Ripeto ciò che vado dicendo da anni. Da solo. Senza paura.
Perché una Procura della Repubblica fa una conferenza stampa?
Secondo l’ordinamento della Repubblica italiana, il Procuratore sostiene, a nome dello Stato, l’onere dell’accusa nel processo.
Gli interlocutori dei Procuratori sono dunque i Giudici.
Invece il Procuratore di Oristano ha fatto una conferenza stampa per comunicare all’opinione pubblica una tesi d’accusa che ha addirittura supportato degli arresti.
La domanda è: chi dice che le accuse sono fondate?
La seconda domanda è: chi dice che le ambiziose e funamboliche ricostruzioni della Polizia Giudiziaria sono aderenti ai fatti? Queste narrazioni con enormi premesse e piccole conclusioni, da quali fatti sono supportate? Chi stabilisce che un’ardita deduzione è una certezza e invece una semplice constatazione è falsa?
La Legge dice che a verificare la veridicità delle accuse sono i Giudici, non i Procuratori.
La Legge dice che i Procuratori agiscono nel processo, non fuori dal processo e che devono confrontarsi con la difesa. O mi sbaglio?
La Legge dice che la Polizia Giudiziaria agisce al servizio della Procura, non fa conferenze stampa. O mi sbaglio?
Dov’era la difesa nella conferenza stampa di ieri?
Perché la Procura si sente in dovere di comunicare le proprie accuse all’opinione pubblica prima che siano vagliate da un Giudice?
Capirei una conferenza stampa dopo un rinvio a Giudizio, o dopo una sentenza di primo grado, ma al momento dell’attuazione di provvedimenti di custodia cautelare, all’inizio di un processo, perché si sente il bisogno di parlare all’opinione pubblica, cioè a un soggetto che per legge non è l’interlocutore di un Procuratore.
Non posso esprimermi sui moventi morali, giuridici e pratici della conferenza stampa della Procura di Oristano. Non sono in grado di ricostruirli né di intuirli.
Ma so valutarne gli effetti.
La Procura con la conferenza stampa ha amplificato le sue ragioni, ha cercato il consenso (obiettivo tipicamente politico) del popolo sul suo operato, ha moltiplicato la sua immagine in uno specchio prospettico. Il procedimento, molto noto in letteratura, è produrre un evento in cui sembri che ciò che afferma uno è condiviso e affermato da molti.
Ma noi siamo letterati e sappiamo che è solo uno che parla e ancora non si sa se abbia o non abbia ragione, ha solo la forza di imporsi in questo momento. Contempla se stesso, come Narciso.
Poi c’è la strategia della paura.
Si pensa che facendo paura a persone buone e oneste ne si piega lo spirito di libertà. Niente di più sbagliato: chi ha il cuore sano, la coscienza a posto, il coraggio integro, non ha paura. Sta dritto ed è proprio questo che dà fastidio.
Sono amico, intimamente amico, spiritualmente, affettuosamente e profondamente amico di Antonio Succu e Augusto Cherchi. Non ho alcun pudore a dire che li amo e li stimo profondamente, come sa fare un uomo educato a non avere paura del suo cuore.
E infine c’è l’esperienza della storia.
Chi conosce che cosa è avvenuto in tanti processi in sede di rinvio a giudizio, a distanza di anni dall’inizio delle indagini annunciate come censure di gravi reati? Quanti sanno che tanti processi annunciati come clamorosi si sono conclusi con clamorose assoluzioni?
La Procura non fa conferenze stampa su ciò che la smentisce, ma le fa sulle sue ipotesi di accusa. Perché?
Qualcuno fa statistiche sul rapporto tra accuse e assoluzioni?
No. E perché?
Qualcuno fa statistiche sulla qualità dell’indagine giudiziaria alla luce delle sentenze dei Giudici? No.
Esiste un parlamentare, dico uno, che ponga al Ministro della Giustizia questa semplice domanda: “In ragione di quale legge i Procuratori, i corpi di Polizia e la Guardia di Finanza fanno le conferenze stampa sulle loro di accuse?
Sono cose che ripeto da anni, ma che oggi ripeto con maggiore e ulteriore convinzione.
Agli uomini liberi e buoni perseguitati da una cultura del sospetto e da un potere esorbitante, dedico la canzone con cui gli schiavi d’America hanno combattuto per la libertà che, in traduzione libera, dice: E prima di essere schiavo / sarò sepolto nella mia tomba. / E tornerò a casa dal mio Signore e sarò libero, / e sarò libero.
Paolo, credo al tuo impegno, ma i tempi sospetti nascono molto prima di noi: molto prima di questo secolo, di questo millennio. “Da che mondo è mondo”, appunto. Mi scuso se non sono stato chiaro. La responsabilità, dunque, non può essere nostra, bensì dei poteri costituiti (più di tre, stanne certo), ai quali non interessa che i giudici tutelino i deboli, e non solo dal punto di vista economico; soprattutto se innocenti, o trascinati in aula indebitamente. C’è chi afferma che la legge è uguale per tutti, ma la giustizia è diversa. Secondo me, più che diversa, è oscena! Per accidia e/o pusillanimità concede ampi spazi di manovra agli imputati o accusatori danarosi (stuoli di avvocati, cavilli, ricorsi, contro-ricorsi, rinvii) e mette all’angolo gli “ultimi” (non è forse bullismo?); a meno che non siano casi umani giornalistici che danno visibilità e, dunque, opportunità di fare carriera. Non meravigliamoci se un giorno anche taluni magistrati – sia dai tribunali, che dalle tribune mediatiche – cominceranno a “rilasciare” autografi, anziché i poveri cristi incolpevoli e malati, dimenticati e abbandonati in carcere. Questa è la loro seconda morte, insieme alla morte della Carta costituzionale. Però ai vanesi “ignoranti” è doveroso ricordare, altresì, la fine pedestre di Narciso.
Ma, tempo fa, non si apriva a sua volta un’inchiesta contro ignoti per la rivelazione di notizie coperte da segreto istruttorio, ovvero per la divulgazione di notizie riguardanti la violazione della privacy di terzi?
Credo che in questo caso la denuncia non dovrebbe essere neppure contro ignoti, visto che si tratta di una conferenza stampa, nella quale dei signori ben noti hanno divulgato notizie che riportano dati personali e privati di terzi (gli indagati).
Come minimo mi sembrano motivi di ricusazione, in sede di dibattimento.
Ma si sa come vanno queste cose…
Quindi, sig. Rizzuti, da un lato Lei rileva la gravità delle accuse, poi afferma che, però, occorre che esse vengano confermate dal processo. La domanda è sempre la stessa: perché queste accuse non verificate vengono esposte all’opinione pubblica? Quanto a affermazioni, ipotesi e sospetti a chi si riferisce? Se l’invito è a tacere per non danneggiare gli indagati, come li chiama Lei, ne deduco che in Italia, anche se non si parla dei fatti contestati ma del modo pubblico di contestarli, anziché giovare al diritto, si nuoce alle vittime? È così? Allora, se lo segni, in questo sito la pedagogia e la psicologia della paura non ha granché cittadinanza.
I fatti, così come esposti dal Procuratore, appaiono gravissimi tanto più perché commessi da amministratori e dirigenti della cosa pubblica in un ambito deputato esclusivamente alla tutela della salute di tutti e non alla ricerca del potere o del facile arricchimento personale.
Questa, però, è solo la fase iniziale di un’indagine della magistratura dove non ci sono ancora colpe e colpevoli ma solo presunzioni di reato ed io da garantista non esprimerò mai alcun giudizio sulle persone fino al pronunciamento del giudice.
Ritengo opportuno, in questa fase, usare tutta laprudenza possibile nell’uso di affermazioni, ipotesi o sospetti che nulla portano alla causa degli indagati se non appesantire ulteriormente l’aria rancorosa che da sempre si respira in queste circostanze
Giovanni, ti sfugge sicuramente che io parlo da sempre della giustizia giusta, non solo ora. Ti segnalo, per esempio, un dibattito sucitato da un mio articolo nel 2018 sull’Unione Sarda. Nessun tempo sospetto, credimi. Solo impegno.
Il problema salta fuori quando vengono coinvolti politici e vip, mai quando riguarda poveri e poveracci. Qualcuno dirà che è così da che mondo è mondo. E infatti chi amministra la cosa pubblica, da che mondo è mondo, pensa sempre e solo a sé stesso. Dunque sono tempi leggermente sospetti. Se giustizia e giustizia sociale non sono in sintonia; se la dignità (di tutti) non viene rispettata, né difesa; se quel “dare a ciascuno il suo” diventa uno slogan… non ha senso indignarsi, o stracciarsi le vesti. Altro discorso è l’atteggiamento vanesio di chi brama mettersi in mostra, da qualunque parte stia: è la mediocrazia, bellezza! Chiedete all’indignato per eccellenza ed emittenza, il cavoliere Berlusconi (sì, cavoliere): lui ve la sa spiegare benissimo.
Signor Contini, allora cambiamo le regole del processo. L’ordinamento prevede che il processo sia un confronto tra accusa e difesa; non vi è alcuna norma che dica che l’accusa debba dar conto delle accuse prima in pubblico e poi nel processo e senza contraddittorio. Se Lei fa caso, quando la magistratura fa indagini su se stessa, non fa conferenze stampa, veda, ad esempio, il caso Palamara. Consideri poi, che allo stesso modo in cui la Procura fa una conferenza stampa all’atto della formulazione delle accuse, dovrebbe farle all’atto della sentenza del Giudice, che le conferma o le smentisce. Viceversa, i tanti casi in cui le accuse cadono, non vengono mai pubblicizzate con pubbliche scuse.
Dott. Maninchedda, alcuni passaggi del suo commento li condivido, soprattutto il fatto che sia errata l’accettazione acritica che si dà alle accuse esposte dagli inquirenti nella conferenza stampa, (è fondamentale ritenere le persone innocenti fino a condanna) ma ritengo che dopo fatti del genere la cittadinanza abbia il diritto di sapere cosa è successo e quindi l’ottica in cui si inserisce la conferenza stampa (che fanno sempre, in casi come questo o simili) è quella di dare una corretta informazione sulle indagini svolte e sui capi di imputazione che vengono contestati ai cittadini indagati. Bisognerebbe fare un grande uso del condizionale nell’esposizione dei fatti, ma un’assenza totale di spiegazioni farebbe pensare – e scrivere – di tutto e di più
Is Sardos no fustis e ne seus prus onestos e ne prus bonos de is àteros, ma no arrennesso a cumprèndhere mancu poite seus prus delincuentes e prus malos, salvu su chi naraiat cudhu biau de ‘scienziato’ connotu coment’e Niceforo – chi fortzis bolet nàrrere “portatore della vittoria”, mi timo cussa de su buginu –. Istoricamente aus connotu in is úrtimos séculos, si nosi narat calecuna cosa, sa “giustítzia” coment’e sa giustítzia de is frastimos: sa giustítzia ti pregonet!, sa giustítzia ti abbruxet!, sa giustítzia ti cruxat, sa giustítzia ti aventerit!, sa giustítzia dh’imbraghit!, anchi ndi dhu maramundit sa giustítzia!, anchi dhu passillit sa giustítzia!, anchi dhu scatacumbit sa giustítzia!, sa giustítzia dhu scicutit!, sa giustítzia dhu sciopit!, anchi dhu sperevundit sa giustítzia!, sa giustítzia dhu spiochit!, sa giustítzia dh’assantorighet!, o sabores che a “sa giustítzia aundi si abarrat ndi tirat s’arrogu”, “timendhe sa giustítzia est essiu a bandhitare” (e solu ca a unu dhu tzerriànt a caserma fintzes si no iat furau e ne fatu male), “sa giustítzia at de giustu su nòmini isceti”.
Custu po nàrrere no tanti cale “amore/istima” at fatu naschire in sa cultura de is Sardos sa “giustizia” de su buginu, o cale fidúcia, a su puntu chi unu provérbiu narat «menzus acontzamentu lanzu chi no senténtzia rassa».
Ma in tempos passaos no dhue iat televisiones sèmpere a cassa de “novas” de bandhire e torrare a bandhire e bandhire ancora e giornales e giornalistas fintzes “a centimetro quadro” chi ndhe prenent pàginas e pàginas (ma per guadagnarsi il pane) fintzes a candho, e cantas bortas, la montagna ha partorito un topolino e unu “trafiletto”, de circai a microscópiu o una “nova” in TV coment’e unu pispisu in mesu de is tronos, bastat po… sa giustítzia. E bae e busca cantos giúdices ant fatu custu chi at iscritu G. Viarengo: «Candu fia procuradori una borta apu domandau iscusi a s’imputau ca sa giustítzia, isballiendi, fiat istétia po issu càusa de tribbulia». Dh’at fatu «una borta», si biet chi Viarengo at ibballiau própriu pagu. Si est. Custu chentza pentzare a is istatísticas chi narat Maninchedda po chie paret chi no ibbàlliat mai.
Is “conferenze stampa”…, cosa giusta o cosa ibballiada tocat puru de fàere ischire chi si agatant (ca, si no ndhe foedhant “gli organi di informazione”, dhue funt?) Tocat a fàere ischire cantu faent (sinono, ite funt faendho?) e tocat a fàere ischire cantu contant (sinono, ite contant?) e tocat chi totus chentza distintzione tra onestos e disonestos ischípiant chi funt de tímere. S’istima e sa fidúcia dh’arribbaus a cras e coment’e in is sèculos passaos nosi acuntentaus de unu «acontzamentu lanzu» si cumprendheus calecuna cosa de ite totu bolet nàrrere a “si arrangiare” (e su chi at iscritu Pigliaru babbu) ca de… giustítzia aus tentu cussa de su buginu.
E oe at a èssere “Narciso” chi bolet “s’isprigu riflettore” o su “megafono”, at a èssere “progressione di carriera”, o at a èssere a parare fama? A donniunu praghet a èssere importante: giustu, est diritu e dovere; ma sèmpere po sa giustítzia de ancu ti cruxat sa giustítzia?