Oggi L’Unione pubblica, su carta, un’intervista al Procuratore generale della Repubblica di Cagliari, Patronaggio, già uscita sul sito del giornale 8 giorni fa. Mai capiti i giornali che si fanno concorrenza da soli: perché si dovrebbe comprare il giornale che riporta ciò che si è già letto in rete? Mistero.
Ma ciò che più colpisce sono gli argomenti: conflitto tra i poteri dello Stato, pretese invasioni di campo della magistratura, la Santanché, Violante.
Neanche una sola domanda sull’inchiesta in corso in Sardegna per associazione mafiosa; neanche una domanda sulle sentenze che vengono depositate con comodo; neanche una domanda sui testimoni che dicono una cosa quando vengono ascoltati dalla polizia giudiziaria e se la rimangiano durante i processi; manco una domanda sulle differenti sentenze per lo stesso reato a seconda del mutare degli imputati (continuo a ritenere urgente la pubblicazione sinottica delle sentenze dei contributi ai gruppi consiliari delle passata legislature); neanche una domanda sulla tempistica del fine indagini con grandissimo riguardo per l’agenda politica in modo che gli elettori votino con gli occhi bendati.
Faccio solo un esempio sulla questione dell’associazione mafiosa. Tommaso Perna è un Gip milanese che si è rifiutato di arrestare 142 persone che, secondo la Procura, erano indiziate di far parte di un’associazione mafiosa. La Procura ha percorso tutti i gradi di ricorso. Alla fine la Cassazione ha dato ragione a Perna: non si può parlare di associazione mafiosa se la penetrazione del tessuto sociale di un determinato territorio avviene senza l’intimidazione e l’uso della forza e senza. Non che le attività prive dello stigma della violenza non costituiscano reato, ma non configurerebbero, secondo la suprema corte, il rato punito dal 416 bis.
La questione ci riguarda, perché dai tempi del caso Piroddi in Ogliastra (dove la violenza, tragica e drammatica, fu usata eccome) in Sardegna, ripetutamente, e ultimamente per l’inchiesta che ha portato all’arresto – tutt’ora in corso e per me molto campato per aria – dell’ex assessore all’agricoltura, si è avanzata l’ipotesi del 416 bis.
Per quanto possa sembrare strano, io – per quel che vale – non mi trovo d’accordo con i giudici della Suprema Corte. In sostanza in questo momento in Italia, si può colpire la mafia come mafia quando è formata, ma non quando si sta formando. Quando si sta formando è associazione a delinquere. E qui si scivola, perché non pochi procuratori si sono inventati accuse di associazione a delinquere pur di colpire uno o più sospettati e continuare a indagare su di loro con comodo (sono ancora troppo incazzato con uno per raccontare serenamente una storia, ma prima o poi lo farò, magari in un libro), per cui questa ipotesi di reato è stata un po’ stramata nel corso del tempo, un po’ come la pelle che protegge nobilissimi tessuti di altrettanto nobili organi che garantiscono momenti di felicità, e non è più in grado di aggredire bene nuove forme di reato.
Il problema, in Sardegna come altrove, è che le forme associative di reato, prima ancora di prevedere l’uso della violenza, possono avere un obiettivo di controllo, di presidio, di potere. Questo, che reato è? Non si tratta di indagare i reati dei colletti bianchi, operazione ritenuta eccitantissima da magistrati e investigatori perché è come mostrare il re nudo; si tratta invece di capire quando la malavita si muove secondo i metodi della politica per scopi non politici. Mafia capitale non sarà stata mafia, ma era qualcosa di molto simile ed era puro e distillatissimo disegno di potere. Se il mondo di mezzo romano non era mafia, resta il fatto che Ostia stava per sfuggire al controllo dello Stato.
Anche in Sardegna, ci sono strutture informali che sono di vero e proprio illegittimo soft power e che sono finalizzate prima al controllo totale di un territorio o di un ambiente e poi alla sua valorizzazione economica. Ci si trova dinanzi a qualcosa di importante, ma molto mimetizzato. Sono reati sofisticati, molto più sofisticati di quelli odiernamente rubricati e perseguirli è questione molto delicata sotto il profilo costituzionale, nel senso che può aprire una falla nella tutela della libertà individuale e dei diritti politici. Queste cose, però, si possono capire se si studia prima di arrestare, se ci si confronta con chi analizza questi nuovi fenomeni, in una parola, se si tiene più alla verità che alla fama. Di tutto questo non sarebbe valsa la pena discutere col Procuratore? Forse sì.
La contestazione del 416-bis nel caso che coinvolge, tra gli altri, l’ex assessore all’agricoltura Gabriella Murgia, sotto il profilo fattuale sembra una baggianata che verrà facilmente smontata, se non lo è già stato. Tutt’al più, c’è qualche traccia di commistioni massoniche tra i vari personaggi coinvolti nella vicenda, ma per rendere configurabile il 416-bis ci vuole decisamente di più, al di là delle spacconerie telefoniche di un medico.
Se Patronaggio, pur avendo un bel po’ di esperienza di antimafia non solo ad Agrigento, ma prima ancora a Palermo, non è stato coinvolto in questo discorso, potrebbe dipendere proprio dal fatto che non dev’essere tanto convinto del procedimento portato avanti dalla procura di Cagliari, su cui allo stato il Procuratore Generale ha poteri limitati.
Questa vicenda non assomiglia all'”operazione Tuono”, che effettivamente aveva creato un clima mafioso, ma in un’area molto circoscritta. Piuttosto ha qualche punto di contatto con “Mafia capitale”, dove, come è noto, alla fine non fu riconosciuta la configurabilità del 416-bis.
Casomai, in Sardegna, piuttosto che mafie in formazione, ci sono le tante “mafiette” localizzate che impestano le professioni e il vivere civile in tutta Italia, senza bisogno di emuli di Totò Riina o di Matteo Messina Denaro: mafiette delle professioni, mafiette accademiche, mafiette imprenditoriali, mafiette politiche che spesso sono la prosecuzione con altri mezzi di quelle citate. Queste, ognuno dovrebbe avere la coscienza di combatterle per conto suo, nell’ambito professionale o sociale di cui fa parte.
“Il problema, in Sardegna come altrove, è che le forme associative di reato, prima ancora di prevedere l’uso della violenza, possono avere un obiettivo di controllo, di presidio, di potere. Questo, che reato è? ”
Paolo, non ci caschiamo anche noi.
Non ogni comportamento scorretto è necessariamente reato.
Una denuncia civile di accaparramento di potere mediante camarilla dovrebbe avere una forza dirompente superiore a quella di una conferenza stampa in divisa; “dovrebbe…”
Ed il compito del diritto penale dovrebbe essere quello di colpire il comportamento accertato, che nell’indebito accaparramento di potere è quasi sempre un momento, un passaggio, un anello della catena (lì si che colpisci se sei in gamba): non una costruzione teoretica ed un apocalittico “tutti dentro” inevitabilmente destinato a diventare un tutti fuori.
Io consiglio di spostare lo sguardo anche ad altre istituzioni dove chi ha potere lo usa in modo mafioso.
Non si tratta di singoli corpi dello Stato, ma di un’intera nazione – ma il fenomeno è esteso – che sta agendo per altre vie, manipolando pareri e creando un consenso fondato sulla paura. Chi può dirsi fuori? Semplice, chi non beneficia del sistema, chi è perseguitato ogniqualvolta dice ciò che pensa o chiede conto di manifesti abusi.