Ieri Il Riformista ha intervistato il Giudice di Cagliari Cristina Ornano. Un’intervista bellissima, ricca di cultura, di sensibilità e di buonsenso. Eccola qui. Poiché non voglio essere frainteso, io non so manco che faccia abbia il giudice Ornano, ho visto per la prima volta una sua fotografia ieri, sul giornale. Non l’ho mai incontrata né vorrei mai incontrarla!
L’amnistia e la depenalizzazione
In un paese moralista come l’Italia, cioè ipocrita e non giusto, il giudice Ornano dice con chiarezza due cose: 1) il nostro diritto è gravato da un eccesso di penalizzazione; 2) serve un’amnistia. Questi i passaggi decisivi sul tema:
«Presidente Ornano, il tema dell’amnistia è stato oggetto di dibattito al congresso di Md. Può illustrarci la vostra
posizione? Noi siamo da sempre dei sostenitori del diritto penale minimo. Ci sono troppi reati? Sì. Lo strumento penale deve essere “l’extrema ratio” per perseguire comportamenti che recano offesa a valori costituzionalmente rilevanti, ad iniziare dalla tutela della persona e dei beni di comunità. E invece? Il problema nasce già con il codice Rocco che era ed è caratterizzato da una forte espansione del diritto penale in funzione del controllo sociale e del dissenso, ma anche il legislatore repubblicano non si è sottratto a questa deriva. La conseguenza è quella di un diritto penale ipertrofico. Quali sono le conseguenze di questo diritto penale ipertrofico? Come ho già detto, un carico penale nei tribunali rilevantissimo. E l’amnistia? Per tutti i reati di minore gravità. Penso ai delitti contro il patrimonio perseguibili a querela, furti nei supermercati o di energia elettrica. Spesso sono comportamenti dovuti all’indigenza ma che insieme fanno numero nei Tribunali».
La fine dei decreti penali e la liberalizzazione delle droghe leggere
Non so quanti dei miei pochi lettori abbiano mai avuto la ventura di incorrere in un decreto penale. Si tratta di una vera e propria condanna che viene emessa dal Giudice per reati minori senza che il condannato ne sappia alcunché fino al momento della notifica. Il condannato riceve poi il decreto penale, mediamente tre/quattro anni dopo i fatti. A questo punto ha in genere due strade (a pena sospesa): o paga la sanzione cui è stato condannato o fa opposizione. Tutti fanno giustamente opposizione, i tribunali si intasano e buonanotte al secchio. Questo è uno dei tanti risultati della penalizzazione anche dei peti in Italia, figlia di una concezione della giustizia legata intimamente alla pena e all’espiazione di ogni errore.
Domanda: chi scrive realmente i decreti penali? La Polizia Giudiziaria, questo potere anonimo di incerta preparazione culturale e giuridica, di cui solo recentemente si sta prendendo coscienza.
Il magistrato firma il decreto sapendo che è carta straccia, ma i benpensanti d’Italia sono soddisfatti. Giustizia è fatta! Il condannato fa opposizione e paga l’avvocato. Cosa dice la Ornano? Ecco qui: «Depenalizzare i reati contravvenzionali o delitti minori non credo possa determinare una caduta del livello di sicurezza del Paese. Penso a gran parte della materia oggi definita con decreto penale, penso a reati di parte speciale, a diverse contravvenzioni del Tulps, all’occupazione di suolo demaniale».
Infine la Ornano dice una cosa saggia e coraggiosa: «C’è poi un tema che occorre affrontare con coraggio, senza pregiudizi e con serietà che è quello della depenalizzazione delle droghe leggere: significherebbe anche infliggere un colpo durissimo alla criminalità organizzata».
Sarebbe a questo punto interessante mettere a confronto la Ornano con il Procuratore uscente Pelagatti (anch’ella impegnata per una massiccia depenalizzazione) che ha denunciato il rischio che la Sardegna divenga, in ragione della piantagioni di cannabis, luogo di produzione e esportazione di droghe leggere in cambio di cocaina. Io sto con la Ornano ma penso che il ragionamento della Pelagatti contenga brandelli di verità. Ella ha capito che un pezzo consistente del Pil reale della Sardegna è dato dallo spaccio di droga (mentre la Guardia di Finanza spia i sindaci per vedere se commettono reati, mentre il Corpo Forestale si atteggia a Sherlock Holmes de noatri e mette multe a prescindere, i trafficanti dilagano). Non ci vuole niente per averne una conferma: basta uscire la sera a Cagliari, dove pochissime aziende producono ricchezza, e vedere come e quanto si spende nella movida cagliaritana. La movida, incardinata da una politica bislacca sull’alto valore delle friggitrici e del mojito, rappresenta lo scaffale del mercato degli stupefacenti. Ma non è la cannabis a chiamare la cocaina (Gianluigi Gessa ha spiegato in mille modi che la cannabis è un terribile introduttore al consumo di droghe via via più pesanti, solo se consumata sotto i 16/17 anni di età), è la penalizzazione della cannabis a farla diventare merce di scambio. È un po’ diverso.
Il deserto Dinanzi al modo ponderato di ragionare della Ornano, viene anche voglia di fidarsi nuovamente della magistratura, ma non è possibile. Ho ascoltato su Radio Radicale tutti gli inteventi del Congresso di Magistratura Democratica e ne sono uscito atterrito. A parte alcuni rari casi di ragionamento profondo sul sistema italiano della Giustizia, la maggior parte degli interventi aveva il sapore della costruzione di un programma politico al servizio del più importante e arbitrario potere dello Stato. Il termine ‘democrazia’ è stato sdrucito, vilipeso, stramato come sinonimo di oligarchia giudiziaria moralmente autogiustificata. È stato un congresso di partito, altroché! Un congresso di un partito corporativo sempre più incolto (anche nella sintassi, oltre che nei contenuti), sempre più arroccato, sempre più specchio dell’intero ordine giudiziario. Ne sono una conferma altre parole della Pelagatti: «Lei è stata giudice e pm: è giusto separare le due carriere come chiede la politica? Non risolve i problemi. C’è già la separazione tra le funzioni requirenti e giudicanti. Tutti i giorni i vengono respinte richieste di condanna e di arresto. I giudici ragionano con la propria testa, non sono succubi delle Procure solo perché lavorano nello stesso palazzo. Anzi: è importante che entrambi abbiano la stessa base culturale: i pm non sono semplici passacarte del materiale fornito dalla polizia giudiziaria, sono tecnici del diritto che devono accertare la verità. Devono vagliare il materiale probatorio con gli stessi criteri del giudice, ecco perché è importante la carriera unitaria. La separazione delle carriere è l’anticamera della soggezione del pm al Governo. Toglierebbe indipendenza». Ho sottolineato la frase che intendo commentare, non prima di aver ricordato alla dottoressa Pelagatti (che mai mi leggerà, ma le parole restano) che se i giudici devono leggere e vagliare gli atti della Polizia Giudiziaria, ancor più i giudici del Tribunale del riesame dovrebbero vagliare ciò che ha scritto un Gip. E invece non lo fanno e si trangugiano tutto ciò che ha sancito il collega a meno che non ravvisino violazioni procedurali. È accaduto così che, proprio a Cagliari, un tribunale del riesame, abbia accolto la tesi secondo cui le agenzie interinali che lavorano per la Pubblica Amministrazione dovrebbero assumere secondo le regole dei pubblici concorsi. La Cassazione ha dato al tribunale del riesame una lezione di diritto e di coscienza, ricordando che questa bislacca teoria è insostenibile perché non fondata sulle leggi. Per cui, avendo sbagliato prima un ispettore del lavoro, poi la Polizia giudiziaria, poi il Pm, poi il Tribunale del riesame, possiamo esser certi che ciò che dice la Pelagatti non trova riscontro nella realtà, ma solo negli auspici. Nessuno legge e vaglia, ma tutti lavorano corporativisticamente a tutelarsi reciprocamente. Altro esempio? Un Pm sostiene che i certificati forniti da enti statali e regionali a un concessionario su beni posseduti dalla Regione sono veri, ma che il concessionario, presentandoli per una gara pubblica, commette un falso. Incredibile ma vero, a Cagliari. Non è dunque vero che i magistrarti leggono. Se va bene, si fanno un’idea, ma non leggono. E non voglio parlare del mondo delle consulenze e degli incarichi che ruota intorno ai casi drammatici dei minori, perché mi piange il cuore.
Questo è il ‘deserto’ nel quale ha risuonato la vox clamans della Ornano.
Chi ritiene che questo articolo sia troppo duro, ripensi alla massima proposta nell’immagine.
La durata ragionevole del processo penale presuppone che si riduca considerevolmente il carico di lavoro dei tribunali e dei pubblici ministeri attraverso una forte depenalizzazione, come auspicato dalla dott.ssa Ornano.
Per fare un esempio, mi consta che circa il 30% dei processi del tribunale penale di Cagliari riguardi i reati in materia edilizia. Mi chiedo che utilità abbia la sanzione penale rispetto alle sanzioni che una pubblica amministrazione meglio organizzata potrebbe e dovrebbe applicare con maggiore rapidità ed efficacia.
Temo che l’ipertrofia delle norme sia dovuta alla cattiva o inesistente cultura civile: scopro come compiere il reato, lo compio, se vengo scoperto cerco un buon avvocato, accuso altri, o, e non dico sia il caso di tutti, dico che vi è un teorema contro di me (CRAXI docet).
Dall’altra parte la calunnia e il pettegolezzo usati non come interesse all’altro (non credo lo sia, ma alcuni pretendono di sì) ma scientificamente per fare del male, per isolare, sino al punto che, vittima di soprusi, sei additato, se ti va bene, come uno stronzo. Ovviamente, ogni cosa che dirà il malcapitato, generalmente non appartenente alle correnti di cui narra Palamara, viene emarginato, fatto oggetto di vere e proprie mancanze di rispetto, nel silenzio sordido di tutti i presenti.
In conclusione, non pensiate di rimediare con leggi quando il sopruso negli ambienti di lavoro è quotidiano.
I tempi di notifica dei decreti penali di condanna mettono a riparo la polizia giudiziaria da eventuali azioni risarcitorie promosse da chi ha subito la condanna.
Da repubblica delle banane
Finalmente un magistrato con cervello lucido, logico e illuminato, speriamo sia di buon esempio