La prima pagina di ieri del giornale Avvenire, il giornale della Conferenza episcopale italiana, e l’home page di oggi (“Migranti. Rocca (Croce Rossa): l’Europa, cieca e sorda, avalla un massacro”) dicono con chiarezza quanto si stia radicando lo scontro tra la Chiesa del Papa venuto dalle periferie del mondo e il Governo della Repubblica italiana.
Ma lo scontro non è solo con gli italiani. Il problema è anche la Francia.
La gran parte dei migranti viene dai paesi ex coloniali francesi, molti dei quali, ricordava venerdì scorso Mondino Schiavone in un incontro pubblico, hanno ancora la loro moneta stampata e governata da Parigi. Parliamo di Senegal, Niger (dove si trovano le miniere di Uranio strategiche per il sistema energetico nucleare francese), Nigeria, Bourkina Faso, Repubblica centraficana ecc. Guardate questa cartina del vecchio impero coloniale francese e sovrapponetela alla mappa delle migrazioni odierne. Parigi bombarda Gheddafi “per ragioni umanitarie”, interviene e sbaglia tutto in Siria, bacchetta l’Italia, detta la linea all’Europa, ma pur avendo fior di basi militari in Africa, non contrasta le migrazioni, non aiuta le sue vecchie colonie a trovare la strada dello sviluppo (e chi è stato in Africa sa perché questo non avviene) e maschera questa politica coloniale con la magniloquenza inumana europea.
La Chiesa si sta schierando contro questo articolato sistema di menzogne e in questa lotta sta un po’ ritrovando se stessa e il suo mistero, che non è certo nei suoi paramenti datati, nelle sue liturgie medievali, nelle sue rappresentazioni sacre del potere.
Il mistero della Chiesa è la croce e chi sta in croce: certo i migranti, ma anche i poveri, i disoccupati, gli abbandonati, gli ammalati, gli infelici.
Il mistero della Chiesa è la certezza che il nostro destino non è il dolore.
Il mistero della Chiesa è l’insopprimibile libertà umana, che spesso crea problemi ai preti-vescovi-cardinali autoritari, ma che in ultima analisi è il luogo dove brilla la fiammella di eternità dell’uomo che non lo riduce solo ad essere un soggetto sociale, ma lo colloca nell’orizzonte dell’insopprimibilità, dell’irripetibilità e dell’originalità, esattamente ciò che tutti i poteri temono.
Ieri mi è stato riferito che durante il solito spuntino sardo un esponente degli apparati dello Stato avrebbe detto di me e del Partito dei Sardi che ci avrebbero fatto fare la fine dei catalani.
Prego, accomodatevi, siamo pronti.
Noi siamo libertà, figuratevi se abbiamo paura.
Noi sentiamo la fiammella della nostra eternità, ma per questo motivo siamo vicini ai bimbi che muoiono in mare, ai ragazzi che scappano, alla marea dei poveri generati largamente dall’ipocrisia europea.
Noi siamo convinti che il problema dei migranti non siano le frontiere. Alle frontiere ha pensato l’ex ministro Minniti: si è passati da 76.000 migranti a 16.000.
Il problema è l’ordine pubblico.
Noi del Partito dei Sardi abbiamo sempre detto di volere combattere il razzismo, ma di voler anche contrastare duramente il lassismo italico.
Inizio da una constatazione. Il primo di noi che sbatté in faccia a un prefetto della Repubblica che la gestione dei migranti era fallimentare non nelle procedure di approdo, ma nell’abbandono a cui venivano destinati i migranti una volta in Italia, è stato Tore Terzitta da sindaco di Valledoria. Fu lui a denunciare che aprire centri di accoglienza economicamente incentivati, senza il consenso delle comunità e senza un piano di utilizzo di questi infelici avrebbe minato la convivenza civile. Poco ci mancò che lo arrestassero.
La cosa più assurda è che le celebri cooperative e associazioni che hanno fatto i milioni con i centri di accoglienza fatiscenti dove hanno stipato centinaia di infelici, cioè gli utilizzatori finali del lassismo italico agevolato dalle prefetture, oggi votano tutti i partiti che predicano la chiusura delle frontiere. I clienti finali dei commercianti di uomini, con la mediazione dello Stato, quelli che sono diventati ricchi sulla più grande disgrazia sociale dell’area euromediterranea, oggi fanno all’italiana: comprano edifici fatiscenti e gridano al pericolo del moro sul tetto, perché lo vorrebbero nascondere in cantina.
Intanto il problema di ordine pubblico rimane lì, intonso.
Il problema non è il numero dei migranti nella Repubblica italiana, ma la loro localizzazione a ghetto. Ci sono interi quartieri, specie storici, dove ormai gli europei residenti sono una minoranza. Il problema non è schedare i Rom, ma verificare se nelle case dove si vive in venti-trenta, tutti abbiano o no i documenti regolari. Il problema non è respingere una nave, ma chiedersi perché un sardo non può vendere i suoi prodotti per strada senza regolare licenza e invece esiste una diffusa, visibilissima e tollerata rete di vendita per strada che nessuno controlla. Il problema non è recintare le aree di sbarco, ma è chiedersi perché prima una giornata di lavoro nei campi valeva 100 e oggi vale 25, andando a verificare chi recluta, chi paga e chi riceve. Troppo facile fare 200 controlli all’anno a ogni piccola impresa sarda e non farne neanche uno ai commercianti di uomini, alle strutture fatiscenti, alle reti di distribuzione clandestina, ai flussi di denaro in nero che escono dall’economia sarda.
Tutto questo è compito del Ministero degli Interni della Repubblica italiana.
Capisco che fa fare più carriera mettere in galera i membri del Partito dei Sardi piuttosto che riportare un po’ d’ordine per le strade e per le città, ma fate un po’ come vi pare ma finitela con la retorica dell’Italia solidale. L’Italia è un paese feroce, ferocissimo, perché intimamente disordinato e lassista.