Il 27 aprile 1937 è morto Gramsci.
Ogni 27 aprile, il suo pensiero viene sminuzzato, a seconda delle convenienze, e adattato a ogni contesto, come si fa con la Bibbia. La sua terribile storia di militante tradito e martoriato, invece, non viene ricordata, come se i diversi statuti formali (3 edizioni) che i suoi testi hanno avuto nel corso dei decenni siano indifferenti alla scomodità politica della sua esistenza, prima che del suo pensiero.
Quando il 24 febbraio 1988 Umberto Cardia, già parlamentare e europarlamentare comunista, denunciò sulle colonne de L’Unità la ‘solitudine di Gramsci’, la direzione del Pci si riunì per censurarlo. Cinquantun anni non erano stati sufficienti per riuscire a dire la verità.
Ho la fortuna di conoscere una persona, assolutamente credibile, che ha sentito direttamente dalla voce di una nipote di Gramsci il terribile giudizio di colpevolezza emesso dalla famiglia contro il Pci. Il partito era accusato di non aver protetto Nino (come lo chiamavano in famiglia) dalla cattura da parte della polizia fascista e di aver tramato per tenerlo in carcere. Si sa che Gramsci, nell’imminenza del suo trasferimento dal carcere alla clinica Quisisana, a Roma, zona Parioli, raccomandò a Tania di non comunicare il suo spostamento al partito, proprio perché temeva l’ennesima iniziativa volta a rappresentarlo ciò che non era, per tenerlo dove non voleva rimanere. Che Gramsci in carcere temesse il Pci, è fuor di dubbio. Che sia stato tradito da Piero Sraffa, l’economista, cagliaritano per un anno, approdato a Cambridge) e ‘collaboratore coperto’ (è un eufemismo) dell’Unione Sovietica, è altrettanto chiaro. Che sarebbe stato fucilato dopo poco tempo, se solo avesse messo piede in Russia ai tempi delle purghe staliniane, è opinione diffusa, quanto logica e credibile. Che la sua drammatica esistenza sia l’unico contesto criticamente adeguato nel quale collocare la sua opera, è tanto evidente quanto diffusamente disatteso.
Anche il titolo della sua opera non è suo ed è una trovata propagandistica di Togliatti (uomo la cui intelligenza e cultura è largamente sottovalutata dai suoi avversari, almeno quanto è esaltata dai suoi sodali). Dei 33 quaderni a noi pervenuti (29 di appunti e saggi e 4 di traduzioni) almeno la metà non è scritta in carcere, ma in clinica, e dunque i quaderni sono più propriamente i Quaderni della prigionia piuttosto che del carcere.
Il 3 marzo del 1945 i Russi consegnarono a Togliatti i quaderni di Gramsci.
Il 29 aprile, Togliatti, nel comizio commemorativo di Gramsci al teatro San Carlo di Napoli, annunciò al popolo comunista, e a tutti gli italiani, che Gramsci aveva compilato 34 quaderni. Noi ne abbiamo 33. Uno manca. Abbiamo dovuto aspettare quasi settant’anni perché qualcuno si occupasse di questa scomparsa. Franco Lo Piparo pubblicò nel 2013, per Donzelli, un affascinante, agilissimo e iperdocumentato libretto, intitolato L’enigma del quaderno, nel quale ricostruiva tutte le traversie dei testi gramsciani dopo la morte di Gramsci e pubblicava le foto delle etichette di numerazione alterate, compresa quella del quaderno numerato XXIX, chiaramente sovrapposta a un’altra sottostante numerata, invece, XXXII.
La Chiesa Gramsciana reagì censurando e dileggiando Lo Piparo, fino a che non intervenne in sua difesa un filologo di sinistra del calibro di Luciano Canfora. Tutto tacque. Di vergogna e di imbarazzo. L’unico squarcio nell’omertà di sistema fu una frase di D’Alema, che affermò che Togliatti non avrebbe mai distrutto un quaderno di Gramsci, tutt’al più lo avrebbe ‘ibernato’, cioè ne avrebbe trasferito la possibilità di lettura a tempi migliori (per lui). Forse è davvero accaduto così.
D’altra parte Togliatti capì subito che una lettura diretta, cioè non mediata dal partito, dei Quaderni, sarebbe stata nociva per l’apparato del partito, e quindi lui stesso ne curò, con Felice Platone, per i tipi di Einaudi, la prima edizione; la quale realmente è altro da ciò che Gramsci aveva pensato. È Gramsci ripronunciato da Togliatti, attraverso sapienti taglia e incolla e oculati accostamenti. Il primo tentativo critico di lettura materialista della storia venne trasformato in una sorta di manuale di formazione dell’intellettuale organico della sinistra italiana. Si trattava comunque di un passo avanti, ma non come lo avrebbe fatto Gramsci.
Il problema non è, ovviamente, che queste cose accadano o che siano accadute; è il perdurare nel presente del silenzio sul perché sono accadute.
Per chi voglia approfondire:
l’edizione più utile dei Quaderni è ancora quella curata da Valentino Gerratana per Einaudi;
su Togliatti editore di Gramsci, il punto di riferimento è Togliatti editore di Gramsci, a cura di Chiara Daniele, Introduzione di Giuseppe Vacca, Carocci, Roma, 2005;
sulla vita e il pensiero di Gramsci è d’obbligo leggere Giuseppe Vacca, Vita e pensieri di Antonio Gramsci, Einaudi, Torino, 2012;
su Gramsci in carcere, Franco Lo Piparo, I due carceri di Gramsci. La prigione fascista e il labirinto comunista, Roma, Donzelli, 2012; Luciano Canfora, Gramsci in carcere e il fascismo, Roma, Salerno, 2012.
Ho riletto da poco Fiori ed il 25 aprile ho sfogliato i quaderni digitalmente, a Ghilarza. Son tuttavia quasi certo che il trasferimento il clinica avvenne nel 1934 (dal dicembre 1933 a Formia, 10 mesi dopo alla Quisisana) : nell’estate 1935 interruppe il lavoro; 5 quaderni di Turi vennero completati a Formia (1934-35.), mentre altri 11 vennero redatti i teramente là. Segnalo, sempre di Fiori “Gramsci, Togliatti, Stalin” – Laterza, che si sofferma sulla solitudine politica, personale e sugli aspetti di sardismo/autonomia.
Articolo molto interessante, grazie.
Sì, Cambridge, non Oxford. Grazie della correzione. Il sostegno a Gramsci non mancò, ma Sraffa parlava, e molto, con i Russi. Sul rapporto con Wittgenstein è molto bello il libro di Lo Piparo “Il professor Gramsci e Wittgenstein”.
Sapevo della grande amicizia tra Sraffa (approdato a Cambridge da Keynes, dopo un anno a Cagliari e varie minacce da parte di Mussolini) e Gramsci. Sapevo di un continuo sostegno di Sraffa e di Matteoli a Gramsci durante gli anni di carcerazione. Francamente non sapevo e non so di un tradimento di Sraffa. Ma non sono un esperto né di Gramsci né di Sraffa e non escludo che si tratti semplicemente di mia ignoranza. (Però Sraffa era molto stimato da tutti quelli che lo conoscevano, da Keynes a Wittigenstein, da Joan Robinson a Richard Kahn a Niki Kaldor.)
Anche Vita di Gramsci di Peppino Fiori é un bel testo, senza pretese scientifiche, ma molto ben scritto.
Sì, è vero, ma l’ho voluto ricordare. Comunque, correggo e attenuo. Grazie.
Bellissimo articolo. Sraffa però di cagliaritano ha ben poco. Insegnò a mala pena per un anno all’università di Cagliari.
Grazie per questo suo breve scritto.
Ho finito da qualche giorno di leggere per la seconda quello di g.vacca (2012), e “le parole di Gesù”di u.galimberti contro l inquietudine e il “logorio della vita moderna”…due esempi centrali e paralleli di tradimenti e manipolazioni delle verità, con il risultato che hanno vinto i filistei.
@mauro per non parlare della sinistra etilista
“Gramsci è il cervello più forte che ho incontrato sul mio cammino d’uomo politico”, Sandro Pertini intervistato su Gramsci da Enzo Biagi (https://youtu.be/rE1th0QzRyc).
Grazie,
anche solo per i suggerimenti bibliografici.
Quando si esaurira’ questo interesse per Gramsci via USA forse sarà possibile avere una visione più chiara del suo pensiero. Perché la manipolazione dei suoi scritti temo non sia finita.
Grazie per il chiarissimo affresco.
Insomma Gramsci, dalla sua ricostruzione, sembra essere stato troppo avanti per il comunismo togliattiano mentre oggi avrebbe ben poco da spartire con questa sinistra bancaria, padronale ed elitista