Sto pensando seriamente all’esilio.
È una scelta antica che veniva praticata quando una persona era avvertita come antisistema, a torto o a ragione.
Nessuno mi sta cacciando. Sono io che mi sento estraneo: non mi ritrovo in una società che ha abbandonato ogni sforzo di nobiltà.
“Sei un aristocratico”, mi ha detto due giorni fa un amico.
Mai stato e mai pensato di esserlo, però mi accorgo che mentre prima tolleravo molto, di me e degli altri, oggi esigo da me stesso rigore, voglio combattere solo giuste battaglie e scopro che le si può combattere solo da soli.
Noi Sardi non vogliamo combattere, non sappiamo combattere, sappiamo bisticciare e abbiamo una soglia del pudore molto bassa. Noi, tra il sublime e il volgare, fraintendiamo il secondo con il primo perché più comune. Chi ha successo, ha ragione, e per avere ragione bisogna avere successo. Domina l’ansia da applauso, imperversa la corsa al riconoscimento sociale. Si vuole essere osannati dal branco, essere apprezzati dal branco, far parte del branco.
Ho sempre temuto i branchi. Ho sollevato muri di discrezione tra la mia vita pubblica e quella privata per difesa dai branchi.
Viviamo nell’era dei branchi.
A leggere i giornali di oggi si capisce che il mondo politico è stupito dall’inchiesta della Direzione Distrettuale Antimafia. Non crede alle ipotesi di reato. Nega la ‘mafia’ e la ‘mafiosità’. Nega la ‘segretezza’. Nega tutto. Se un mio collega studiasse il linguaggio usato nelle conversazioni dai colletti bianchi coinvolti nell’inchiesta (non quello usato dai pregiudicati, l’altro, il linguaggio degli ‘istruiti’) e quello di alcune dichiarazioni odierne e lo confrontasse con i dialoghi delle serie tv sulle famiglie mafiose, con i “Soprano”, scoprirebbe che politici e white collars imitano i personaggi televisivi. Gramsci è stato un grande pensatore leninista, forse il più grande, ma proprio perché politico e rivoluzionario, aveva capito che il rapporto tra ‘struttura’ (mondo delle relazioni economiche e di potere) e sovrastruttura (cultura) non era nel senso del primo che genera il secondo; Gramsci fu uno dei primi, tra i marxisti, a sospettare il contrario: l’arte genera la realtà. E infatti i sardi istruiti coinvolti nell’inchiesta e alcuni politici commentatori giocano a fare i Soprano, si sentono come in un film, parlano come in un film, si entusiasmano con le parole dei film (il problema è che i Carabinieri non leggono Gramsci e li hanno presi drammaticamente sul serio). L’arte viene fraintesa in realtà e genera la stonatura di uomini che recitano mentre altri vivono. È questo fraintendimento dell’estetica del male come bellezza e coraggio reali, a impedire di riconoscere il vero volto del male anche quando lo si ha sotto gli occhi.
In questo contesto da avanspettacolo si aggiunge anche il sindaco di Nuoro che, imitando Soru per mancanza di altro copione, afferma alla Nuova Sardegna che se la coalizione di centrosinistra facesse le primarie, lui, di grazia, parteciperebbe.
Soru è Soru e Soddu è Soddu. Sagumiddiati, dicono in Gallura.
Ma ciò che più mi colpisce è che ci si possa candidare senza un progetto.
Soru è il progetto di se stesso: prendere o lasciare. A chi piace e a chi no (a me no, per nulla), ma è un pacchetto certificato, chiuso, noto. La sua è una proposta di progressismo autoritario, monarchico e ormai familista.
Soddu?
I progetti in campo nel centrosinistra sono due (al netto di quelli personali e familiari): quello del patto segreto tra Pd e Cinquestelle per la Todde presidente, che ha come contenuto gli equilibri del Pd e dei Cinquestelle, e quello di Milia.
Il problema di Milia è che a furia di dire che non si candida, lo prenderanno in parola.
La sua proposta è quella di un’alleanza costituente per la Sardegna, che faccia le riforme strutturali e abbia un perimetro politico che superi gli attuali Centrosinistra e Centrodestra, pur dichiarandosi alternativo a Fratelli d’Italia e al governo Solinas.
Ambizioso? Forse sì, ma è una proposta politica, è analizzabile, è razionale, è chiara.
Il problema è che chi ne detiene il copyright la sottrae all’agone politico e la affida all’orizzonte della presentazione dei libri. Auguri!
Se Graziano si aspetta la chiamata del Senato come salvatore della Patria, può aspettare tutta la vita. Finisce come al Consiglio delle Autonomie Locali: lui aspetta e gli altri eleggono.
Arriva un momento nel quale si devono almeno verificare i contenuti della proposta, quanti si è, dove si vuole andare. Arriva il momento della gara e non si può continuare a fare riscaldamento. Graziano dovrebbe prendersi un mese per verificare l’ampiezza di adesione alla sua proposta, convocare quanti vi aderiscono, mettere su un gruppo di programma, e da questa posizione strutturata negoziare con le forze della coalizione di centrosinistra (nella quale, in molti sanno che Milia è il più forte nei sondaggi tra gli esponenti riferibili a una provenienza di centrosinistra), e dunque, ovviamente, anche col Pd.
C’è per tutti un Rubicone.
Eeee caro Paolo, io che l’esilio lo decisi col fallimento di Progetto Sardegna e del sardismo ti capisco e te lo consiglio. Ma dubito, per quello che ti conosco, che lo farai. Sei un combattente che non si arrende. Comunque: quante sono le sigle che partecipano alla discussione per il nome del candidato presidente di coalizione? Mi pare di aver capito 19. Come si dice in sardo, lassa perdi…… Quello sardo non è un progetto è un casino. Un abbraccio Enea
Provo a proporre un’altra prospettiva. I sardi non sono antropologicamente riconducibili oggi ad un modello distinto da quello italiano, occidentale (del globale parlerei con qualche dubbio). Viviamo in un’epoca in cui si è man mano posto in discussione il vecchio (ma nei fondamenti forse più nuovo e rivoluzionario di quello che gli si intende sostituire) sistema di valori. Non ci si può salvare, perciò, ricorrendo a ciò che ci hanno insegnato, senza incorrere nella non-esistenza sociale: il processo di discredito è iniziato con forza dagli anni settanta, è ben radicato, e i colpevoli sono moltissimi, anche coloro che oggi si agitano per la perdita dei valori.
L’onestà, a smentire l’idea che la mafiosità sia insita nella nostra cultura, era un valore riconosciuto, quell’onestà che ti spinge a prendere la strada meno praticata, con meno festanti ai lati a salutare con evviva il tuo cammino. Ci vuole una dirittura morale immensa nell’essere soli eppure coltivare la voglia di continuare ad essere le buone cose che ci sono state insegnate.
Da questo, calare alle attuali tristi contingenze è una fatica. Il cammino solitario offre però spazio all’osservazione degli altri e di sé. La prima rivoluzione sarebbe tornare ad un linguaggio propositivo, alla scelta di forme non assertive e autoreferenziali, al rifiuto della minaccia velata che, nei meno forti d’animo e saldi nelle loro convinzioni, ingenera paura, convinzione che ogni opinione contraria avrà un danno per la propria carriera, propria vita, alcune volte.
Questo mutamento darà frutto fra molti molti anni: ne furono necessari almeno settanta per vedere ‘sdoganate’ apologie del fascismo. Forse dobbiamo accettare che siamo qui per favorire una transizione verso un mondo più nuovo, non per esserne gli attori e i beneficiari. Da questa prospettiva, il nostro essere nel mondo ha una ragione ed in ciò possiamo trovare una relativa pace.
È incredibile ma riusciamo (riusciremo) a farci del male anche stavolta. Sottilizziamo sulla purezza dei programmi, sull:introspezione psicologica dei candidati, sulle ricadute antropologiche delle candidature, sui sofismi indipendentistoci contrapposti alle velleità autonomistiche. Ci dividiamo su concetti che i tre quarti dei sardo non capiscono incupiti e disillusi. Il risultato è che dobbiamo temere la ricanditura di Solinas nonostante il disastro di questi 5 anni, o Nizzi (OMISSIS), o Mariotti e qui mi taccio. Siamo davvero ridotti cosi male.? Spero in un sussulto di pragmatismo macchiavellico. Spero in un programma con uno zoccolo duro che permetta una alleanza di principo e su principi con PD, 5 S, autonomisti e la parte ragionevole del Centro. Poi si troverà la strada per un programma anche del fare.
L’unica cosa che ho capito è che perderemo anche stavolta, visto che i destrorsi manderanno Solinas al macero (si fa per dire, visto che gli troveranno una poltrona ben retribuita) e candideranno Nizzi o Pittalis.
Semus gai.
Epuru fintzas pro sos Sardos est sempre tempus de èssere zente, no de giungla o de iscallatóriu o de cultura bullista e mancu ‘speciale’ che sa RAS, ma solu responsàbbiles e fintzes lìbberos; ca una cosa chentza s’àtera cheret nàrrere a fàghere e fintzas èssere mascaredhas, burattini, personalmente e colletivamente, cosa chi no est de su passadu (nois pagu e nudha bi fimus) e mancu de perunu tempus benidore (bae e busca si mancu bi amus a èssere!): est cosa de su mamentu chi semus pessendhe, de cogito ergo sum, si nois puru semus e pessamus, e lìbberos e responsàbbiles cheret nàrrere a cambiare, a l’agabbare cun s’ispetàculu, cun sas cummédias de su risu e de su prantu pro rìere e prànghere a machine.
Condivido analisi politica e strategica. Milia, uomo di esperienza, deve fare il Giulio Cesare e saltare almeno il mammaranca.
Ai senatori deve servigli un piatto già condito, altrimenti il ben servito -piatto- glielo danno loro.
Bonapartismo soriano