di Paolo Maninchedda
Il primo fatto è che la Cooperativa 3 A di Arborea è il nono gruppo in Italia e che, nell’anno maggio 2013-maggio 2014 è cresciuta, nel contesto drammatico in cui viviamo, dell’8,2% in volume e del 6,8% in valore. Ho sempre detto che le politiche di sviluppo devono avere una bussola: far sì che chi produce 1 euro di ricchezza sostenibile sia messo in condizioni di produrne 1,5. Io non credo che il futuro della Sardegna sia nelle mani dei grandi gruppi come Alcoa (sia detto per inciso, io occuperei gli ex operai Alcoa a piantare alberi e a rifare i boschi. Sarò fissato con le piante – che ammiro sconfinatamente – ma il vero investimento per il Sulcis non è nella coerenza con la storia mineraria, ma nel suo contrario: boschi, porti, accoglienza. Tuttavia, sono isolato e mi allineo), quando hanno voglia di andar via o vengono qui con una strategia spot.
Credo nella 3 A, nei Cellino (pastificio), negli Ibba (Simply), nei Clivati (energia), nella As Do Mar, nei Demuro e negli Argiolas (vino), nei Molinas (sughero), nel distretto della carne, nell’Alimenta di Cualbu, in albergatori come Giovanni Sanna e Francesco Muntoni (nonostante quest’ultimo si sia privatizzato Valle dell’Erica e un largo tratto della costa di Palau), in giovani piccoli imprenditori come Gigi Attianese a Oristano che riesce a fare fatturati significativi senza corridoiare neli palazzi regionali, come Paola Appeddu che fa impresa facendo educazione a Sassari senza implorare nessun finanziamento pubblico, come Maurizio Ferraguti che fa impresa partecipando alle gare, vincendole e perdendole, come fanno le imprese sane, come suor Anna a Cagliari, che si fa carico di tutte le ipocrisie delle famiglie sarde e italiane e fornisce un tetto, un’educazione e un piatto di minestra a chi decide seriamente di prendere in mano la sua vita e di non sprecarla. Potrei continuare ma ho voluto solo dire che c’è tanta gente in Sardegna che sa fare e che attende solamente che si abbia fiducia in loro. Invece questi protagonisti del lavoro e della ricchezza prodotta sono dei fantasmi. Per il pensiero politico non esistono, perché il pensiero politico della Sardegna è sempre stato prodotto dalla borghesia degli impieghi, dai dipendenti pubblici, i quali non vedono il mondo della ricchezza prodotta da e nel mercato. Vedono solo la Pubblica Amministrazione, le pensioni, l’esercito, la scuola, ecc. ecc. Ne consegue che per loro lo sviluppo è lo sviluppo dello Stato italiano. La prossima settimana devo presentare un libro sull’Autonomia: ho rivisto gli appunti del mio libro sul tema – che, sia detto per inciso, non riuscirò mai a pubblicare-; dai tempi di Pilia i temi autonomistici sono sempre gli stessi: fisco, monopoli, sviluppo degli investimenti dello Stato. In ultima analisi, dall’Ottocento ad oggi, i teorici del pensiero politico autonomista non riescono a dire di più che il futuro della Sardegna sta nell’espansione dell’attività dello Stato italiano, vuoi rispetto alle sue capacità regolatorie, vuoi rispetto alle sue capacità di investimento di denaro pubblico. La stessa impostazione si ritrova nell’ultimo articolo di Guido Melis che, certificando la morte dell’autonomia – finalmente – rifiuta l’idea di uno Stato sardo per optare per un’adesione al neo-centralismo italiano di tipo reticolare, contaminatorio, con una visione tutta maturata nell’identificazione dei processi politici esclusivamente con nuove architetture istituzionali di maggiore e più forte partecipazione allo Stato italiano. Sarò io limitato, ma mi sfugge la novità dell’impostazione. Si è capito che essere rimasti ancorati all’autonomismo è stato un errore e si propone un autonomismo contaminato e contaminatorio (niente di nuovo, in sardegna da millenni l’identità è meticcia), più partecipativo allo stato italiano, meno rivendicativo, in sostanza più aderente al nuovo corso renziano. Perché lo si fa? Perché per Melis (non la persona di Melis, ma ciò che culturalmente rappresenta) la 3 A, i Cellino, i Demuro, I Muntoni , i Giovanni Sanna, non esistono, sono fantasmi, e quindi non esiste la capacità autonoma dei sardi di costruire la propria integrazione europea. Si ha una così radicata abitudine a stare sempre all’interno dei propri dogmi da diventare ciechi rispetto ai fatti. È uno dei tanti modi per sprecare la propria esperienza storica, non vedendo il vero profilo della vita per fedeltà a un modello, a un’immagine e a un feticcio.
P.S. Leggo di tantissime critiche ogni volta che si sopprime una direzione generale in Regione. Vorrei fare una domanda di carattere generale: secondo voi è giusto che esistano nell’Amminsitrazione regionale direzioni generali e direttori generali che governino solo nove persone? Perché qui sta il punto: se noi difendiamo il modello regionale di un direttore per nove dipendenti, consumiamo il bilancio a fare direttori generali. Ai Lavori Pubblici ho un Direttore generale per 250 persone e va bene così.
Ė proprio tassativo che non riuscirai a pubblicare il tuo libro sull’Autonomia?
Che brutto questo termine “piantumato”, si vede che non ha proprio nulla di paesaggio, per me è lugubre, sa di cimitero.
Giovanni Piras agronomo
Analisi ben calibrata, non poteva essere diversamente ma, caro Paolo, una cosa… su cui un pò tutti volano alti, il perché le decantate eccellenze sono, al 99%, localizzate in aree “metropolitane”, costiere e/o comunque ben distanti da laddove maggiore è la sofferenza. Riprendendo gli esempi citati da Berlinguer la differenza fra noi e altri è che dove si intravede povertà, limitata remuneratività (economica e, soprattutto elettorale),scarsa attrattività per posizione geografica, ecc… qui si dovrebbe investire invece al contrario si prosegue l’opera di spolpamento, di annientamento socio-culturale si isolano ulteriormente realtà che invece sarebbero, e sono, il nucleo vitale da cui ripartire, diversamente non se ne esce, anzi peggio. O si inverte la rotta o….. si rimane alle chiacchere, qualificate, illuminate, quanto si vuole ma sempre e solo chiacchere.
Maurizio Lai Benetutti
Quello schema che Melis auspica, “della filiera centro-periferia, noi sardi lo conosciamo già. E’ quel cordone ombelicale che non siamo riusciti ancora a recidere, è quella dipendenza paternalistica, quella frizione che impedisce di emanciparci a Stato.
Ieri a Oristano ho assistito alla presentazione di un libro sulla zona franca, relatore il coautore Prof. Aldo Berliguer, che stimolato da alcune domande del pubblico, su chi fossero i nostri nemici e sul fatto che se questa compagine politica fosse in grado di realizzare il bene dei sardi, ha raccontato due fatti sugli studenti sardi e quelli americani che, la dicono lunga sulla diversità culturale di entrambi. Ha detto che gli studente americani entrano in aula e sgomitano per guadagnarsi i primi posti, quelli sardi occupano subito le ultime file; il secondo è che dopo la laurea, gli americani la prima cosa che pensano è quella di realizzare una start up mandando così a se stessi il proprio curriculum, menter quelli sardi si precipitano a inviarlo a qualcun altro. Ora, lungi dal voler tacciare il Prof. Berlinguer di esterofilia, al contrario, a mio avviso gli esempi sono calzanti per ribadire che purtroppo il problema non è solo politico ma anche culturale.
Anche io sono isolato però, siccome non sono un Assessore, posso non allinearmi.
Tu hai ragione per Alcoa, dici bene quando parli delle eccellenze imprenditoriali (molto saggio il distinguo su Francesco Muntoni) ma per il “pensiero politico” non sono dei “fantasmi” ma sono quasi un “fastidio”, una sorta di eccezzione che conferma la regola della borghesia degli impieghi etc. etc.che garantisce però “voti” e “dipendenza”, ingredienti che non può garantire l’impresa seria.
Il “pensiero politico” che ha una visione di sviluppo che passa attraverso lo sviluppo dello Stato italiano non ha avuto un questi anni la visione di politiche di sviluppo basate sulle realtà di mercato.
Mentre, secondo me, la scetticità dei teorici è basata sul dubbio della “capacità autonoma dei sardi di costruire la propria integrazione europea” e non si tratta della “radicata abitudine a stare all’interno dei propri dogmi da diventare ciechi rispetto ai fatti” o di “fedeltà ad un modello, ad una immagine e ad un feticcio” ma dalla paura di consegnare ad una classe politica non ancora pronta resonsabilità troppo grandi, la non certezza di essere preparati, paura di essere realmente soli nel creare il nostro futuro. Renzi fa comodo, ha i voti, il consenso, tutto sommato è più facile e meno rischioso.
Io, purtoppo, ho la stessa convinzione.
In questo contesto possiamo solo pensare a recuperare fette di sovranità(energia,fiscalità, soprintendenze, prefetti).
D’altro canto stai toccando con mano la realtà dei fatti, non ultima quella di quanto sia difficile mettere in discussione Direzioni generali palesemente e semplicemente inutili.
Daddu Caddu
D’accordo con te, ma una precisazione te la devo fare: non confondere gli architetti con gli ingegneri. Gli architetti del vecchio ordinamento, quelli che hanno dovuto affrontare una preparazione da architetto a tutto tondo, senza le scappatoie date, anche nel programma di studi, dal corso laurea breve o lunga, sono paesaggisti. Sono iscritti all’ordine dei paesaggisti. Io, architetto del vecchio ordinamento, sono iscritta all’ordine degli architetti, pianificatori, paesaggisti e conservatori, con tutte le relative competenze riconosciute. Questa confusione, ancora forte in Sardegna, dove la facolta’ di architettura e’ di recente istituzione, per cui chiamare un ingegnere o un architetto per interventi incidenti sul paesaggio e’, sostanzialmente la stessa cosa – anzi, l’ingegnere, che conosce bene il cemento armato, sembra ispirare piu’ fiducia – hanno generato il disastro paesaggistico che e’ sotto gli occhi di tutti. Disastro e problema inesistente ad es. in Toscana, dove i ruoli e le competenze di entrambe le figure sono molto chiare, e dove si attribuisce grandissima importanza all’architetto. Ecco perche’, ad es. il paesaggio del Chianti e’ Patrimonio dell’umanita’ con le ricadute economiche e occupazionali sui vari settori (turismo,agroalimentare, vinicolo) per cui laToscana e’ famosa nel mondo. Per cui verissimo che il paesaggio, con tutti i beni culturali e ambientali che lo strutturano, sia una straordinaria risorsa per lo sviluppo della quale la Regione Sardegna deve imparare a trovare le chiavi della tutela e della valorizzazione, ma non bisogna dimenticare che il criterio primo per raggiungere l’obiettivo sia affidarsi alle figure competenti, senza approssimazione, esattamente come si fa quando si sceglie il medico che deve occuparsi di una certa patologia, se ci serve il dentista non andiamo dal dermatologo.
“coerenza con la storia mineraria” del Sulcis:
il Sulcis ha una storia mineraria di secoli di sfruttamento delle risorse locali da parte di altri che nulla avevano a che vedere con il sulcis, con la sardegna e con l’italia ora e con il piemonte allora, visto che in genere le concessionarie erano società straniere.
la coerenza di chi la invoca sta tutta nel non volere prendere atto delle ricchezze e delle bellezze della nostra terra, così possono continuare ad ingraziarsi il signore continentale di turno.
purtroppo è la nostra mentalità esterofila, che ci fa vedere bello e buono solo ciò che viene da fuori, e non ci accorgiamo o non apprezziamo quello che succede in casa nostra.
faccio solo l’esempio dell’esplosione demografica dei fenicotteri a molentargius: se fosse successo nella camargue o a comacchio ci avrebbero fatto intere trasmissioni e ne avrebbe parlato anche la stampa internazionale.
ma un vento nuovo sta incominciando a “sulare”, per ora è solo una brezzolina, ma sono sicuro che diverrà un vero uragano che spazzerà via tutti questi retaggi che ci portiamo appresso da secoli.
altro che “procura de moderare”, vedi proprio di andare a fare danni da un’altra parte, perchè qui ci riprendiamo la nostra terra
Condivido a pieno; alle regione non servono direttori generali ma persone capaci; non servono poltrone ma manager; purtroppo non è così; la politica deve saper coordinare i territori perché sappiano produrre per un mercato che funziona; invece troviamo la gran parte delle campagne dismesse e Arborea è costretta a sperperare una vagone di soldi per approvvigionarsi di materie prime; Cellino fa la guerra per il grano sardo ma nel Campidano il grano è sempre di meno. Quando la politica capirà il suo ruolo e inizierà a coordinare i territori perché producano a servizio delle imprese Sarde? Di questo ha bisogno la Sardegna per questo abbiamo aderito al partito dei Sardi.
Lo sfogo è ottimo! , la coerenza è forte!, ma come sono soli gli imprenditori , piccoli e grandi ( con tutto quello che ne segue , vedi redditi di dipendenti e collaboratori etc…etc…) mi sembra che anche tu un pò lo sei…lotta per favore ad avere una Regione più piantumata ma non solo nel forestale , anche nella paesaggistica urbana ed extraurbana (ma non progettata da Ingegneri , Architetti o Forestali , ma controllati da Paesaggisti ). Questo porterebbe reddito in tante casistiche imprenditoriali , turistiche , AGRICOLE , edili e tutto il resto…….PERCHE’? Pensa che se vediamo tutti una Regione più bella siamo obbligati a viverla e a tenerla e a farci venire turisti che poi daranno altro reddito…..
P.S. Scusami ma un altro commento è quello che se un giorno viaggiando e non guidando , in macchina , in treno , in pullman e o anche in camion ti accorgerai che in certi tratti di viabilità sono stati piantumati dei vegetali che ostruiscono la bella vista dei nostri panorami e male fanno ….e sono anche costosi alla poca manutenzione…Forza però!!
Da una parte la 3 A cresce come una multinazionale, dall’ altra un noto gruppo di villaggi turistici fa una ricerca di mercato su taglieri sardi lavorati a mano, e parlando di taglieri da 100 euro, che dureranno una vita, chiedono una copia campione scrivendo che e’ condizione importante per aggiudicarsi il cliente(cioe’ loro…) In questa italia che ha perso i pezzi ci troviamo una mareggiata di plebei che hanno contratto un mutuo e che vogliono fare i padroni in Sardegna…