di Paolo Maninchedda
I comuni mortali che per destino vivono in Sardegna, si occupano di credito per risolvere un problema mica da poco, che è questo: come fare arrivare denaro fresco a una percentuale elevatissima delle imprese sarde, nonostante esse siano per lo più non bancabili e sottocapitalizzate?
I poveri mortali sardi sanno che ormai da molti anni un prestito viene deciso da una check list in cui un impiegato inserisce i dati del cliente e un programma ne calcola la bancabilità. La maggior parte delle volte in Sardegna il risultato è negativo. Noi ci lamentiamo di tutto questo, ma c’è anche il risvolto della medaglia: le banche utilizzano per prestare denaro in parte il denaro dei correntisti in parte quello che ‘comprano’ dalla Bce. In entrambi i casi usano denaro non loro e quindi la legge gliene chiede conto. Mentre i mortali si occupano di queste cose, c’è un’aristocrazia di mantenuti a vita, di specialisti della rendita ( le rendite si chiamavano nel Seicento sardo ‘mercedes’ e dalla loro conquista deriva la ricchezza di tutti quelli con doppio nome che ancora abitano nell’isola) che dalla notte dei tempi siede per diritto lombare (ossia per il nome che portano, cioè per il fatto che, benché si venga tutti da due corpi inarcati in uno dei pochi momenti felici che la vita regala a ciascuno di noi, alcuni discendono da lombi ritenuti nobili e altri da lombi plebei) nei consigli di amministrazione delle banche e che , essendone stata giustamente cacciata, sta riempendo blog, giornali e Consiglio regionale, di analisi semiserie che hanno come unico contenuto indurre i decisori a concedere la grazia di far tornare i propri membri (nomina sunt consequentia rerum) ad essere, oltre che aristocratici lombari, anche aristocratici finanziari. A furia di girare la minestra, la puzza della questua sale!
Posso dire con tranquilla coscienza che io non rientro tra i decisori che dispensano queste cariche e non anelo a diventarlo. Rivolgo però una prece intensisssima ai guardiani dei sancta sanctorum finanziari affinché diano soddisfazione ai questuanti e interrompano la lessatura quotidiana cui i nostri rispettabili cabasisi vengono sottoposti dal pianto degli orfani dei Cda. Un po’ di carità anche per presunti nobiluomini lombari credo possa essere ammessa.
Dopo di che il problema centrale resta il primo: leggi severissime per chi è in crisi, ma la maggioranza delle imprese è in crisi. Questo tema ha anche rilievo storico e lombare, perché solo pochi in Sardegna hanno potuto avere nel corso della storia un rapporto privilegiato col Banco di Sardegna. Se facessimo una storia comparata dei finanziamenti erogati dal Banco a taluni piuttosto che ad altri, scopriremmo che esiste una genealogia del privilegio finanziario che parte dai tempi dei parenti di Cossiga (che alcuni miei stretti parenti plebei non salutavano e facevano benissimo) e arriva alle penultime gestioni tecniche, non politiche (perché la tecnica si sviluppa col compasso e lascia il sudore del consenso e della spiegazione per il popolo ai villani della politica). Questa genealogia ha grande rilievo per il presente, perché magari più di un’eccezione lombare praticata allora potrebbe essere ripescata oggi per finanziare le aziende e farle uscire dalla crisi, onde evitare ai lombi plebei anche la fregatura di scivolamenti verso finanziarie fregature sodomitiche. Amen.
La bancabilità, a volte è non è data perchè Enti fanno fare i lavori con i soldi degli altri… cane morde coda…
Comuni mortali come noi che amiamo la nostra isola e nel caso specifico la nostra città di Macomer si sentono dire da trentatré anni che l’azienda è sottocapitalizzata… pensate che spiccate capacità hanno gli imprenditori sardi che in condizioni sfavorevoli fanno impresa e creano lavoro da sempre con i soldi degli altri!… eh… se avessimo il piacere della bancabilità!