Killing me softly, bellissima canzone, da ballarsi rigorosamente stretti con la donna che si ama, ha ispirato il dott. Porri di Equitalia, il quale ha scritto ai suoi dipendenti una lettera, sui successi di Equitalia in Sardegna nel 2013, in preda all’eccitazione sovrana di chi ha spremuto il limone più degli altri.
Eh sì, perché ieri il Nostro Uomo all’Avana ha lasciato sotto il portone di casa di Andrea Virdis a Usini (Andrea Virdis è candidato col Partito dei Sardi) copia della lettera con la quale Porri, il mitico e gentilissimo Porri, si compiace con i suoi dipendenti perché, udite udite, Equitalia Centro ha raggiunto il budget 2013 (269 milioni di euro solo in Sardegna) e perché la Sardegna “ha contribuito [a questo risultato] con una percentuale di riscossione che è risultata superiore alla media raggiunta all’interno del perimetro di Equitalia Centro”. Quindi, in questo momento di disperazione, Equitalia è stata in Sardegna più zelante che altrove; in un momento drammatico, qui in Sardegna sci si compiace di riscuotere più che altrove. I parlamentari sardi nel Parlamento italiano non hanno niente da dire? Tacciono? Ci si sarebbe attesi che qualche istituzione, che so io, il Presidente della Regione, o che so io, i candidati alla Presidenza della Regione, si indignassero per questo miserando giubilo fatto sul groppone dei sardi. Invece no: silenzio, rassegnato silenzio autonomista. Le tasse italiane per molti sardi sono come il destino: ineluttabili. Per noi sono ingiuste nella struttura, nella concezione e nella riscossione. Noi ci sentiamo come gli anglo-americani nel 1775 e come i francesi nel 1789: il tema fiscale è un tema di libertà. In questa campagna elettorale di lobby, di insulti, di minacce, di aggressività sul tipo del ‘non facciamo prigionieri’, di ignoranza e manipolazione, nessuno parla di tasse.
Ecco la lettera.
Dunque la Sardegna in crisi, la Sardegna che non produce più ricchezza al punto da non riuscire a pagare le tasse, la Sardegna che non ha più consumi elettrici industriali, la Sardegna aggredita sull’imponibile da Agenzia delle Entrate e Guardia di Finanza, e sulle tasse a ruolo da Equitalia, la Sardegna boccheggiante, è stata munta più e meglio delle altre regioni d’Italia. Nessuna moratoria a aste, pignoramnenti, sequestri e quant’altro. Si continua a sottrarre sangue da un corpo esangue.
Ripropongo un banale ragionamento. Posto che il fisco italiano sia giusto (e non lo è neanche un po’ perché è uguale a se stesso in territori e contesti economici diversi), lo Stato italiano trattiene per sé un miliardo e trecento milioni di euro di tasse pagate dai sardi che devono tornare ai sardi. Nessuno pignora niente allo Stato; nessuno è incentivato a far sì che lo Stato versi il dovuto alla Sardegna; nessuno percepisce l’8% sul riscosso come contributo ai costi di riscossione; non c’è Fondo d’investimento al mondo che possa assicurare un rendimento dell’8%. Di contro, una quota di debito delle imprese sarde verso lo Stato, pari per il 2013 a 269 milioni di euro, viene riscosso, sottraendo ulteriori risorse a un tessuto economico ormai allo stremo, attraverso una macchina amministrativa incentivata all’incasso con un aggio (perché di questo si tratta) pauroso, e motivata allo zelo più indifferente alle condizioni reali dell’economia isolana. La Stato si sconta il suo debito verso la Sardegna unilateralmente, ma non tollera che la Sardegna non versi il dovuto in un momento in cui non ha più niente da versare. Il problema della Sardegna è lo Stato italiano, ditelo in campagna elettorale. Verrà il giorno in cui ci libereremo di questa ragnatela ammuffita di burocrazia, fiscalismo e corruzione. Con calma, razionalità, legalità, ma anche tanta, tanta determinazione.