Ieri La Repubblica ha pubblicato la prima parte di un reportage, fondato sulle confidenze (??) di sette esponenti degli apparati di sicurezza dello Stato, sull’inchiesta Consip. Siamo dunque di fronte a un reportage che sta dentro un durissimo scontro ai vertici degli apparati di sicurezza dello Stato italiano, scontro che ora usa la trasparenza, cioè l’inchiesta giornalistica, come strumento di una battaglia più ampia.
Ne viene fuori soprattutto un quadro di disordine le cui vittime si sono potute difendere perché erano uno un Presidente del Consiglio dei Ministri, l’altro un generale della Guardia di Finanza, l’altro ancora un ministro, e così dicendo.
Il potere di cui disponevano ha consentito loro di poter guadagnare ciò che viene negato a un cittadino qualunque: il tempo. Già, perché il tempo è amico del ragionamento, della connessione, della verifica e della selezione dei dati. Un cittadino qualunque, soprattutto in Sardegna, sarebbe stato prima arrestato e solo dopo avrebbe potuto dimostrare che qualcosa non andava nell’inchiesta che lo riguardava, perché sarebbe rimasto vittima del quadro di deduzioni e di induzioni prodotto da intercettazioni a strascico protratte per mesi in attesa del reato, non in presenza del reato, da indagini su argomenti diversi, magari di competenza di diverse Procure trattenute invece in una sola, di trasmissione di atti a innumerevoli avvocati (che parlano con innumerevoli colleghi e giornalisti) relativi a Tizio nel procedimento di Caio (è stato per questo motivo che è emersa l’intercettazione tra il generale della Guardia di Finanza Adinolfi e l’allora sindaco Renzi) come pure del clima di colpevolezza prodotto dai media.
Ma la cosa più curiosa del reportage di Repubblica è la vicenda degli omissis, un capolavoro italico.
Scrive Repubblica. “Si accerterà, infatti, che per un curiosissimo errore materiale, quattro marescialli del Noe hanno depositato il dossier che contiene quelle intercettazioni (e che il pm Woodcock aveva chiesto di omissare, trasmettendolo per competenza alla procura di Modena) in un procedimento parallelo di criminalità organizzata cui è stato dato accesso agli avvocati”.
Quindi il problema sarebbe che il magistrato avrebbe dato l’ordine di omissare (pratica quasi sconosciuta in Sardegna e che infatti sta generando, soprattutto dopo il varo delle nuove norme sulle intercettazioni, interesse tra gli avvocati delle persone che hanno visto affidare al fascicolo di fine indagini intercettazioni assolutamente estranee al reato contestato e che ne hanno compromesso la credibilità e l’onorabilità).
Il problema non è l’omissis ma la detenzione di questi dati.
La conversazione tra Renzi e Adinolfi su Enrico Letta non aveva alcun valore penale e non doveva essere neanche trascritta, anzi, doveva essere distrutta.
Invece quella conversazione sarà conservata per sei anni.
Il problema è la facilità con cui i Gip consentono di 15 giorni in 15 giorni le intercettazioni a carico di una persona per mesi e mesi in attesa del reato, accumulando di fatto big data che poi restano nella disponibilità di chi deve costruire l’accusa, divenendo il materiale attingibile per le narrazioni accusatorie del PM.
Il Garante della Privacy Antonello Soro, in questo bellissimo intervento a un convegno promosso dall’Avvocatura, ha detto, tra le altre cose, che il problema non sta nella quantità delle informazioni ma nella loro qualità, ma come insegnano tutti i i migliori analisti di intelligence, non si capisce se qualcosa è importante se non si è competenti su quel qualcosa. Ho letto alcuni degli atti sul processo in corso a Olbia per l’alluvione: c’è un tripudio di disinformazione, di superficialità, di non conoscenza del contesto e, in alcuni casi, dei fatti che è disarmante. Sempre Soro, in una lettera di qualche settimana fa al Sole 24 Ore ha riepilogato l’attività sanzionatrice del Garante. Scrive Soro: «Di fronte a specifiche violazioni derivanti dalla diffusione, sui giornali e in rete, in contrasto con il principio di essenzialità dell’informazione, di contenuti intercettati privi di rilievo informativo e lesivi della riservatezza delle parti processuali o di terzi, siamo intervenuti con provvedimenti inibitori, volti a impedire il protrarsi del pregiudizio e a tutelare quanto possibile gli interessati». Non solo: Soro ha ricordato che: «Al fine di rafforzare le garanzie di riservatezza dei contenuti intercettati, impedire fughe di notizie o anche soltanto accessi non legittimati agli atti d’indagine, già dai primissimi anni di attività del Collegio che presiedo (e precisamente nel luglio 2013), con uno specifico provvedimento abbiamo prescritto alle Procure della Repubblica l’adozione di misure di sicurezza, di tipo fisico e logico, idonee a garantire una maggiore protezione dei dati trattati». La Sardegna non è stata ancora raggiunta da questi livelli di civiltà giuridica, ma Renzi dovrebbe osservare che a difendere i suoi diritti di cittadino è un uomo della vecchia Repubblica che lui avrebbe coerentemente rottamato.
Il difetto di competenza di chi ascolta, porta alla tendenza all’accumulazione dei dati per costruire un universo autosufficiente e duraturo (sei anni) di informazioni su cui fondare l’accusa; poi accade che l’apertura a un universo di informazioni più largo dimostra l’infondatezza dell’accusa e il castello crolla, ma lascia a imperitura memoria un castello di induzioni, deduzioni, accuse, brandelli di conversazioni, profilature psicologiche d’accatto fatte da agenti, sottufficiali e ufficiali, non certo da analisti dell’intelligence, che sono vulnerabili alla curiosità morbosa dell’opinione pubblica. Nel frattempo, chi non è un Presidente del Consiglio, muore, perde prestigio, viene processato in piazza. Ebbene, questi temi, che riguardano come dice Soro la libertà personale, non hanno nel Parlamento italiano il giusto valore, sono subordinati alla legge elettorale e personalmente trovo significativo che un Paese pensi più alle forme del potere che a quelle della libertà. Abbiamo una certezza: l’Italia non è interessata ai temi libertari, per cui chi li vuole difendere deve attrezzarsi per difendersi, cioè paradossalemnte deve usare il sistema giudiziario come controfuoco verso chi ne abusa. È una faticaccia, ma va fatto.