Il dato politico e emotivo (per alcuni) più appariscente della tornata elettorale di domenica (trovate qui una tabella sui risultati dei partiti italiani che ci servirà nel corso del nostro ragionamento) è che il Centrosinistra italiano che amministrava Cagliari, Sassari e Alghero, ha perso a Cagliari e Alghero e va al ballottaggio a Sassari.
Cagliari e il futuro del Centrosinistra Il dato di Cagliari è il più significativo, perché al di là della vittoria del sindaco per un soffio al primo turno (messa in pericolo dal voto disgiunto praticato da qualche lista collegata), resta il distacco tra le liste di Centrodestra e Centrosinistra e anche tra i sindaci, che è di tre punti. Come dire: sconfitta e vittoria nette.
La sconfitta di Cagliari però vede il Pd incrementare i suoi voti di due punti: perde la coalizione ma non il partito di riferimento della coalizione. Questo dato merita un approfondimento.
Alle passate regionali il Pd ha scommesso su un’area della Sinistra a doppio tiraggio: Pd ed ex Sel. Ha affidato la conduzione e la Presidenza all’alleato, ma questa strategia non ha spostato, se non di poco, i dati dei sondaggi precedenti le elezioni: la forbice tra i candidati di Centrodestra e di Centrosinistra era intorno agli 11 punti prima delle elezioni e più o meno così è risultata dopo le elezioni. Il significato dell’esito è chiaro: l’alleanza a due gambe, egemonizzata quantitativamente dal Pd e istituzionalmente dagli ex Sel è stata percepita e realizzata come somma di militanze, ma non ha spostato alcun convincimento sociale, non ha convinto gli incerti, non ha convinto chi non va a votare, non ha convinto chi provenendo dalla sinistra ha votato da altre parti, ha pericolosamente confermato un ceto politico che vive esclusivamente dalla e per la politica, traendo il proprio reddito esclusivamente dai ruoli di rappresenrtanza e di amministrazione. L’alleanza realizzata a freddo e su un calcolo o una speranza irrazionale non ha generato un nuovo processo politico, ma solo la somma degli elettorati militanti. In questo quadro, però, il PD non perde, anzi cresce. In fin dei conti, la strategia è stata ben rappresentata da Zingaretti: “Noi siamo l’unica alternativa”. Che cosa significa questa frase? Significa che i dirigenti del PD ritengono che per il momento basti al partito star fermo, aspettare gli errori altrui, e, garantiti dal sistema maggioritario, avvantaggiarsi al prossimo giro elettorale della saturazione dell’elettore verso il governo in carica. Il sistema elettorale maggioritario ha così generato i mostri immobili dell’alternanza. Non servono idee e progetti, sacrificio e lavoro, no. Servirebbe una strategia di egemonia della posizione (cioè diventare la maggioranza della minoranza, quando si è all’opposizione, e la maggioranza della maggioranza quando si è al Governo) e poi aspettare tempi miglirori o spremere al massimo i giorni del governo.
Questa impostazione genera corruzione e immobilismo, perché la struttura reale dei poteri non cambia con l’alternanza delle coalizioni, cambiano gli interpreti e alcuni aspetti estetici, ma non quelli strutturali. Altra conseguneza è l’assoluta mancanza di un pensiero efficace sulla struttura dello Stato italiano, una visione moderna sul Mezzogiorno, una nuova impostazione della questione sarda, ancora oggi letta come questione economica speciale all’interno della Questione meridionale e non come una questione di Stato, di diritti, di libertà e di poteri.
Oggi l’area ex Sel subisce una grave menomazione politica, perché viene privata di un potere territoriale che ormai durava da circa un decennio. È in grado di generare un progetto politico che tenga legati i suoi elettori esalvi la sua classe dirigente nata giovane e oggi fatta di quarantenni con un precario e instabile rapporto col lavoro almeno quanto è stato stabile quello coi ruoli del potere? Difficile rispondere.
Viceversa, come si diceva, il Pd migliora in assenza di politica, migliora stando fermo.
Ciò che non si sta comprendendo è che a sinistra della sinistra parlamentare, sta rinascendo una sinistra movimentista che sente di nuovo le sirene della rivoluzione e della violenza, sirene che canatno meglio quanto più il Partito Immobile immagina di lucrare dal solo posizionamento alternativo alla Destra.
C’è del cinismo in questo Pd (oltre che una assoluta mancanza di visione su e per la Sardegna), perché non gli interessa cambiare la realtà, gli interessa essere sempre l’alternativa alla Destra per conquistare l’esercizio del potere. È una strategia del ‘turatevi il naso’ che gioca sull’antifascismo, sulla supremazia morale, sul disgusto snobistico, ma che sotto sotto nasconde una cultura della prevaricazione sociale attraverso la legge elettorale di vecchia concezione. Pagherà alla lunga questo tatticismo esasperato di potere? Per il momento ha egoisticamnete pagato. Il Centrosinistra ha perso, ma il Pd ha vinto. Si realizza così l’antica maledizione egemonica della Sinistra. Non è servito L’Ulivo per superarla, non è servito il Pd. La Sinistra iatliana non è autosufficiente per governare il Paese Italia, ma piuttosto che accettare la fatica di un nuovo pensiero sullo Stato, un nuovo perimetro ideologico, un nuovo rapporto con il popolo (da cui è sempre più distant)e, una modello associativo e federalistico della sua organizzazione, piuttosto che ammettere che non è possibile governare un Paese moderno con piccole prospettive egemoniche, esplicite o implicite che esse siano, piuttosto che fare e capire tutte queste cose, il PD sceglie di egemonizzare la posizione garantitagli dalla legge elettorale. Con una legge elettorale di tipo proporzionale, il PD non esisterebbe,
La Lega ha perso Se c’è una cosa certa è che, nel campo del Centrodestra, che ha vinto, ha perso la Lega, con consensi quasi dimezzati rispetto alle regionali di qualche mese fa. Non è un dato banale. C’è una generalizzata sovrastima del valore e del peso della Lega. Sembra più forte di quel che è.
I Leghisti, in Sardegna, sono mediamente il 6% del 50% della popolazione che va a votare, cioè il 3% degli aventi diritto. A questo è ridotta la Lega, scelta dai Sardi sull’onda di una diseducazione a scommettere sul vincitore piuttosto che a coltivare convincimenti e elaborare programmi. Una lunga tradizione di subordinazione volontaria ha insegnato a tanti Sardi a non pensare in proprio, ma ad acquisire il pensiero di chi vince. L’abilità consisterebbbe (e la libertà si ridurrebbe) nell’azzeccare il vincitore all’inizio della gara. Bene, il vincitore azzeccato alle regionali, è già in odore di essere abbandonato dopo le comunali, che lo hanno drasticamente ridimensionato.
L’equivoco Psd’az Quando, pur di vincere alle precedenti amministrative di Cagliari, Massimo Zedda, allora candidato sindaco, il Pd e l’area ex Sel, scelsero consapevolmente di allearsi col Psd’az e con le anime della Destra cagliaritana che lo nutrivano e che erano rappresentate dentro la sua liste, lo fecero scientemente per vincere al primo turno. E così fu. Poi però, le somme elettorali, devono anche tradursi in politiche, e il contrasto tra un elettorato di destra e una conduzione di Sinistra portò alla fine dell’esperienza. Oggi il Psd’az, dopo la prtecipazione di Solinas alla manifestazione leghista di Milano, sta adeguando la sua natura alla posizione politica assunta. È un partito della Destra italiana, che sta riuscendo a risultare più affidabile per i ceti urbani della destra tradizionale di quanto non lo siano i partiti di Destra tradizionali. Gli fa da contrappeso Fratelli d’Italia, inesistente quasi nel resto della Sardegna, ma egemone a Cagliari, secondo il percorso imparato dagli ex Sel: egemonizzare la coalizione per egemonizzare il potere. In tutta questa battaglia a scacchi, tutta tattica, la Sardegna non c’è, la cultura di governo non c’è, viene recuperata tecnocraticamente dopo la vittoria politica, non acquisita culturalmente prima. E, inevitabilmente, tutto si trasforma in egemonia amministrativa e in immobilismo sociale. Questo è il quadro, rispetto al quale, poche persone hanno la forza morale di contrapporsi e resistere.