di Paolo Maninchedda
Abbiamo partecipato alle elezioni. Nei paesi abbiamo eletto sindaci e consiglieri, alcuni in maggioranza, altri all’opposizione. Nel Marghine abbiamo una base ormai molto consistente. In Planargia e in Barbagia siamo ormai radicati e, dopo questa tornata, lo siamo anche nel Logudoro e nel Sulcis. L’Oristanese ha ormai una struttura capillare.
Non abbiamo avuto paura di presentarci in tutte le grandi città dove dovevamo farlo. Siamo rimasti fuori a Quartu per esplicita volontà del candidato sindaco, che ha scelto unilateralmente di aprire con noi una dialettica che intendiamo mantenere viva. Intanto, a Quartu abbiamo un grupo forte e vivace. Lavoriamo.
A Nuoro abbiamo avuto un risultato molto significativo insieme al Centro Democratico. È la dimostrazione che la nostra intuizione dell’urgenza di unire le forze su basi programmatiche (Sovranità e Libertà) certe, alla fine premia. Ma la cosa più bella è che finalmente abbiamo un gruppo a Nuoro, fatto di gente credibile, fresca, serena, aperta. A Porto Torres abbiamo confermato il nostro risultato alle regionali e non era facile.
Potremmo essere soddisfatti, e invece non lo siamo.
Le amministrative hanno messo in evidenza che non è solo la buona amministrazione che produce i larghi consensi, ma è anche la produzione di simboli politici, di processi di identificazione che suscitino un sentimento comune, un’emozione e un’appartenenza.
L’astensione in aumento significa questo, e la risposta non è la frammentazione.
Non basta dunque, per fare i conti in casa, aver posto il problema delle dighe e aperto il confronto con l’Enel; non basta aver aperto il confronto con l’Anas e aver sbloccato tanti cantieri; non basta aver avviato seriamente il risanamento di Abbanoa; non basta aver avviato la riforma di Area e Enas; non basta il Piano infrastrutture; non basta il primo e unico piano per la mitigazione del rischio idrogeologico. Questa è buona amministrazione. Serve una passione, serve tenere alta l’idea che abbiamo in testa: una patria, non un grande comune.
Quando a Nuoro ho detto, in piazza, che noi vogliamo costruire lo Stato sardo, cioè quella giusta organizzazione dei poteri che dia respiro alla nostra libertà e alla nostra responsabilità, il ministro Delrio mi ha guardato con stupore e l’indomani, col garbo e la bonomia che lo contraddistinguono, me ne ha chiesto conto. Le grandi idee colpiscono. Le grandi idee fanno fare domande. Come pure in questa campagna elettorale è emerso chiaramente il bisogno della Sardegna di un grande Partito della Nazione Sarda. Questa è la missione di questa legislatura: costruire un grande soggetto politico che si emancipi dalla retorica dell’autonomismo , costruire le premesse per una vera integrazione europea della nostra Patria.
In questi giorni sono stato in Piemonte per ragioni familiari e mi chiedevo quali soggetti sardi potessi ricordare come padri della Sardegna paragonabili a coloro che il Piemonte celebra come eroi e a cui dedica una statua in ogni piazza. Bene, mi sono venuti in mente regnanti medievali o politici settecenteschi o letterati novecenteschi. Nessun leader dell’autonomia post bellica ha i requisiti per una banalissima piazza o per una gloriosa statua che inviti i passanti a fermarsi e a porsi un perché. Il motivo è semplice: hanno lavorato per un’altra patria, non per la propria. Noi dobbiamo riprendere a fare formazione al nostro interno; dobbiamo scrivere di più; dobbiamo trovare i soldi per fare questa benedetta rivista. E li troveremo.
Comments on “E tanto primo o poi facciamo lo Stato”
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Avere partecipato capillarmente alle elezioni è già aver vinto! Non vince chi non partecipa o vince a metà quando partecipa mascherando la propria identità.
Anch’io ritengo che i risultati siano soddisfacenti, ma soprattutto è importante che siano distribuiti nel territorio.
Accendere una fiammella, anche piccola, è di estrema importanza, averlo fatto nella maggioranza del territorio sardo assume valore fondamentale.
A parer mio è decisamente più rilevante essere presenti diffusamente sul territorio piuttosto che concentrati sulle città o su aree territoriali ristrette. Ricordo a tutti che, qualche anno fa, il voto espresso in un territorio del tutto demograficamente marginale, ma dato in percentuali bulgare a favore di un preciso schieramento politico, ribaltò il risultato del capoluogo di provincia e di altre due grosse realtà territoriali. I mass media ripresero l’evento con incredulo stupore ma, a ben guardare, non c’era da stupirsi. Si trattò soltanto di numeri che, concentrati a dovere, preminentemente a causa dell’azione ed politica esercitata, permisero a quelle piccole realtà di esprimere i loro rappresentanti e con essi, si sperava, il loro sentire.
Il tutto avvenne a scapito dei centri più grossi e dei loro famelici rappresentanti.
Intendiamoci, con questo non voglio dire che i rappresentanti eletti delle piccole comunità si comportarono in maniera qualitativamente diversa dai precedenti. Il cambiamento fu, comunque, una delusione per i rappresentati.
Fu quello il momento iniziale di decadenza della politica che, nel tempo, è scivolata sempre più in basso. Politica che, in assenza di ideali, diventa interesse privato, politica autoreferenziale che viscidamente si autoalimenta dando in pasto ai creduloni improbabili promesse di posti di lavoro.
Da una parte astuti politicanti che attingono al bacino inesauribile degli stolti, dall’altra, schiere di soggetti noncuranti che si danno in pasto ad esseri spregiudicati della politica che li fagocitano di volta in volta.
Bisogna voltare pagina. Bisogna riprendere il filo perso qualche decennio fa e sbrogliare la matassa. Servono idee semplici nella loro nobiltà. Capaci di aiutare il Popolo sardo a riprendersi quella stessa dignità che prezzolati nativi (anch’essi), di Sardegna gli hanno da tempo tolto.
Bisogna costruire lo Stato ma per farlo bisogna attrezzarsi.
Radicarsi nel territorio, ritengo sia la parola d’ordine. È quello che bisogna fare, da oggi. Sono perfettamente d’accordo sulla rivista, mezzo essenziale per poter divulgare agevolmente, in quanto non tutti hanno dimestichezza con la tecnologia mediatica, e poi la carta e facilmente riconsultabile. Ma, serve anche aumentare il dialogo diretto con la gente, costituire circoli o sezioni di partito, farsi conoscere negli incontri ristretti come nelle grandi manifestazioni. Credetemi, la gente che incontro è interessata ed affascinata all’idea che un Partito di governo della Regione possa teorizzare una Sardegna libera dal giogo continentale, tanto più se a proporre tale soluzione sono persone credibili. Però,i cittadini, proprio a causa della confusione ingenerata dagli avventurieri politici, di cui ho accennato, non sono istruiti. Non sono in grado da soli di notare le differenze e tendono a semplificare le cose omologando anche il Partito dei Sardi nella variopinta galassia sardo-indipendentista.
Per disarticolare l’esistente bisogna costruire una struttura contrapposta. Capace di dialogare con i sardi. Una struttura inossidabile, composta di elementi inattaccabili ma allo stesso tempo avvicinabili da tutti.
Un punto di riferimento per la gente, che sia sempre presente. Sempre disponibile a dare, piuttosto che a ricevere.
So che non è facile costruire una classe dirigente di questo tipo. Non è facile soprattutto perché si stanno perdendo i nobili principi della solidarietà umana di cui, però, abbiamo sempre più bisogno. Ma, d’altronde, chi si impegna a costruire la Nazione Sarda deve impegnarsi a costruirla non opaca ma luminosa. So che non è facile, ma non è neanche impossibile, per cui non ci resta altro che provare.
Presidente,riguardo a coloro che hanno onorato la Sardegna combattendo per la libertà di tutti e che illustri non lo sono mai diventati in Patria sarda(ma non altrove), cui dedicare una piazza o anche una semplice via, io una ce l’avrei, ma mi coinvolge direttamente, per cui mi astengo dal nominarla. È a lui che è dedicata la mia firma.
A Innantis!
Il Comandante.
Tiramus inanti e ponimos crepu.