La manifestazione di Arborea significa realmente una presa di coscienza nazionale sarda da parte degli agricoltori e dei pastori?
È presto per dirlo. Non si capisce ancora se un’organizzazione centralistica e fortemente ‘romana’ come Coldiretti stia o non stia facendo un percorso di assunzione di consapevolezza che la questione rurale e agricola della Sardegna è questione economica, politica, sociale e antropologica sarda.
Una cosa è certa: nelle campagne non c’è spazio per strumentalizzazioni politiche partitiche, ma neanche per la vecchia consuetudine di agitare le folle per piccole trattative.
In campagna c’è più cultura di quel che si pensi; c’è gente che fa di conto e che non è interessata a incoronare questo o quel leader, ma è interessata a difendere i suoi interessi legittimi, i suoi soldi e il suo lavoro.
Per difendere questi interessi, si sta facendo strada l’idea di non andare a votare, cioè di far deflagare con una protesta legittima, legale e civile, il fatto che la gran parte della Sardegna è consapevole di essere privata di legittima ricchezza da una illegittima e parassitaria presenza della macchina dello Stato italiano.
Per avere un’idea di ciò che hanno addosso i pastori, pubblico il manuale degli adempimenti Agea sulla Domanda Unica. Una persona normale, dopo la lettura di questo capolavoro barocco che incombe sulle campagne (e che non è tra i più noti alle agenzie regionali), non solo non va a votare, ma fa lo sciopero della fame.
Continuo comunque a analizzare gli interessi dei pastori.
Adesso c’è una novità.
A maggio 2018 apre il termine per la presentazione della domanda unica (che verrà liquidata in automatico per l’85% a ottobre, se tutto va bene. Quindi, la burocrazia di Stato impone al pastore 10 mesi di anticipazione finanziaria sull’attività svolta e si prende 5 mesi per istruire pratiche che sono definite in automatico. Una follia!).
La novità comunque è questa: per i pastori che pascolano e producono su usi civici e terreni demaniali (cosa molto diffusa nel centro-Sardegna) serve la certificazione antimafia.
Non sto a dire che cosa tutto questo comporti, perché è facile immaginarlo.
La Sardegna sta sotto una montagna di prescrizioni che bloccano lo sviluppo, che rendono immobile la realtà, che cosnumano il tempo.
Se non andare a votare significa porre la questione dell’oppressione burocratica di Stato; se non andare a votare significa denunciare che lo Stato ha ritirato il denaro dagli scambi più comuni e dalle aziende; se non andare a votare significa denunciare l’insostenibilità di una agricoltura con i registri genealogici fuori dalla Sardegna, con la cassa fuori dalla Sardegna, con le procedure fuori dalla Sardegna, allora non andare a votare è cosa buona e giusta (se lo capissero anche i preti e i vescovi di città, come è accaduto nella storia in Catalogna, non sarebbe male).
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