di Paolo Maninchedda
Mentre ieri si scatenava la bagarre in Consiglio regionale, io presiedevo il Comitato del Bacino Idrografico. Poi ho letto le agenzie, i resoconti e oggi i giornali. Mi sono cadute le braccia. Per fare bene politica oggi, bisogna studiare, avere pazienza, capire, leggere sentenze, giudizi di parificazione, leggi, giornali, dossier.
Questa fatica, ben remunerata, è indispensabile per cercare una soluzione al problema principale della Sardegna: non stiamo producendo la ricchezza che ci serve e stiamo consumando i pochi risparmi che abbiamo.
Io sono sicuro che possiamo farcela senza chiedere l’aiuto speciale di nessuno, ma semplicemente lavorando bene di nostro. Dobbiamo abbandonare la filiera della questua: il cittadino va dal sindaco a reclamare, il sindaco reclama con la Regione aiutato dai consiglieri regionali, la Giunta reclama con il Governo aiutata dai parlamentari. Questa filiera ha una madre sempre incinta: la deresponsabilizzazione. È sempre colpa degli altri. Dobbiamo cambiare. Dobbiamo partire dalle condizioni date, pretendere che non siano sperequate rispetto a quelle garantite a altri (la fracica Repubblica Italiana è invece specializzata in pratiche discriminatorie e in sotterfugi fottipopolo) e lavorare per produrre lavoro.
Ieri sono state dette delle solenni fesserie sui conti sardi che, mi si creda, non tollereranno più gazzarre, film comici, numeri da avanspettacolo, avventure ottimistiche o pregiudiziali e ideologici pessimismi.
Io non credo nella ripresa nel 2015. Temo moltissimo un’ulteriore recessione. Solo prelevando noi sardi il gettito fiscale dei sardi avremo la certezza di poter disporre della ricchezza necessaria per geneare uova ricchezza, ma questa è un’impostazione di sovranità che non tutti condividono. Per cui il tema centrale diviene: “Come, in una condizione istituzionalmente subordinata, sosteniamo i redditi dei sardi in un momento di così grave difficoltà e come, contemporaneamente, facciamo sì che questi interventi non siano assistenziali-emergenziali ma strutturali per lo sviluppo?
Se non vogliamo tagliare costi, bisogna essere bravi ad attrarre capitali, ma se su ogni trattativa che si apre con un gruppo privato, partono i sospetti e le interdizioni, dove si vuole andare? Altra domanda: “Come fronteggiamo l’aumento della morosità in tutti i campi?” Altra domanda: “Come attraiamo capitali privati? Come privilegiamo i pochi capitali sardi disponibili? Come rendiamo l’organizzazione del lavoro e della Pubblica Amministrazione fattori attrattivi?”.
Fare casino non è fare politica, è fare casino e basta, ma da che mondo è mondo quando i poveri fanno casino per fare casino, si fanno male.
Comments on “Fare casino non è fare politica”
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Tante domande per tanti bisogni, tanti dobbiamo per tanti possiamo, eppure ancora tanti dubbi sul metodo di governo, quasi nell’impossibilità di sganciarci dai miti e dai vincoli storici della sinistra e della destra italiana che condizionano l’entusiasmo di confluire in un terreno operativo comune, tutto sardo, per il futuro della Sardegna. L’impressione è che ci sia un inferno mentale nascosto nei fan del centralismo, tutti d’accordo sui principi e in disaccordo sulle azioni… a misura diretta del cittadino. Così, l’Agenzia delle Entrate si deve fare, ma sappiamo già tutti che non si farà, perché già la volta scorsa avevamo capito di essere più veloci e più bravi a fare i conti di casa rispetto al governo… E’ più semplice credere in gruppi di persone che individuano il loro collante in un singolo, fermo e sostanziale progetto di riforma condiviso, che non in grossi partiti, pieni di paure migratorie, che si definiscono pluralisti solo perché emersi da un gruppo indistinto, e trovano la forza di esistere solo autodefinendosi attorno a un leader, battezzandosi nell’eresia della sottomissione… Ma giusto… c’è il problema della governabilità. Il futuro della Sardegna sta in un grande partito indipendentista, federato di gruppi minori, che portino avanti progetti distinti.
Oggi questo articolo è anche un po’ offensivo… per le persone normali. Ma quando i poveri si fanno male perché fanno casino, gentile professore, eppure hanno più muscoli dei ricchi, si fanno male perché viene abusato ancora il potere della frusta sui deboli; nell’interesse che i poveri continuino ad esistere, altrimenti come sarebbe possibile spalmare istanze d’uguaglianza? La politica ha bisogno sfigati in difficoltà, altrimenti con chi si contrappone??? La verità poi, è che fuori dalle piccole minoranze, dei paesi o delle circoscrizioni in cui individuano il loro candidato diretto, le persone si sentono spaesate, ma analogamente i politici senza di loro, restano con la pagliuzza in un occhio. E vile o poco virile, tollerabile fino a un certo punto, che il politico incolpi il politico; il domino della discolpa tra consiglieri e parlamentari (il sindaco è un amministratore e il meno pagato), è la cosa più vergognosa, ben sappiamo che il livello superiore non dovrà mai difendersi la schiena dal livello inferiore… Da che mondo è mondo il ‘boss’ si assume la responsabilità, da noi la responsabilità ‘precipita’ sui politici, come se nelle decisioni politiche, ultimamente, sia già insito il verme dell’errore. E questo suffraga nei cittadini il dubbio che la crisi sia indotta, non soltanto da risorse insufficienti, ma dall’incapacità degli uomini che eleggiamo, e che non autorizziamo ad imporci altre restrizioni. Abbiamo un’autorità reale e sufficiente in questo momento per implementare l’isola di importanti riforme politiche ed economiche? “Per fare bene politica oggi, bisogna studiare, avere pazienza, capire…”; io direi di lasciar spazio a quelli che lei definisce poveri, ai servi meno ignoranti dei padroni, che meglio saprebbero amministrare dal loro angolo indiscreto, della politica come delle aziende… come quando, nelle grandi imprese private degli anni 70, la contabilità veniva gestita da un semplice ragioniere, che tutto ignorava di alta finanza. Ma i conti tornavano. Oggi che assegniamo le partite di bilancio ai manager di contabilità pubblica, il fallimento è assicurato.
Il sardo continua a chiedere soldi per la bonifica, ma la bonifica non è parte integrante di un piano industriale bensì funge da semplice ammortizzatore sociale.
I cantieri verdi e quelli forestali non sono finalizzati al recepimento di turismo verde, bensì solo ad elargire stipendi a famiglie indigenti.
Esiste un solo concetto che definisce questa mentalità: mancanza di competitività.
E mentre quelli fanno bagarre in aula, i cinesi e i russi eredi di Chodorkovskij comprano tutto e danno gli ordini.
Fino a quando, fra brevissimo, saranno loro i veri artefici della politica sarda. E i sardi che amano la “propria” terra piangeranno amaramente ma tardivamente.
Giustamente la lotta è reale… esempio e non so se sono sicuro ma è giusto parlarne… in un Ente in Sardegna si ha la fortuna di avere una base militare… e la si sfrutta per fare le fasce frangifuoco con un costo del solo carburante utilizzato… non lo si dà più ad imprese locali perchè si pensa ad un alto costo… ma le imprese locali lo facevano in una quindicina di giorni … mentre i militari lo fanno per il doppio del tempo… dunque il costo si avvicina?… ovvero… ma dai militari lo prendiamo l’irpef zonale?… oppure rientrano nelle tasse dell’ente? oppure… ma le imprese locali stanno sempre a guardare questa crisi?
Ps. non è retorica o populismo… è una parte della cosidetta fiscalità zonale… oppure parola grande “federalismo?”… oppure indipendenza?