Di chi sono i beni archeologici della Sardegna?
La legge della Repubblica italiana dice che sono dello Stato. Il sentimento comune dei Sardi dice che sono della Sardegna.
Dietro la questione di Cabras, subito risolta con l’ottriata rassicurazione del ritorno dei Giganti a Cabras dopo il restauro, pronunciata e scritta dal Ministro ai Beni culturali Franceschini, resta la grande questione non risolvibile con una battuta: di chi sono i nuraghi, le tombe, le rovine della Sardegna? Di chi è la storia della Sardegna?
Un illuminista universalista globalizzato risponderebbe: «Si tratta di patrimonio dell’umanità», affermazione di tale profondità da essere indiscutibile, ma anche così elusiva sull’identità di chi concretamente esercita il potere sulla memoria dei Sardi da sembrare una formula rassicurativa per chi non vuole sporcarsi troppo le mani, ma al tempo stesso vuole sentirsi impegnato in qualcosa.
E dunque la domanda rimane. Proviamo a rispondere.
Cos’è lo Stato? Lo Stato è la forma dei poteri che l’ordinamento giuridico della Repubblica italiana rende vigente sul territorio della Repubblica. Lo Stato è l’amministrazione pubblica, è il Sindaco, è il Presidente della Provincia, è il Prefetto, è il Magistrato, è il Sovrintendente, è il Consiglio regionale, è il Presidente della regione, è il Parlamento, è la Guardia di Finanza ecc. ecc.
Ciò che è dello Stato è in astratto tutelato e gestito per il bene di tutti.
E dunque si pone un problema: il Sovrintendente, tutelando il restauro dei Giganti, sta tutelando l’interesse pubblico?
In astratto sì, come in astratto lo fa la magistratura amministrando la Giustizia, il sindaco governando i servizi locali, la Polizia controllando il territorio.
E il povero sindaco di Cabras, invece, che cosa starebbe facendo con la sua protesta?
Starebbe tutelando, in astratto, la permanenza nel suo territorio di un determinante fattore materiale della storia locale e di un attrattore potente di flussi turistici. Starebbe difendendo l’interesse pubblico della comunità allo sviluppo, esercitando il potere di cui dispone per raggiungere l’obiettivo, secondo il principio di sussidiarietà garantito dalla Costituzione italiana.
Questo perimetro spiega molte della presenze ieri a Cabras di persone e istituzioni che hanno interpretato lo scontro in atto secondo la cornice rassicurante del conflitto di competenza tra organi dello Stato (e questo è in fin dei conti il confine che Solinas ha dato al suo messaggio regale). Diversamente sarebbe difficile comprendere la presenza alla manifestazione di ieri di persone che negano l’esistenza stessa della Nazione sarda e che fanno di questa negazione cocciuta e ripetuta un fattore distintivo della propria militanza politica.
Questo perimetro che cosente una mobilitazione senza rischi è però il peggiore per il sindaco di Cabras, perché consente al Ministro, che non si è fatto pregare a ricordarlo, che esiste un finanziamento ministeriale per il nuovo Museo dedicato ai Giganti (fermo) e un piano di valorizzazione del Sinis, anch’esso fermo. Ed ecco che la frittata si è rigirata, per mostrare per l’ennesima volta il volto dell’inefficienza delle amministrazioni sarde coinvolte a fronte di un virtuosissimo governo italiano che scrive patti, mette soldi e prende impegni. E così, per l’ennesima volta una debolezza di pensiero politico ha generato un esecizio di orgoglio sardo assolutamente gradito dalla Repubblica italiana, perfettamente iscrivibile nelle ricche espressioni retoriche dell’identità sarda ma anche iscrivibile nei mascheramenti dell’inefficienza dell’amminsitrazione pubblica isolana.
Era ed è possibile pensarla diversamente?
Sì, è possibile.
Il primo presupposto è affermare che la Sardegna è una nazione priva, per circostanze storiche che qui non è il caso di riassumere, dei poteri che le competono per difendere i propri interessi legittimi e i suoi diritti .
Serve comunque affermare che la società sarda è fonte unica della sovranità dei sardi. Senza questa affermazione, la successiva è senza senso.
Il patrimonio archeologico della Nazione sarda è dei Sardi che dovrebbero gestirlo nelle forme previste dalla (loro) legge.
Quindi, il caso di Cabras è da iscrivere nella seguente tipologia: come comportarsi quando un potere naturale, quello dei Sardi, si scontra con un potere storico che lo annichilisce, quello dello Stato italiano?
Rispetto alla domanda ci sono state diverse soluzioni.
Prima di tutto il ribellismo, la strada fino ad oggi prediletta dai Sardi, cioè questo sentimento di costante insoddisfazione e di malcelata ripulsa verso i poteri costituiti, verniciato di primitivismo (o si è irsuti e barbuti o non si è credibili), spruzzato di balentismo (qualcosa di ecclatante bisogna pur farlo ogni tanto), prontissimo al compromesso, cioè alla mediazione sulla piccola battaglia intrapresa per poterla esibire come grande vittoria.
In secondo luogo, la rivoluzione anche armata, strada terribile che annovera però in Sardegna non poche vittime, alcune morte perché giustiziate altre morte civilmente perché punite dallo Stato. La strada rivoluzionaria in Sardegna non è popolare e in ogni tempo è stata falcidiata prima che dalle forze di polizia da un partito conservatore sardo che ha sempre isolato e condannato i rivoluzionari. È una stradda di morte senza via d’uscita.
La terza strada è la lotta politica legale. Come risolverebbe il problema di Cabras questa strada?
La risolverebbe dicendo allo Stato italiano: caro Stato, da ora in poi in Sardegna lo Stato sono io Regione.
Delega a me l’esercizio delle tue funzioni sul mio territorio e finiamola con la doppia amministrazione. Questo comporterebbe che lo Stato non avrebbe più in Sardegna, per esempio, una figura inutile come il Sovrintendente scolastico regionale o il Sovrintendente ai beni archeologici, ma delegherebbe queste funzioni alla Regione che le eserciterebbe secondo la legge. Una legge della Sardegna dovrebbe poi garantire strutture, risorse e persone per rendere vitali i siti e i beni nei territori in cui si trovano, investendo i Comuni di responsabilità, poteri e risorse.
Una legge sarda dovrebbe interpretare il rapproto tra città e campagna secondo un’etica di solidarità e inclusione nazionale, non di competizione e di subordinazione.
Il tema della permanenza della ricchezza nei territori è un grande tema, non solo sardo, ed è legato alla desertificazione dei servizi fuori delle cinte urbane, tema che si è acuito in questo periodo proprio per il fallimento in sede sanitaria del modello Hub and Spoke di cui, per esempio durante il governo Pigliaru, taluni si riempivano la bocca per scimmiottare il modello lombardo.
Un’impostazione di questo tipo sarebbe di vantaggio per la Nazione Sarda, perché aumenterebbe il tasso di autogoverno, unica strada per imparare l’esercizio efficiente della sovranità, rafforzare il senso di appartenenza, sconfiggere la paura dell’esercizio della libertà.
Ovviamente, tutto questo è difficile, quindi meglio la strada tutta regolare della retorica prevista e del conflitto di competenze. E così sia.
Beh, a nàrrere su chi est istória, sa «questione principale» no irmentigada ma leada cun infinida e assurda passéntzia (si est passéntzia, o si no est mancari “sas passéntzias” chi si daent pro unu mortu) est su “restàuru“ de sa conca nostra irbentiada ifatu de totu sas “domande”/petizioni/pedidorias a malos pagadores (tantu pro ndhe ammentare famadas, cudhas “cinque domande” a Sua Maestà no ammento de cale Savoia de sos annos de s’ispeditzione frantzesa de su 1792-93 fintzas a sos «Piani di rinascita» e àteros “Piani”).
Ma arguai a tocare a Sua Maestà, ne monàrchica, ne fascista e ne demogràtica. Totu su prus, candho no ischimus prus a inue iscúdere sa conca ca l’amus iscuta a tropu muros de preda e de gomma faghimus su «ribellismo» chi narat Maninchedda nèndhelu chentza distintzione «strada prediletta dai Sardi». E no, Paulu! Su ribbellismu est de sa zente in sos séculos disamparada e iscaminada candho no ndhe podet prus! Sos Sardos ‘illuminati’, ‘civili’ civilizzati no sunt mai istados «ribellisti» e tocat a los pònnere in sa categoria issoro de fune de impicu in totu sos tempos monàrchicos, fascistas, demogràticos e multicoloristas qualunquistas o illusionistas de totu sos aprofitamentos pro domo issoro o de “partito”, de niedhu che carbone a ruju meru o biancu nidu ma sempre tricolore, totugantos bonos a «prendere impegno», dae sos tempos de sas «chiudende», a «su connotu», a «caccia grossa» «a Pratobello», a sa “rivolutzione” de sos pastores chi custos annos ant frundhidu rios de late in sas istradas pro tocare su coro a su chi pariat su messia sempre ispetadu cun passéntzia.
Chi sos Sardos siemus séculos chentza guvernu in manos de chie est pessendhe a iss’etotu ca nois no semus issos e ne inoghe semus in logu sou paret chi siat chistione de criaduras zoghendhe e no de zente chi zughet conca, sentidu, ànima, coro e cherbedhos e fintzas limba (no a línghere e pregare) e manos e imparare a fàghere e pro fàghere sos doveres nostros de zente.
Ca sa chistione de sos Sardos est una ebbia: sa libbertade e responsabbilidade de sa Sardigna e Natzione sarda chi de millénnios semus un’àtera terra e un’àtera zente.
Sa chistione no est su restàuru de sos zigantes de mont’e Pramma creindhe chi sa rivolutzione si faghet cun sas aconcadas mancari lezítimas e paghiosas (ma candho mai sos Sardos amus fatu gherras? Nollas ant fatas fàghere candho nos ant trubbadu a fàghere sas tres de indipendhéntzia de s’Itàlia, cussas colonialistas contr’a a sos Africanos, cussas a masellare de su ’15-18, cussas a vincere e vinceremo de domíniu nazifascista).
Sa chistione vera est su restàuru de sa conca e de sa cusséntzia umana e tzivile de sos nanos sardos bonos e malos de Sardigna, si podiaimus èssere, chentza barrosia e ne balentia, apenas zente normale in logu nostru (e goi fintzas in su mundhu).
E sa rivolutzione… eja, sa rivolutzione!!! Ma no cussa maca chi nos ant imparadu a pessare in iscola. Sa rivolutzione est cussa de sa cusséntzia e cumportamentos nostros, faghindhe seriamente sos contos cun nois e tra nois etotu prima de los fàghere cun s’Itàlia/Istadu italianu, chentza mortos e ne feridos. Cosa de donzi die, no aconcadas candho semus a fígados ufrados o nos daent su corpu a conca, ca si est goi tiaimus istare die cun die faghindhe manifestatziones e pistendhe abba, sempre ifatu de totu sos bentos e de totu sas promissas de malos pagadores e illusionistas dipendhentistas de donzi colore e indipendhentistas dipendhentes.
Sa Sardigna no est in Itàlia ma sa sovranidade natzionale, mancari unu síndhigu puru siat “istadu italianu” (ma si est gai fintzas deo candho apo fatu su professore fiat “istadu italianu”, ma mi so rifiutadu de li zurare fedeltade, e ndhe podia fintzas perdère su “tanto sospirato” postu de triballu), ma de sovranidade no ndhe tenet ne síndhigu e ne presidente de sa RAS e a pedire a s’Istadu Repúbblica Italiana su chi pro diritu e dovere naturale inalienàbbile ispetat a nois Sardos in terra nostra pro èssere solu zente (e nudha azunghet a nàrrere tzivile) est che a pedire casu a sos sórighes. Sinono bae e busca in cale séculu chi at a bènnere si bi at a àere ancora tumbarolos o archeòlogos ant a iscòberrere mancari in carchi àteru monte o sedha nanos interrados.
Ecco, appunto, se per lei è stato solo un problema pratico di restauro, che problema c’è? Non ve n’è alcuno. Allora si chieda perché un restauro, il primo, in mano alle sovrintendenze è durato vent’anni e c’è voluta una forte volontà politica per tirare i giganti fuori dai magazzini. E poi si chieda perché nei depositi delle sovrintendenze stiano in casse invisibili tanti reperti provenienti da tutti i paesi della Sardegna e perché, viceversa, non sono esposti nei territori di provenienza.
Scusi, ma secondo me tutta questa questa interessante lezione sui massimi sistemi dimentica la questione principale: i giganti hanno necessità di restauro oppure no? c’è il rischio che possano deteriorarsi se non si interviene subito oppure no? Se la risposta è si, ed è una risposta scientifica, allora si sta facendo il male del patrimonio storico, con il rischio che si rovini irrimediabilmente.
Chi se ne frega di chi sono i Giganti: io da cittadino e da Sardo vorrei che le strumentalizzazioni varie di Sindaci e attivisti della Nazione Sarda non facessero perdere tempo prezioso per il restauro.