Si sta discutendo della dorsale del gas come ai tempi della Rinascita si discusse della Petrolchimica. Ai sardi pelliti si propone il solito dilemma coloniale: «Uovo oggi o gallina domani?».
Sono felice che in tanti oggi ripetano ciò che meno di un anno fa dicevo da solo e cioè che se si parte dalle tasche dei sardi, cioè dalle tariffe, non si va verso la dorsale, ma verso i depositi costieri e l’elaborazione di una tariffa ponderata. Mi fa piacere, sebbene confermi che in Sardegna si riesce a dare ragione solo ai morti.
Ma oggi l’argomento centrale non è il merito della questione, ma il tifo, la lobby che lo organizza, i giornalisti che chiamano nelle redazioni per orientare i colleghi, i potentati italiani (dell’energia e dell’informazione) che spingono.
Tutto secondo copione, tutto come ai tempi della Sir di Rovelli, con i sindacati, costantemente schierati per l’uovo, e i giornali, costantemente alimentati dalle galline che stanno altrove ma non covano in Sardegna, a far da grancassa.
Il tubo sta a un’idea nuova di Sardegna come l’Ilva di Taranto sta a una nuova Italia. Anche la Sardegna ha la sua Ilva, che è il Sulcis. E a Taranto come qui non si riesce a pensare all’industria e all’energia se non in termini di lavoro in cambio di consumo ambientale. Non si riesce a pensare lo sviluppo in modo sostenibile, ma solo in modo corrosivo. Non si riesce a pensare lo sviluppo a partire dalle tasche, dai diritti e dagli interessi dei sardi, ma si riesce a costruirlo per loro relegandoli al ruolo di consumatori e operai.
Chi si oppone viene travolto da giornali, sindacati, intellettuali, società e quant’altro.
Ho voluto solo dire che si vede da lontano che la discussione pubblica sulla dorsale del gas è intossicata da un’attività di lobbing. Si sente la puzza da lontano, come si sentiva quella del petrolio negli anni della Rinascita (i mitici anni raccontati in forma edulcorata – anche da accademici – perché neanche la storia riesca a dire la verità).
Non ci sono sardi in fila a chiedere l’uovo; ci sono incantatori di serpenti che offrono uova. È diverso.
Signor Falqui, ma scherza? Chi sono i politici? Tutti noi siamo politici e noi, tutti, dobbiamo saper distinguere che cosa è più giusto. Io ho solo detto la mia: il probelma non è “Metano sì, metano no”; sul “Sì” al metano siamo tutti d’accordo. Il problema è se dire “Sì” al tubo, che è cosa diversa. Io sono per il “no”. Lei? Poi c’è un’agguerrita lobby che pretende di criminalizzare chiunque dica “No” al tubo. Lei che cosa ne pensa? Io penso che ci si debba opprore alle manipolazioni delle lobby.
Il punto di partenza è che noi sardi, cittadini e imprese, paghiamo l’energia molto più dei continentali. Questo perché non abbiamo il metano per alimentare le caldaie domestiche e industriali. Abbiamo bisogno anche noi del metano, che ad oggi è insostituibile. Adesso, non fra vent’anni… Come? Questo ditecelo voi politici: dorsale? depositi costieri? Fate voi. Purché subito!
salve, io sono favorevole al METANO come energia a disposizione delle comunità e degli imprenditori che vogliono utilizzarle. La condizione che si deve pretendere è quella del costo che deve essere identico, dico identico, a quel signore di Asiago o al caseificio di montagna che usa il metano per produrre il vapore per fare andare le produzioni da latte a formaggio. cosa dobbiamo fare per la distribuzione del metano? qui sta alla nostra capacità politica ed amministrativa di trattare con lo Stato, che è sempre ” Stato – Coloniale”. bisogna almeno questa volta non fare la fine di Ottana e del Sulcis che come problema è pari a quello di Taranto. anzi di più. siamo riusciti a far intervenire un commerciante svizzero di materiali ferrosi meno importante della società Moralis o Marini. sempre con il consenso dei sindacati. per concludere il costo del metano deve essere uguale a quello di tutti gli utilizzatori d’Italia. paolo mureddu. Associazione Rossomori.
Si totu s’iscopu (degli interessati e dei loro servitori) est cussu de “mettere le mani sul malloppo” e a fàghere no unu servítziu útile a sos Sardos e prus pagu dannosu a sa Sardigna e a su mundhu, ite ndhe lis importat si faghent sas cosas prus assurdas e dannosas? In númene de cale triballu? De cale triballadores? Cussos de muntènnere disocupados o emigrendhe? No amus imparadu nudha de sa petrolchímica, Pianos de ‘rinascita’, ‘industrializzazione della piana di Ottana’ e àteros muntones de milliardos cun sa Sardigna vuoto a pèrdere?
Amus irmentigadu su machine mannu de su GALSI?
S’idea chi lis berrinat su cherbedhu e fintzas s’ànima (degli interessati e dei loro servitori) est sempre cussa de su dinai a tutti i costi (male pro chie costat!!!).
Si una cosa podet tènnere unu minimu de sensu (ma sempre candho s’àinu ispetendhe est mortu de su risu, ca paret chi s’iscopu est a donzi modu de fagher mòrrere sos ‘àinos’, riendhe però, contenti…) podent èssere sos depósitos de su gas in tres o bàtoro logos e cun rete de distribbutzione limitada a ue b’at zente meda (e matessi benefítziu o àteru profetu pro chentinas de bidhas e bidhighedhas).