Quando La Nuova lanciò la distribuzione del libro su Matteo Boe ebbi una netta e chiara sensazione di disgusto, profonda quanto immotivata: non sapevo dirmi perché trovavo l’idea del libro, il titolo e la diffusione capillare fuori scala.
Non conosco personalmente Boe; l’ho visto due volte a Lula. Silente, appartato, sempre verso le ultime file del piccolo pubblico della biblioteca.
Si scontrano su di lui due forze dell’ingegno: la voglia tutta umana di capire la strada sbagliata di un uomo, la vocazione tutta letteraria di rappresentare ciò che è tragico, non comune e drammatico, da un lato; dall’altro l’ammirazione ingiustificata e grave, foriera in Sardegna della corruzione di generazioni di giovani, diffusa purtroppo in tutta Europa e alimentata dalla letteratura, verso chi dimostra abilità e valore nel vivere oltre le leggi, verso chi beffa il sistema che sembra stritolare tutto e tutti (ma in realtà il bandito stritola noi, non il sistema).
Poi però c’è il carcere, uno dei luoghi più terribili che possano essere concepiti. In quei silenzi scanditi dalla legale (ahinoi! e anche, per certi versi, necessaria) violenza di Stato, si avvia una riflessione su se stessi e sull’esistenza che non è traducibile in parole.
Sebbene solo in Dio il tempo sia copresente e non fluisca, nell’animo dei detenuti accade che presente, passato e futuro si mischino in modo inestricabile e la persona viva in una dimensione profonda non rappresentabile verbalmente.
Forse è questo ciò che non si capisce: Matteo Boe di oggi non è rappresentabile; Matteo Boe di ieri è altra cosa, seppure sia una realtà storica il cui racconto è nella disponibilità di tutti. Ma si è mai vissuto interiormente che cosa si prova a sentirsi raccontare da altri, dall’esterno? A me sì.
Il più delle volte si è deformati, caricaturizzati, violati, col biografo o cronista mutato, in aspetto, parole e gesti, nelle fattezze del giudice, con una superbia di lettura di scandalosa e immorale ingiustizia.
Eppure, non si può certo negare la libertà agli altri di parlare di noi.
Però si può chiedere la grazia, in certe tragiche circostanze, di essere dimenticati. Si può chiedere la grazia non che siano dimenticate le propie azioni o il male che si è fatto, ma che si dimentichi il profilo della persona.
Che ci vuole?
Non il diritto sta tra Matteo Boe e i suoi biografi e la curiosità del pubblico, ma la comprensione che il mistero della natura umana richiede certamente giustizia, ma anche, nel tempo, carità reciproca, silenzio, sguardi piuttosto che parole.
Un libro va e viene, lasciamolo andare, che ci vuole?
Un uomo sta in piedi una sola volta. Possiamo accompagnarlo a distanza e in silenzio?
Potrebbe essere vero che si può chiedere la grazia di essere dimenticati. Anche se dal momento in cui si è inciso così profondamente sulla dignità di un’intera regione, tale richiesta è forse utopistica. Non dimentichiamoci mai quanto la piaga dei sequestri di persona è stata una macchia indelebile nella storia della regione Sarda. Per non parlare delle vittime di tale orribile delitto. In ogni caso e premesso questo forse questa richiesta di essere dimenticati poteva essere manifestata anche in precedenza. Invece vi sono stati numerosi incontri con l’autrice del libro, interlocuzioni epistolari. Sbaglierò ma forse la stessa è andata a prenderlo all’uscita del carcere e per finire un consenso scritto alla pubblicazione. A me tutto questo non pare conciliabile con una retroattiva richiesta di silenzio. Silenzio che, sempre a mio parere, non potrà mail calare su quel clima di terrore, incertezza, paura che si respirava in certe zone della Sardegna per decenni, Tutto questo non può e non deve mai essere diemnticato anche facendo nomi e cognomi di chi si è reso protagonista di tutto questo dolore.
La carità è di un altro mondo. Nella vita reale valgono i comportamenti. Alcuni di questi difficilmente hanno diritto ad essere dimenticati.
Il dramma è che certi valori, o per meglio dire disvalori, che stanno alla base di comportamenti deviati e di vite segnate tragicamente come quella di Boe, sono insiti nella mentalità di tanti sardi. Come dimenticare che un esponente di spicco del pd, consigliere regionale, condusse fieramente in consiglio graziano mesina quasi si trattasse di un personaggio di tutto rispetto e degno di chissà quali onori?
Lo stesso mesina che girava per gli istituti superiori dell’isola, ospite di assemblee studentesche in cui, anziché chiedere perdono delle vite mietute durante la sua attività banditesca, accampava quali giustificazioni dei suoi trascorsi la protervia dello stato, la durezza della vita in campagna e via contando.
Ecco, quel che manca in queste figure di uomini che hanno pagato la loro durezza con altrettanta durezza di stato è la volontà di mostrare l’errore, l’umiltà di abbandonare il prototipo dell’uomo duro e balente, che disprezza tutto, compresa la vita umana, tranne che il suo clichè.
(non per questo assimilo mesina a boe… il quale almeno se ne sta zitto)
Sono d’accordo. Un uomo se ha pagato le sue colpe deve avere il diritto di poter decidere lui e solo lui se raccontare o far raccontare la sua storia
Quella di Paolo è una riflessione profonda e personale, quindi soggettiva, comprensibile ma non per questo totalmente condivisibile. Fermo restando che le vittime di Boe (o i loro cari, allorquando sopravvivono alle vittime) mantengono assolutamente il diritto a non dimenticare. Tenendo conto però che egli stesso, oggi, è una vittima di sé stesso ma anche di altri, per cui è libero il diritto di cronaca, ma sul libro deve essere libero lui, oggi che è libero, anche di non farlo pubblicare.
Io la vedo in modo diverso. Matteo Boe ha saldato il debito con la giustizia, ma questo non vuol dire che possa pretendere che non si parli di lui in un libro, come avviene in numerosi articoli di giornale. A meno che non si raccontino balle. Quello che ha fatto non gli consente di fare una richiesta di questo tipo (come un generico diritto all’oblio, sempre che sia vero quello che si legge nei giornali e non ci siano motivi rilevanti di merito). Io penso che sia bene che i giovani conoscano certe nefandezze, anche attraverso i libri (sempre che siano libri onesti). E credo che tutti ci indigneremmo se un nazista invocasse il diritto alll’oblio. Quello che ha fatto Boe deve essere raccontato (onestamente). E sarei curioso di sapere cosa ne pensano le vittime, che troppo spesso sono dimenticate. Loro l’oblio per quello che hanno patito non lo avranno mai.
Se la nostra costituzione prevede il recupero al vivere sociale di chi ha sbagliato è nostro compito adoperarsi perché ciò accada. La giustizia nei confronti del condannato ha fatto il suo corso, la società civile,noi tutti dobbiamo, seppur spesso sia difficile, aiutare in tutti i modi il nuovo cammino di questi nostri fratelli
Certo che possiamo, anzi…..dobbiamo……
…ha pagato il suo debito così come la Società ha richiesto ? Bene …ora ha diritto all’oblio perché semplicemente lo chiede ! Se poi LNS vuole scrivere per forza libri ed indagare veramente a fondo possiamo fornirgli molte idee …