Continuiamo a emanciparci dal clima di diffusa mistificazione della realtà e di sua radicale ideologicizzazione propagandistica, tipica delle campagna elettorale, parlando di questioni concrete.
Resto fermamente convinto che sia il ceto politico italiano che quello sardo non hanno alcuna coscienza delle reali strutture dei poteri dello Stato.
Vedere molti potenziali candidati e tanti leader di partito parlare solo di soldi da spendere e non di ricchezza sostenibile da produrre per sostenere i servizi e i diritti; vedere molti uomini politici privi delle informazioni minime sull’articolazione dei poteri dello Stato, significa vedere la classe dirigente compiacersi della sua cecità sul potere che realmente incide sulla vita quotidiana delle persone.
Per noi del Partito dei Sardi, avere cultura di governo significa avere anche un’adeguata cultura rispetto ai poteri che sono in grado di trasformare la realtà e di migliorare la vita delle persone.
Per esemplificare oggi parliamo di fisco.
La questione dell’eccessivo prelievo fiscale in Sardegna, (cioè, detto in altri termini, del fisco tragicamente ingiusto) è una questione strategica. È la questione sarda con la storia più lunga, perché affonda le sue radici almeno nei sette secoli che ci precedono. La questione delle questioni è stata ed è l’eccesso di prelievo statale rispetto alla ricchezza prodotta, prelievo che non riesce minimamente a tradursi in servizi pubblici che radichino una struttura statale diffusa in tutto il territorio sardo giudicabile come apprezzabile e giusta da parte di tutti.
Il corollario all’eccessiva pressione fiscale è la sproporzione tra i poteri sostanzialmente polizieschi e inquisitori attribuiti all’Agenzia delle Entrate e i poteri del cittadino di far, non dico valere, ma semplicemente sentire le proprie ragioni.
Facciamo qualche esempio di slealtà vissuta in Sardegna.
1) Un cittadino straniero che a seguito di un’importante operazione finanziaria aveva già pagato al fisco italiano circa quattro milioni di euro per la cessione di un fabbricato, si è visto riproporre un analogo avviso di accertamento sullo stesso bene e questo nonostante la precedente cessione fosse stata definita dagli organi superiori dell’Agenzia. Il cittadino, che nel frattempo aveva attivato altre iniziative imprenditoriali, ha rivenduto tutto in fretta e furia ed è scappato da questo fisco italiano ma, purtroppo, anche dalla Sardegna.
2) Come riferiscono continuamente varie inchieste giornalistiche, il cosiddetto principio del contradditorio, e cioè la possibilità data al cittadino di esporre le proprie ragioni, è diventata un boomerang contro gli stessi contribuenti.
Che succede nella realtà?
I cittadini vengono formalmente invitati, ma gli uffici non tengono generalmente affatto conto delle loro richieste e istanze, perché l’Agenzia non ha realmente interesse a ascoltarli, ma solo ad adempiere a una convocazione prevista per legge. In sintesi l’Agenzia ragiona così: «Ti ho invitato ad esporre le tue ragioni così adempio formalmente ad un obbligo di legge, ma a mio insindacabile giudizio non le ritengo adeguate e ti inibisco ulteriori ricorsi formali». Questo aspetto è ancora più stridente nei casi di valutazioni di terreni e fabbricati, rispetto ai quali attualmente è estremamente difficile determinare la valutazione “di mercato”, giacché il mercato è in forte ribasso e vi è spesso la necessità di realizzare anche svendendo.
3) Non parliamo poi degli errori: l’errore in una dichiarazione dei redditi diventa un incubo in quanto scatta una richiesta di pagamento ingiusto e le rettifiche, con dichiarazioni integrative, hanno dei tempi di definizione così lunghi e complessi che spesso mandano in tilt i cittadini e le imprese.
4) C’è poi la mitica figura del Garante del contribuente. Il Partito dei Sardi, con la legge istitutiva dell’ASE – n.25 del 2016 – prevede un rafforzamento di questa figura prevista dalla legislazione italiana sin dal 2001, pur se priva di reali poteri nell’attività degli uffici fiscali. Venne istituita come un organismo con forte efficacia morale volta a mitigare alcuni comportamenti eccessivi (“vessatori”) degli uffici. Ma in realtà è stata relegata in una stanza delle Direzioni Regionali delle Entrate e con poco personale: questa situazione di subalternità, l’ha trasformata in una figura subordinata e non terza rispetto all’Agenzia delle Entrate, vanificandone identità e efficacia.
Conclusione: non si è classe dirigente se la propria competenza non riguarda la reale articolazione dei poteri dello Stato, se non si conoscono le microtirannidi di Stato che rendono fortemente inibita la nostra libertà. Questi temi – lo Stato, i poteri, le libertà e i diritti – sono decaduti nel dibattito politico, a favore solo dei temi di spesa. Tutti dicono come spendere le risorse pubbliche, nessuno si preoccupa di dire come produrle, nessuno si preoccupa di applicarsi al sistema regolatore della società, cioè a quel delicato equilibrio tra responsabilità e libertà. Il Partito dei Sardi conosce e pratica, invece, questa cultura.