Ieri ho partecipato alla dedicazione di un’aula della mia facoltà a Emanuela Loi, la poliziotta sarda deceduta insieme al giudice Paolo Borsellino, nell’attentato mafioso di via D’Amelio del 17 luglio 1992. L’aula nella quale da studente ho seguito tante lezioni di latino e di letteratura italiana oggi è l’aula Emanuela Loi.
L’iniziativa è stata del prof. Gianluca Scroccu.
Ho avuto l’onore di conoscere il fratello di Emanuela e la nipote, che si chiama come lei, come lei poliziotta. Mi sono emozionato, non solo perché sto invecchiando, ma perché, nelle poche parole pronunciate, questa giovane signora ha mantenuto alta l’immagine di nitore, di dignità, di gentilezza che le foto della zia hanno ispirato sempre in tanti di noi.
La bellezza dell’anima mi emoziona, sempre.
Ovviamente, le tv presenti hanno ripreso solo le prime fasi della cerimonia, non gli interventi delle autorità, del Rettore (misurato, antiretorico, serio come devono essere i Rettori) e la lezione del prof. Scroccu.
E hanno fatto molto male.
Hanno preso la parola il questore Paolo Rossi, il prefetto Giuseppe De Matteis e il Procuratore generale della Repubblica Luigi Patronaggio.
Mi aspettavo, carico come sono di sospetti giustificatissimi verso i vertici e le basi delle forze dell’ordine e verso la magistratura, i soliti discorsi di circostanza.
Avevo preparato animo e gemelli a gonfiarsi di retorica e noia.
E invece mi sono nutrito di giustizia.
Ho visto due poliziotti parlare con un lessico non da questura, con un italiano limpido degno del luogo, senza “che d’è”, senza burocratese da verbale della Stradale, e li ho sentiti dire cose giuste e profonde. Non hanno mai usato la parola ‘ordine’. E neanche la parola ‘Stato’. Hanno parlato di ‘Diritto’ e di ‘Libertà’. Hanno rappresentato il loro ruolo e quello di tutte le forze dell’ordine come un servizio a difesa della libertà di tutti. Mi sembrava di sognare. Mi sono sentito di nuovo a casa, con loro.
Poi ha parlato il dott. Patronaggio.
Ero e sono abituato a sentire l’odore di un giudice altezzoso da lontano. Questo signore non ce l’ha. Questo signore ha più cicatrici d’anima che medaglie ostentate. Umile, cordiale, tutt’altro che assertivo; mi è sembrato una persona che maneggia con cautela l’enorme e ingiustificato potere di cui dispone. La mia naturale paura di queste cariche pubbliche è venuta meno, mi si è allentata la tensione, mi sono goduto, tra l’altro, i ricordi di quest’uomo che ha ricordato Emanuela Loi scendere dalla macchina di Borsellino, pistola in pugno e capelli al vento.
Una sola pecca, ma perdonabilissima: tutti gli interventi hanno sorvolato sull’indegno depistaggio delle indagini sulla morte di Borsellino e della scorta. Non so perché, ma il tema ha avuto solo vaghissimi cenni, chiusi dentro la frase di circostanza degli accertamenti ancora in corso. Rimedio, riportando esattamente la frase pronunciata da Borsellino, nella forma originaria, recentemente ricordata dai familiari dinanzi alla Commissione Antimafia: «Mi uccideranno, ma non sarà una vendetta della mafia, la mafia non si vendica. Forse saranno mafiosi quelli che materialmente mi uccideranno, ma quelli che avranno voluto la mia morte saranno i miei colleghi e altri».
La parte più interessante, per me, di questo articolo è l’ultima, che dice ” una sola pecca…/…”, perché è proprio per quel contenuto, i depistaggi delle indagini, che è morta Emanuela Loi…
Proprio la notte prima, su
Rai 3 ho visto la puntata di Far West, dedicata ai misteri, della politica governativa e affaristico, sulle stragi di Falcone e Borsellino; molto si è detto sulla sua famosa borsa con l’agenda rossa, trafugate dalla macchina di Borsellino, da misteriosi personaggi della polizia di stato, tra cui il famoso super poliziotto La Barbera, di ambigua memoria etc.etc.etc
Quando osservo la foto ormai pluriconosciuta di Falcone (che parla) e Borsellino (che ascolta) con negli occhi stampato un velato sorriso, mi appare molto chiaro, quanto i lineamenti del viso e gli occhi facciano trasparire tutta la bontà della loro anima. Servitori veri dello Stato e uomini totalmente credibili a cui appoggiarsi incondizionatamente. Perchè come amava dire il beato Livatino, ” quando moriremo nessuno verrà a chiederci quanto abbiamo creduto ma quanto siamo stati credibili”. Non credo debba aggiungersi altro. Viene da piangere pensando al loro mirabile esempio. Dio li abbia in gloria.
La frase presentimento del giudice Borsellino dovrebbe essere incisa nella lapide che custodisce i resti del suo corpo….a futura memoria.
Il miglior modo per onorare chi si è sacrificato per noi.
Felice che ci sia, finalmente, un giusto riconoscimento a chi serve verità e giustizia.
Senza sacrificio della vita, sarebbe lecito sperare che tutti fossero all’altezza di questo esempio? Tutti, in ogni ambito in cui operano? È l’ unico modo per rigenerare un paese che si compiace dei successi di chi mente, intriga, tende trappole e ride perché le ha tese e la vittima c’ è cascata.