Sto preparando un’inchiesta sui mancati pagamenti in agricoltura e più in generale sui flussi di denaro verso i nostri imprenditori agricoli, ma oggi voglio evidenziare ciò che lega la protesta civile dei pastori intenzionati a non votare e la protesta di chi ingiustamente non è stato candidato.
Ciò che lega questi due atteggiamenti è non tanto la delusione, ma ciò che la genera: l’accettazione quotidiana di un potere esterno alla Sardegna per poi ribellarsi delusi alle decisioni e agli effetti delle decisioni di quel potere.
Noi del Partito dei Sardi abbiamo spesso polemizzato con le organizzazioni sindacali degli agricoltori e dei pastori sardi, proprio perché costantemente le organizzazioni hanno risolto tutte le vertenze con una richiesta di concessione graziosa, vuoi di pagamenti, vuoi di accelerazioni burocratiche, al Ministro di Turno o alla onnipotente agenzia Agea.
Mai, dico mai, le organizzaizoni hanno posto il problema dei problemi: chi decide per i sardi? Non solo: la loro organizzazione fortemente centralistica e italiana, le ha portate costantemente a non ipotizzare neanche lontanamente di dar base e consistenza in Sardegna ai loro poteri di rappresentanza.
Noi abbiamo sempre detto che per risolvere problemi molto pratici della Sardegna bisogna costruire i poteri della Sardegna, non elemosinare la decisione per i sardi da parte di altri.
Allo stesso modo, vedere oggi persone molto capaci e che si sono spese per la Sardegna e per i suoi interessi nazionali venire escluse dalle candidature nei collegi sardi per puro difetto di appartenenza non alla propria terra ma alla fazione vincente nel proprio partito italiano, dovrebbe confermare in tutti l’errore teorico e pratico di organizzare i partiti in Sardegna come organizzazioni periferiche di partiti politici italiani, i quali, inevitabilmente e come sempre accade nelle democrazie, sono egemonizzate dalla minoranza più forte, tuttaltro che preoccupata degli interessi nazionali dei sardi.
Nelle opzioni elettorali del Partito dei Sardi, che abbiamo raccolto sotto il titolo di ‘obiezione di coscienza nazionale‘, c’è anche il non andare a votare. Ma una scelta di questo genere, se dovesse diventare una protesta generalizzata e organizzata, non può avvenire sotto il segno debole della ribellione. Dovrebbe iscriversi invece in un pensiero forte di costruzione dei poteri necessari alla libertà e allo sviluppo della Sardegna che contempli e pratichi la necessità e l’urgenza di partiti con testa, cuore, regole e dirigenza, rigorosamente sardi, sulle cui decisioni nessun sinedrio esterno può dire nulla.
La Sardegna ha i cimiteri pieni di ribelli giustiziati e di delusi morti in esilio. Proviamo a imparare: mai ribelli, sempre forti e centrati uomini di governo, capaci di pensiero, organizzazione, riforme e autentica libertà.