E dunque ieri alti esponenti della Polizia di Stato e della Guardia di Finanza hanno visto comparire i loro nomi sui giornali manettari quotidiani. La cosa stupefacente è che di queste persone, dichiarate non indagate, si sono fatti i nomi e i cognomi sui giornali. La nota norma della Carta de Logu, cani no pappat cani, è stata violata. Il sangue morale di dipendenti dello Stato è stato versato.
Perché?
Perché le indagini devono essere nutrite dal plauso o dai fischi del pubblico?
Quale urgenza vi era di fare una conferenza stampa su un’indagine appena agli inizi, nella quale solo con uno sforzo di esattezza si potrà distinguere chi dolosamente ha saltato la fila da chi lo ha fatto inconsapevolmente e dunque senza commettere reato?
Perché nessuno si ribella a questi metodi?
Perché un poliziotto o un finanziere devono vedere i loro nomi associati a un’indagine e invece altri no? Come si seleziona l’esposizione al ludibrio? A seconda dell’impatto, dell’indignazione che si suscita? Non si è ancora capito che nutrire queste pratiche e questi sentimenti incattivisce il mondo?
È ben chiaro che in Sardegna e in Italia ci sono stati i furbi del vaccino. Lo dicono i numeri. Ma capire le responsabilità non è una corsa di velocità, è un lavoro meticoloso, profondo, libero da pregiudizi, faticoso.
È chiaro che anche a Oristano ci sono stati i furbi del vaccino, chi può negarlo? Ma capire chi sono, collocare chi, potendolo fare, lo ha fatto in modo fraudolento, significa capire il reticolo dei poteri che oggi governa la sanità oristanese, il reticolo che l’ha fatta sprofondare da prima nei livelli essenziali di assistenza, quale era, a ultima. Avrà una responsabilità chi non ha capito che la precedente certificata eccellenza nasceva proprio dall’estraneità di chi la governava ai poteri locali, alle reti locali di complicità, ai sodalizi espliciti e occulti, agli interessi frequentemente in contrasto con quelli pubblici? Per capire lo sfascio della sanità oristanese e il traffico dei vaccini – cose intimamente correlate – bisogna prima di tutto saper fare silenzio, riconoscere i propri errori e fare una sano esercizio di prudenza e umiltà.
E invece no.
E poi, quale è, alla fine, il risultato della macelleria giudiziaria? Dolore, dolore puro, e ci si dimentica pure, nel tentativo di colpire l’immaginario dell’opinione pubblica degli errori del passato.
Era il 2017. Nell’aere il successo dell’operazione “Melograno” , un’operazione antidroga seria, fatta dai carabinieri, frutto di indagini e pedinamenti, ma che si infiorò all’ultimo momento, nella giornata del 14 novembre, di una notizia clamorosa. La Nuova Sardegna scriverà il giorno dopo: «Ieri a tarda sera, però, i carabinieri hanno eseguito un fermo in flagranza di reato nei confronti di una persona a Masullas. Durante una perquisizione domiciliare (in tutto 17), sono state infatti trovate venti fialette di shaboo, una metanfetamina di tipo psicoattivo che procura gli stessi effetti della cocaina ma costa molto meno. Proviene soprattutto dalla Cina e dalle Filippine, nell’isola è stata sequestrata soltanto in altre tre circostanze». Ovviamente: conferenza stampa (della famosa droga sintetica si parla alla fine del servizio).
Passano due giorni, due giorni non un mese, due giorni, il tempo necessario per fare analizzare le fialette ma che sarebbero bastate anche per riflettere e attendere, e scoprire che servivano per alimentare sigarette elettroniche.
Ecco.
Che dire?
Nulla, perché parlano i fatti e dicono che gli esercizi di modestia e di prudenza di manzoniana memoria avrebbero necessità di essere riproposti a chi di dovere, a chi dispensa dolore con indifferenza. Unicuique suum.
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