di Paolo Maninchedda
Un libro sulla scuola curato da studiosi sardi comincia a far discutere. Che cosa vi si dimostra? Tra le altre cose che ormai tra i ragazzi è diffusa la convinzione che Google ne sappia più del professore, cioè, alla fine, che il professore è colui cui il sistema delega la notevole funzione di accendere la Lim.
In poche parole viene dimostrato che l’ingresso in un’aula di una Lim, le nuove lavagne collegate alla rete e ricche di sistemi applicativi di ogni genere, non è un fatto che riguardi l’arredamento o l’aumento delle possibilità del docente di avere più ausili didattici.
L’innesto di nuova tecnologia produce la radicalizzazione delle differenze già esistenti tra gli alunni (nelle quali incide moltissimo l’ambiente familiare) e trasforma in conflitto la normale dialettica tra insegnanti e alunni. L’effetto diseducativo dell’atterraggio inconsapevole della tecnologia in classe è la crisi dello spirito critico: il tecno-entusiasmo con cui si affronta la fruizione delle diverse tecnologie digitali porta a abbassare l’educazione e la pratica dello spirito critico, a trasformare l’alunno in un consumatore di prodotti già pronti, e l’insegnante ad assimilarsi all’addetto agli scaffali dei supermercati.
Si fa dunque appello alla rinascita dello spirito critico che però ha un requisito morale: la disponibilità alla fatica. Imparare a ragionare, a studiare, a risolvere problemi non è né facile né difficile: è faticoso, richiede esempi, tempo e disciplina, cioè un universo morale in via di estinzione nella scuola italiana.
È sintomatico che in questo contesto La Stampa recensisca anche un altro libro, questo per niente bello e ricco di luoghi comuni, che si lamenta della “mediocrazia”, cioè dell’arrivo al potere dei mediocri, e attribuisca questa presunta presa della Bastiglia anch’essa alla crisi dello spirito critico. L’autore vorrebbe un mondo affidato ai migliori, alle eccellenze, e tira in ballo la democrazia, la quale è un sistema imperfetto che per definizione non sceglie i migliori ma solo i più popolari. Chi ha consenso non vuole dimostrare di essere il migliore, perché il meccanismo elettorale non glielo chiede. Ma, al di là di questo, il dato è che si addita lo spirito critico come antidoto alla mediocrità, come se l’essere normali e non eccellenti sia una colpa. Il mondo è sostenuto dai normali e questa estetica e etica eugenetica dell’eccellenza sta rovinando la testa di giovani e adulti. Al mondo c’è spazio per tutti non solo per i primi. Lo spirito critico, la cultura del ragionamento, è funzionale a qualsiasi ruolo si svolga, a qualsiasi capacità di abbia, non è per niente la porta dell’eccellenza, è semmai la porta dell’equilibrio. Guai a educare al mito dell’eccellenza. Si pensa di educare al meglio e invece si educa alla ferocia e poi alla frustrazione, al fallimento come colpa, e si finisce con i suicidi, con l’infelicità, con lo spreco di capacità, sentimenti e valori.
Leggo oggi dell’avvenuta nomina del Cda del Crs4, l’importante centro di calcolo e di ricerca della Regione.
A dirigerlo è stato chiamato il prorettore per la Ricerca dell’Ateneo cagliaritano, professoressa Annalisa Bonfiglio, che non conosco di persona ma che possiede un indiscutibile curriculum.
A far parte del Cda anche Mario Mariani, che invece conosco come uno dei più capaci imprenditori e manager della Sardegna, un rappresentante vero dell’innovazione non solo in terra sarda.
Faccio solo una riflessione che svilupperò nei mesi prossimi: sono certo che i miei colleghi docenti universitari e attualmente incaricati di funzioni di governo condividano che serve un approfondimento, a ormai quasi dieci anni dalla legge 7 del 2007, sulle fonti di finanziamento della ricerca universitaria, rispetto alle forme con cui si esercita l’egemonia culturale sui processi che decidono l’allocazione delle risorse. Parliamone.