Riceviamo e volentieri pubblichiamo anche per dare uno spaccato del grave disordine in cui versa la sanità sarda, dove accade anche che agenti in divisa facciano visita ogni giorno a una donna ottuagenaria disabile, risultata positiva ormai un mese e mezzo fa e negativa da dieci, e la costringano a affacciarsi sull’uscio di casa per accertarsi che non sia andata in giro a contagiare qualcuno.
«Scopro di essere stato un contatto di un positivo, un collega di lavoro.
Dopo pochi giorni inizio a manifestare dei sintomi non necessariamente riconducibili al Covid-19, ma sicuramente dubbi : forte mal di testa, con successiva manifestazione febbrile
Questo avviene il 30 ottobre.
Lunedì 2 novembre contatto il medico di base che mi concede una settimana di malattia, non ritenendo necessario fare da subito la segnalazione all’ATS per caso sospetto
Ho famiglia, moglie lavoratrice, figlio di 18 anni studente universitario.
Prudenzialmente prenotiamo ed effettuiamo un tampone antigenico rapido presso un laboratorio.
Il tampone risulta negativo, pertanto mia moglie continua ad andare al lavoro, mio figlio fa qualche uscita con gli amici, io mi rassegno a “smaltire” questa brutta influenza.
Purtroppo il mal di testa persiste, la febbre sale e scende fino a raggiungere il picco di 39 e la situazione peggiora decisamente con conseguente spossatezza generale.
A questo punto ripetiamo un tampone antigenico rapido.
Mia moglie e mio figlio risultano negativi.
Il mio tampone risulta positivo.
È il 9 novembre.
Attraverso il medico di base viene fatta la segnalazione all’ATS come caso sintomatico per sospetto COVID, dettagliando i tempi dell’insorgere dei sintomi (30/10), sottolineando che i sintomi persistono (febbre, mal di testa, mal di gola, astenia) e che c’è un esito positivo di un tampone antigenico datato 09/11/2020.
Per scrupolo la dottoressa attiva anche la richiesta all’USCA.
Da allora io mi isolo al piano superiore della nostra casa, senza contatti con i miei familiari.
Mia moglie e mio figlio iniziano la quarantena in quanto conviventi di un sospetto covid segnalato all’ATS.
Mia moglie lavora in smart working.
Mio figlio segue le lezioni universitarie on line (come già in precedenza).
Oggi è martedì 17 novembre 2020.
Fortunatamente io sto meglio da qualche giorno, persiste solo qualche sintomo secondario.
Nessuno ci ha contattato.
Nessuna assistenza da parte dell’USCA, nonostante caso sintomatico.
Sono trascorsi 17 giorni dall’insorgere dei sintomi.
Sono trascorsi 8 giorni dalla segnalazione all’ATS di Caso sintomatico con certificazione di positività a tampone antigenico rapido.
Pensiamo di esserci comportati in modo corretto.
Ci siamo isolati da tutti e anche tra noi familiari in attesa che i sintomi cessassero.
Abbiamo ritenuto che i sintomi non fossero gravi in quanto non ho avuto crisi respiratorie, pertanto ho aspettato che cessassero senza andare in ospedale a occupare letti per una gestione della malattia affrontabile anche a casa.
Non nascondo che con il trascorrere dei giorni la preoccupazione per il possibile peggioramento delle condizioni mi ha sfiorato, quindi non condanno chi, scoraggiato dalla mancanza di assistenza e impaurito dalle conseguenze, chiama il 118 e si fa portare in ospedale.
Fortunatamente da questo punto di vista è andata bene.
Un “caso” fortunato. Casa spaziosa che mi ha consentito l’isolamento; una malattia vissuta come una brutta influenza e oramai in regressione; dei parenti che ci hanno fornito la spesa facendoci trovare tutto sull’uscio della porta…
Però, in effetti, come definirmi?
Io non sono un “Caso COVID-19” ufficialmente riconosciuto.
Io sono un caso sospetto NON ACCERTATO.
Non faccio parte di quelli che contribuiscono ad “aumentare” il numero dei contagi né a “diminuirlo” in seguito a guarigione accertata e documentata.
Eh no! Perché nessun tampone molecolare è stato finora eseguito e il tampone antigenico rapido va sempre “confermato” con la successiva esecuzione di un tampone molecolare.
Questo perché – in Sardegna – il tampone antigenico non ha valore diagnostico di malattia e/o guarigione.
Mi chiedo quindi di quanto aumenterebbe il numero dei contagiati se venissero effettuati i tamponi molecolari a tutti gli “invisibili” sospetti ed isolati (siamo davvero tanti…).
L’ottimismo ha portato mia moglie a comporre il numero verde dell’Unità di crisi, così come suggerito da qualsiasi DPCM, da qualsiasi ordinanza regionale e da TUTTE le locandine ministeriali che ci dicono : COSA FARE SE.
Al numero verde regionale dell’unità di crisi hanno risposto.
Si, una gentilissima signorina che ci ha detto che “loro” non possono darci comunicazioni, che sicuramente verremo contattati dall’Igiene Pubblica ma che non può sapere quando perché “loro” questo non lo sanno…
Quindi ci siamo chiesti : l’Unità di crisi che scopo ha? Che utilità ha per il cittadino chiamare un numero che NON ha informazioni da darti?
E questa “Igiene Pubblica” è forse un ente a sé stante? Che però non comunica con l’Unità di Crisi al fine di dare informazioni agli utenti che compongono il numero solo per avere le informazioni, così come raccomandano i DPCM, le ordinanze e le locandine?
Qualcosa non sta funzionando…
Nella mia immensa solitudine da isolato mi confronto con altre situazioni simili, altri casi di chi aspetta di essere contattato da settimane, ma anche di chi è stato contattato, ha eseguito il tampone, ed è in attesa dell’esito con tempi medi stimati di circa 8/10 gg per avere la certificazione.
Adesso che ho iniziato a contare i giorni senza sintomi comincio a chiedermi: – Quando verrò contattato?
Se non documento con un tampone “molecolare” negativo la mia guarigione non potrò rientrare al lavoro.
Tra l’altro “guarigione” è un termine non adeguato, considerando che non è stata accertata la malattia COVID-19.
Allora ti vengono i dubbi e ripercorri le procedure da seguire. Secondo tutte le indicazioni, nel momento in cui c’è una segnalazione all’ATS tu devi :
- Isolarti (fatto)
- Attendere che ti contatti l’ATS (in attesa…);
- Eseguire, su convocazione dell’ATS, il primo tampone che certifica la positività e quindi la malattia COVID-19 (non pervenuto);
- Eseguire, su convocazione dell’ATS, il secondo tampone che certifica la negatività e quindi la guarigione dal COVID-19 (come sopra, non pervenuto);
- Rientrare al lavoro dopo l’accertata guarigione, previa visita con il Medico Competente.
Dopo 17 giorni siamo ancora fermi al punto 2.
Forse è il caso che qualcuno sappia che qualcosa non sta funzionando…
Che ci sono tanti, forse tantissimi “CASI – NON CASI”».
8 Dicembre – sintomi influenzali, febbre a 37,5 curo con Fluental,
9 Dicembre a casa senza febbre e sintomi attenuati e il 10 rientro in ufficio.
11 Dicembre perdo olfatto e gusto
12 Dicembre mi isolo
15 Dicembre – tampone antigenico positivo – laboratorio invia segnalazione all’ATS
medico di base avvisato da me e il quale fa a sua volta altra segnalazione all’Ats e mi comunica che da quel momento sono in isolamento fiduciario
16 Dicembre – datore di lavoro prenota tampone molecolare all’ASL di via Romagna
18 Dicembre – ATS mi contatta per segnalazione da parte del laboratorio analisi e per farmi eseguire il tampone molecolare che avevo già eseguito – mi danno email per richiedere referto
19 Dicembre – ATS mi ricontatta per segnalazione da parte del mio medico di base e per prenotare tampone molecolare ma ribadisco che ero in attesa di risultato del molecolare
19 Dicembre – ATS mi invia referto del molecolare positivo via mail
01 Gennaio – mai contattata dall’USCA, mai contattata dall’ATS per 2O tampone
completamente abbandonata
in tutto questo i sintomi sono sempre stati lievi, una sinusite attenuatasi dopo 10 giorni, e qualche colpetto di tosse insorto il 29 Dicembre. gravi problemi psicologici causati dall’isolamento impostomi
mai ricevuto risposta alle mail inviate all’ATS
tornando indietro non avrei fatto il tampone, non avrei denunciato i sintomi