Di suicidio si parla poco, in Italia: è un tema enorme, naturalmente, con il quale ognuno di noi, prima o poi, deve confrontarsi, e lo fa con la propria sensibilità, intelligenza, educazione.
Ogni suicidio è un enigma, un caso a sé.
Quel che è certo, però, è che in Italia già la parola “suicidio” è quasi un tabù.
L’atto del suicidio, poi, subisce censure e rimozioni di ogni tipo.
Più di una volta, infatti, capita di leggere sui giornali cronache di evidenti suicidi mascherati da parole asettiche: ad es., dietro una morte descritta per “arresto cardiaco” sta un colpo di rivoltella (autoinflitto), o dietro un “probabile malore” che ha determinato la caduta dal parapetto di un ponte sta un gesto volontario.
Non c’è dubbio che esista un modo responsabile con cui i media devono dare le notizie dei suicidi, specie di personaggi pubblici, per prevenire possibili fenomeni di emulazione da parte dei più deboli, e c’è anche un dovere di attenzione verso i familiari del defunto: ma le cose vanno chiamate con il loro nome.
E mi domando se in una società laica e moderna non si possa ammettere che dietro un suicidio, qualche volta, possa esserci un atto di libertà individuale e di dignità che merita, come minimo, rispetto e non giudizi morali o religiosi (taciti o espliciti che siano).
Con la morte (solo dei personaggi “famosi”, però) e con il rispetto per la morte hanno a che fare pure i cosiddetti “coccodrilli”: coccodrillo significa, «nel gergo giornalistico, necrologio di persone illustri, preparato quando sono ancora in vita e tenuto pronto nel cassetto» (Treccani).
Ci sono diversi tipi di scrittori di coccodrilli, e una categoria mi ripugna particolarmente: quella dei personaggi pubblici che si impadroniscono della memoria di qualcuno “importante” per avere una tribuna, per stare sotto i riflettori ancora una volta e parlare, in fondo, di sé stessi.
Magari celebrano persone con cui avevano rapporti tutt’altro che idilliaci, e che se potessero si rivolterebbero nella tomba: ma poco importa a questi sciacalli della memoria dalla lacrima e dalla parola facili.
Sono sempre interessanti e fonte di riflessione gli scritti di Giovanni Lupinu. Bisogna imparare a far scorrere il tempo lentamente per dedicare attenzione ai pensieri.
Io trovo che il suicidio sia talmente sconvolgente per chi rimane, che comprenderlo appieno mi risulta impossibile. È come una morte naturale anzitempo, uno di quegli eventi che superano la capacità di interpretazione ed accettazione delle cose di cui ognuno di noi è, pur in misura diversa, dotato.