di Paolo Maninchedda
Una volta mi hanno spiegato come fanno carriera i prefetti italiani. Mi hanno raccontato che, in occasione di un’alluvione, si sarebbero trovati al lavoro il prefetto e un maresciallo dei carabinieri. Si erano rotte le fogne del palazzo e gli uffici erano al piano terra, per cui i liquami, lentamente ma inesorabilmente, cominciarono a lambire prima i piedi del prefetto, poi le caviglie, poi le ginocchia. Imperturbabile, l’altissimo funzionario continuava a lavorare, non foss’altro perché la responsabilità evidente dell’allagamento era la casa del ministro degli Interni, costruita su un canale tombato. Il Maresciallo, a un certo punto, esasperato, timidamente disse: “Eccellenza, la cacca sale”. Ma il prefetto, sollevando gli occhi da un foglio bianco, lo guardò e rispose: “E noi alziamo la testa oltre la cacca, serenamente, fino a stare in punta di piedi. Si distenda verso l’alto, maresciallo, e non tema, lo Stato provvederà”.
Ieri, dopo aver letto l’editoriale del Direttore del Corriere della Sera sul Presidente del Consiglio (nel quale Renzi è stato accusato di essere massone, egotico, capo di un gruppo di ministri debolucci, permaloso ecc. ecc.) ho pensato: “La cacca sale”, ma non per ovvio spirito di osservazione, ma per naturale preoccupazione per la mia patria, la Sardegna. Noi rischiamo di trovarci tra la guerra civile a Roma per far la pelle (politica, ovviamente) a Cesare (Renzi) e la più brutale delle crisi economiche che abbia mai colpito la Sardegna negli ultimi quarant’anni. Abbiamo bisogno di risorse, di regole certe, di procedure snelle (per una firma digitale Roma impiega mediamente una settimana, mia figlia di 12 anni tre minuti netti), di imprese e di lavoro, e siamo nel mezzo di un clima al quale le Idi di marzo farebbero un gran baffo. L’Italia discute di tutto ma non dell’essenziale. È evidente, almeno per me, che l’Italia deve arrivare al prelievo forzoso (fatto tempo fa da Amato) o a una mini-patrimoniale fatta la notte, a Borse chiuse, e realizzata prima che riaprano. Non può che essere questo il gesto (prendere dalla ricchezza privata e tappare la falla della finanza pubblica) che mette rimedio a 1200 miliardi di euro di debito pubblico e 800 miliardi di spesa pubblica. Come pure, anziché parlare di mercato del lavoro in un Paese dove il lavoro non c’è più, l’Italia dovrebbe avere il coraggio di abbassare le tasse al 20% sugli utili delle aziende che danno lavoro; come pure dovrebbe dirsi la verità sugli oneri previdenziali, giacché volendo proteggere la vecchiaia (che non inizia a cinquant’anni), in realtà si rende troppo onerosa la giovinezza del lavoratore. Questi sono i temi (sgradevoli, duri, dolorosi, ma veri) di cui si dovrebbe discutere in Italia, invece no. E noi sardi ci troviamo in un mare di guai perché non abbiamo i poteri per decidere di noi stessi e chi invece ne dispone non ha certo in testa gli interessi nazionali della Sardegna, ma per l’appunto, un bell’agguato appuntito.