di Silvia Galleri
Per la scuola sarda i numeri non giocano dalla nostra. Il calo demografico continua a incombere ovunque, soprattutto nei paesi più piccoli. Quindi le leggi dei tagli, fatte solo per risparmiare e non certo per incrementare la qualità, calate dall’alto, senza interpellare la scuola vera, non possono omologare tutta l’Italia. E tantomeno un territorio particolare come quello sardo. Da queste conseguono mille altri malanni.
Una fra tutte, la legge Gelmini, che ha distrutto parecchio, in particolare falciando con la sua mannaia gli istituti tecnici e professionali, col taglio delle ore di laboratorio, che dovrebbero caratterizzare questo tipo di scuole. Si è passati, giusto per fare un esempio, da circa 12 ore di laboratorio pratico a tre o quattro… Però il ministero obbliga ad espletare l’alternanza scuola-lavoro ( inventata per sostituire il post qualifica). Sarebbe una bella idea se solo lo stato la finanziasse davvero. Infatti lo fa con soli 1200 euro circa per scuola, per 66 ore annue per tutte le classi di ciascun corso. Le aziende che dovrebbero ospitare gli studenti in una sorta di stage, tra le altre cose, sono spesso sull’orlo della chiusura, se non già chiuse. Quindi le scuole, ancora una volta, fanno da sé, e l’alternanza se la creano nei loro laboratori. Cosa non si fa per far funzionare le cose…
E la sicurezza di cui lo stato si riempie tanto la bocca con le sue pompose leggi? Non esiste. Non solo per le condizioni dell’edilizia scolastica, sicuramente da riprendere, ma anche per il numero di alunni nelle classi. Come si può essere in grado di sorvegliare trenta alunni in piena adolescenza, con le problematiche che oggi hanno, in un laboratorio chimico o di saldatura? Certo, è difficile farlo anche durante una lezione frontale, classica, di letteratura, storia, matematica. Immaginiamoci davanti a fiamme e sostanze tossiche. Il numero massimo dovrebbe essere qui di quindici alunni, altro che trenta. Tra le altre cose i laboratori stessi hanno un massimo di 14 posti… Forse un tempo i legislatori calibravano meglio i numeri. E comunque, col calo demografico in atto, le nostre scuole, se si continua a formare classi in base a queste leggi, saranno costrette a chiudere.
Che dire dei trasporti pubblici quasi inesistenti che dovrebbero collegare i vari centri con quelli sedi di scuole? E della motivazione ormai quasi nulla dei ragazzi, dovuta ad una totale sfiducia nel futuro? Un tempo non troppo lontano i figli delle famiglie umili vedevano nello studio e nella scuola un’arma di riscatto sociale. Oggi, coi genitori che perdono il lavoro, non vedono prospettive neanche nel pezzo di carta, nel «diploma». A che serve studiare se nella vita reale vanno avanti solo i furbi e non i preparati? La lotta quotidiana sul campo che fanno i docenti rimane nascosta e inascoltata. Non solo di nuove strutture avrebbe bisogno la scuola, ma di risorse reali, investimenti pratici e non effimeri, quali risultano essere le Lim (lavagne interattive multimediali) e registri elettronici, che vanno in tilt al primo black out, rallentando il lavoro didattico. Perché non investire in tutoraggio, che segua i ragazzi nel lavoro per incrementare le minime abilità di base spesso assenti, da supportare anche a casa? E si, perché moltissimi, troppi, fin dalle scuole di ordine inferiore, a casa non allenano la mente neanche con le letture. E l’amore per i libri, si sa, si impara praticamente subito dopo la culla, con la lettura di fiabe da parte dei genitori. Spesso non è mai avvenuto neanche questo. E la lingua parlata in casa, il più delle volte, non è l’italiano. E’ il sardo logudorese, il campidanese, il gallurese, il sassarese, il carlofortino, il catalano di Alghero. Anche la lingua italiana potrebbe essere imparata e compresa meglio affiancandola allo studio grammaticale della lingua madre, quella sarda parlata in casa, appunto, con cui poter fare dei confronti.
È un mondo quasi in arresa, quello della scuola sarda, in cui anche i docenti e i dirigenti, fra tagli e scuole accorpate, devono districarsi con una burocrazia decisamente intralciante. Lo stipendio? Sempre lo stesso. Ma lo si fa ugualmente con amore, nonostante i km di strada da percorrere a proprie spese, come avviene per molti. Lo si fa per questi nostri figli, e perché questo mestiere è un po’ una missione. A volte una «mission impossible».
parole vere, vedere cosa non ha fatto e no fa la RAS è ancora più triste
Amara quanto, a volte, è la realtà… comunque, bellissima riflessione.
Concordo pienamente con quasi tutto il ragionamento di Silvia. La politica dei parametri portata avanti dai governi nazionali sia di destra o di sinistra mal si adatta alla Sardegna contraddistinta da una bassa densita di popolazione e dalla normale frammentazione delle realta urbane, massimamente nelle zone interne. Ecco perché la Gilda di Sassari ha posto al presidente Pigliaru, che ha mostrato un diverso approccio alla problematica scolastica nella campagna elettorale, la questione di un approccio diverso alla problematica scolastica sarda, individuando una via tutta sarda che metta al centro la salvaguardia della scuola nei piccoli centri, specialmente nella primaria e secondaria di primo grado. Una scuola sarda svincolata dalle politiche dei tagli dove il rapporto alunni per classe sia riportato a 15. Ho detto concordo quasi in tutto, non concordo nella visione samaritana dell’insegnante.