie esperienze e competenze, dando vita imprenditoriale ad una soluzione innovativa che rischiava di rimanere chiusa in un piccolo laboratorio di ricerca sardo. Questo nostro servizio consente di rigenerare dei costosissimi strumenti, le colonne cromatografiche, utilizzate nell’isolare e purificare proteine, principi attivi, etc etc, da addizionare poi a farmaci, vaccini ed anche in campo nutraceutico.
Non per sterile volontà propagandistica ma con l’intento di indicare una via alternativa allo schiavismo di cui parla, ho deciso di parlare di ReGenFix. La nostra società ha sede in Sardegna, è una srl innovativa, ed ha clienti in Europa e negli USA.
Non ha invece interlocuzione alcuna con la classe politica sarda, istituzionale e non, che appare sorda e cieca alla valorizzazione di una realtà unica al mondo come noi. Ribadisco, unici al mondo, nel servizio di rigerazione dei dispositivi di cui sopra che, prima del nostro intervento, venivano conferiti tra i rifiuti speciali, con immaginabili costi per le aziende, i ricercatori e la collettività.
Verso realtà siffatte dovrebbe puntare una società sana, una classe politica attenta e visionaria, chi ha a cuore il proprio e l’altrui futuro, anche in termini di sostenibilità ambientale.
Lo schiavismo è l’unica via? No!
Vi sono alternative possibili? Si!
Sono impegnative? Si, tanto!
Sono immaginate, incentivate, accompagnate da chi ha responsabilità di governo? Assolutamente no! Questo è il punto dolente per chi soffre (e poi s’offre) ed il punto di forza della controparte. Perché percorrere vie alternative a “su connottu” richiede impegno, studio e abnegazione. D’altra parte, immaginare un progetto politico, un programma che quelle alternative vie contempli, richiede, oltre ai tre presupposti di prima, la volontà di tagliare il ramo sul quale ci si è sin’ora accomodati. Significa inoltre recidere i guinzagli e liberare animi ed intelligenze, accompagnarne consapevolezza e volontà, promuovere il merito.
Il binomio padrone – schiavo può e deve essere interrotto. Ne avrebbero beneficio entrambi, anche i più riottosi.
Concordo pienamente. Lo sfruttamento vergognoso e incivile è sotto gli occhi ( chiusi) di chi dovrebbe controllare.
Dai contratti farlocchi dei commessi di via Garibaldi a Cagliari ( firmi per 10 ma ti do 5) ai camerieri dei grandi e piccoli alberghi, i nuovi schiavi hanno solo una speranza: andare via in un paese civile.
niente di più esatto.aggiungerei che oltre ai cognomi e tutto quello che hai elencato con suffisso oni. bisogna dire senza puntini che sono dei grandissimi COGLIONI
Splendido articolo. È così.