Ieri è passata sotto silenzio un’interessante intervista sulla Nuova Sardegna (ogni tanto, ma raramente, ne azzeccano una) di Giacomo Mameli a Luciano Canfora, filologo e storico classico tra i più rinomati.
Al di là del contenuto (il rischio neofascista in Italia che viene da lontano, il richiamo ai Decreti Sicurezza del Conte 1 come fonte dell’occhieggiamento ai gruppi estremisti del governo Giallo-Verde e, infine, il vademecum per leggere l’ultimo suo libro su Tucidide), il bello dell’intervista è l’andare su grandi temi mentre i giornali si perdono in piccole e illeggibili cosette (è il terzo giorno che ci parlano di Volotea senza dire che è colpa di Solinas, non di Alitalia; e infatti non vi è traccia sui giornali della dichiarazione di Cappellacci che, seppure in un mare di parole, lo dice chiaramente).
Canfora è un filologo e un intellettuale di grande spessore culturale e di acuta sensibilità imprenditoriale, uno dei pochissimi in Italia che, facendo anche divulgazione, ha messo a profitto le proprie ricerche. È un intellettuale impegnato politicamente a Sinistra e da sinistra legge molte cose. Per esempio, un suo libretto di un po’ di anni fa, Filologia e libertà, dedicato alla crisi modernista della Chiesa cattolica, quando il Papa Benedetto XV ridusse allo stato laicale i sacerdoti che avevano collaborato alla Rivista di Scienza delle religioni di Ernesto Buonaiuti. Tra questi vi era il sardo Bacchisio Raimondo Motzo (cui Luciano Carta ha dedicato un libro magistrale e insuperato), uno dei più grandi filologi che la Sardegna abbia mai potuto annoverare, che scrisse, ancora da sacerdote e senza alcuna tutela economica, cioè quasi da disoccupato, un libretto, indirizzato al Papa, sul rapporto tra fede e ricerca (tra filologia e fede, tra filologia, storia e Sacra Scrittura) che andrebbe studiato nelle scuole.
Il libretto di Canfora, al contrario, è scritto grossolanamente da sinistra, è un pamphlet contro l’oscurantismo e l’autoritarismo papale di allora, ma non è per niente raffinato; è assemblato, è fatto per vendere grazie a un titolo bellissimo.
Da sinistra Canfora ha anche scritto Gramsci in carcere e il fascismo, un’incursione nella contemporaneità che è chiaramente mossa dal voler veder chiaro dentro la vicenda dei rapporti tra il Pci e Gramsci in carcere, rapporti terribili, drammatici. Un libro documentatissimo.
È in queste pagine che si consuma una resa dei conti a sinistra tra Canfora e Spriano, quest’ultimo a lungo docente di storia presso l’università di Cagliari e autore di una monumentale (e autorizzata) storia del Partito Comunista Italiano. Proprio Spriano è il bersaglio di due pagine durissime di Canfora su una vicenda scabrosa, cioè sul ruolo di Ruggero Grieco, segretario politico nazionale del Pci dal 1934 al 1938, nella vicenda carceraria di Gramsci.
Grieco è l’autore della lettera recapitata a un Gramsci in attesa di giudizio a San Vittore che lo stesso Gramsci, alla luce delle parole del Procuratore della Repubblica che lo accusava, ritenne il motivo principale della sua condanna e giudicò come un indizio ineludibile di occulte responsabilità interne per il suo arresto e la sua lunga detenzione.
L’attacco di Canfora è durissimo come mai sarebbe potuto accadere nell’ambiente accademico sardo: egli accusa Spriano di avere in un primo momento attribuito a Grieco un biglietto un po’ sprezzante verso Gramsci e di aver poi, invece, accreditato come autore Mario Montagnana, dicendo una marea di cose inesatte ed errate pur di accreditare l’attribuzione. Scrive Canfora: «L’operazione compiuta da Spriano, assai facile da smontare, conferma quanto allarmato egli fosse di fronte all’emergere di documenti che sempre meglio chiarivano l’effettivo atteggiamento di Grieco verso Gramsci al di là delle parole “pubbliche” destinate alla stampa di partito» (pp. 70-71). Perché Canfora attacca Spriano? Perché è convinto che Grieco fosse un collaborazionista dei servizi segreti fascisti. Ciò era ed è troppo per l’agiografia comunista.
Questo banale episodio di verità, sarebbe potuto accadere nel clima culturale sardo?
No, assolutamente no, perché in Sardegna la politica e la storiografia si bordeggiano e intrecciano ormai da due secoli ma non riescono ad arrivare a un livello civile di confronto aperto e questo genera immeritate fame accademiche e di salotto, promuove al rango di ricercatori laureati volgarissimi divulgatori à la page, impedisce che si dica la verità su alcuni lavori, spesso scritti come instant book da figure del dileggio e dell’invidia organizzati, o peggio, del fiancheggiamento dei servizi (come, con forme paludate, disse e scrisse Mario Melis ai tempi del processo a Bainzu Piliu) col solo scopo di impedire che le acque decantino e che si veda il fondo del pozzo.
Giangiacomo Ortu ha tentato ripetutamente di fare un bilancio della storiografia in Sardegna, condotto da un punto di vista sostanzialmente azionista e post-lussiano, ma resta molto da fare (soprattutto in ambiti che Ortu non frequenta abitualmente) e soprattutto resta da sgombrare il campo dalle censure preventive legate alle egemonie pregresse. Speriamo lo si possa fare.
Credo che sia proprio il caso di continuare su questa strada prima che la nostra generazione invecchi troppo …
Tuttavia, chi ha vissuto in ambiente di studi superiori deve i provarci lui stesso o indirizzare giovani, se ve ne sono, a intraprendere la pratica sana e fruttuosa nella ricerca storica di sposare la filologia (id est il rigore nell’uso delle fonti e nella formulazione dei giudizi.
Cola die ‘ona.
Concordo. Sarebbe tempo di ricerca seria.