Ho letto con molto piacere il nuovo libro curato da Antonietta Mazzette La felicità non abita più qui. Lo spaccio delle droghe in Sardegna, Milano, Franco Angeli (purtroppo), 26 euro. Ne suggerisco la lettura a tutti gli ingenui e i falsi ingenui (che dovranno superare, in alcuni capitoli, un eccesso di giustificazionismo metodologico dovuto alla necessità di presentare i lavori ai concorsi universitari).
Ne emerge uno spaccato della società sarda che ci si ostina a non voler vedere.
Non è un caso che il primo capitolo sia dedicato al denaro e giunga ad una conclusione tanto ovvia quanto innovativa: non vi è alcuna differenza tra il modello organizzativo della criminalità sarda (in proposito trovo ancora attualissimo il volume del 2006, sempre curato dalla Mazzette, La criminalità in Sardegna. Reati, autori e incidenza sul territorio, Unidata, Sassari) e quelli vigenti in Europa o altrove, né ve ne è alcuna tra il sistema di acquisizione e distribuzione delle droghe in Sardegna e quelli attivi nel resto del mondo.
Un mare di denaro deriva dallo spaccio. Esso genera anche in Sardegna, come una sorta di Grande Distribuzione Organizzata, la sua struttura di vendita la quale, a sua volta, sviluppa il consenso sociale. Faccio solo un esempio. Noi tutti pensiamo a una sola tipologia di spacciatore e ce lo immaginiamo o astutissimo sfruttatore della dipendenza altrui o sventurato e consumatore. Non è così. Come in un supermercato esistono gli addetti agli scaffali, quelli alla salumeria, quelli alla cassa, quelli al magazzino e, sopra di loro, i buyer e i padroni delle strutture, così nel mondo della droga abbiamo:
– il consumatore/spacciatore: è la base della piramide, quello che spaccia per potersi comprare la droga per uso personale e per poter soddisfare i propri acquisti di beni non di prima necessità (abbigliamento griffato, moto, telefonini ecc.). Questi sono un esercito, un numero incalcolabile, sono diffusi e capillarmente presenti nella società, popolano i bar e i ristoranti nel fine settimana, fanno tendenza, non sono delinquenti, ma conoscono i delinquenti, sanno tante cose e fanno un uso accorto delle informazioni. Se organizzati politicamente (e questo salto ancora non è stato fatto) eleggerebbero consiglieri regionali e parlamentari;
– lo spacciatore di condominio e/o di quartiere, questo è un residuato bellico degli anni Ottanta, lo si trova solo in alcuni ambienti degradati delle città, non è un tipo mondano, spesso è un pluripregiudicato, sbarca il lunario, ma, e ciò viene sottovalutato, controlla il territorio, segnala, avverte, è una sentinella stracciona, ma è una sentinella;
– lo spacciatore per bisogno, è il più condizionabile dei soldatini distribuiti sul territorio, spesso è in trattamento da astinenza nei centri pubblici e spaccia metadone, vive spesso di espedienti, è la parte anarcoide e imprevedibile del sistema;
– lo spacciatore inconsapevole, è la figura di cui bisognerebbe parlare nelle scuole, perché la sua inconsapevolezza non è legata al prodotto, la droga, ma alla percezione di compiere azioni illegali. Sono gli adolescenti (ma sappiamo che per molti l’adolescenza sta lambendo i trent’anni) che giocano col fuoco, che cadono dal pero quando vengono arrestati nonostante, magari, abbiano maneggiato migliaia e migliaia di euro per mesi senza svolgere alcun lavoro. Sono vittime di un gioco di cui hanno sottovalutato la gravità;
– lo spacciatore tecnologico, è il genietto della situazione, lo scaltro che non esercita in uno specifico territorio, ma in tutto quello regionale. Questo è quello che sa relazionarsi meglio con le reti della criminalità organizzata, che sa entrarvi e uscirne, che sa camuffarsi, dissimularsi, che usa internet, le app ecc. Sono le figure più sfuggenti e difficili da individuare per l’autorità giudiziaria, sono criminali in apprendistato.
Ora ci si immagini questa moltitudine di persone che vive di droga (un vero pseudo-welfare occulto, nel quale molti entrano solo per un periodo, si capitalizzano, poi comprano o attività commerciali o terra o case e poi ne escono; qui bisogna dire che la campagna dell’autorità giudiziaria contro la coltivazione a uso farmaceutico della cannabis a basso contenuto di THC è stato un clamoroso errore di cui bisognerebbe riparlare) nel suo rapporto con chi usa le armi e sa usarle solo al momento opportuno. Il libro illumina molto bene come il rapporto tra spaccio e armi riveli l’organizzazione verticistica e centralizzata del traffico. La gran parte dei soggetti della distribuzione vive disarmata; la gran parte dei ‘grossisti’ vive armata. Per esercitare un potere di intimidazione in un quartiere non è necessario disporre di un arsenale, basta molta determinazione e una sola pistola.
Infine, il libro dà ragione alla Dia che da anni sostiene che la Sardegna ha tutte le caratteristiche per fare a breve il salto verso la criminalità organizzata che controlla militarmente il territorio. A leggere queste dense pagine c’è da giungere alla conclusione che se ancora non è successo, ciò è dovuto alla bassissima densità di popolazione che costringerebbe anche la malavita a avere costi troppo alti per controllare territori sostanzialmente disabitati. Questo spiegherebbe perché la banda fantasma che le forze dell’ordine non riescono a prendere (quella delle rapine di Giave e Tertenia) prediliga il rendimento di rapine rischiose, ma remunerative, al lavoro di controllo sociale di un territorio. Se però la malavita si saldasse con i colletti bianchi, cioè con le strutture amministrative dello Stato, non avrebbe costi per il controllo territoriale e potrebbe garantire i suoi traffici lucrando sull’organizzazione pubblica e riservandosi solo l’uso della violenza come sanzione. Scenario agghiacciante.
Perché io pubblicherei solo in open access
Questione interessantissima, soprattutto da qui al 2050. Così come dovremo saper invertire l’andamento demografico – guadagnando popolazione (che si faccia Popolo) -, dovremo colmare quei “vuoti”, quegli spazi liberi che in parte sono (stati) la nostra salvezza – si pensi ai migliori dati della pandemia in Sardinnia, rispetto a quelli in Italia. È giusto prepararsi da súbito: accompagnando questa nostra crescita in maniera virtuosa, attentissimi agli appetiti delle mafie d’importazione; abbandonando quella naïveté sepolta sotto tonnellate di cemento – mica solo di polvere bianca – in Gaddura come altrove. Così da evitare di lasciar ai nostri figli un nuovo, fottuto narco-Stato in Europa. Francamente ho fiducia in noi Sardi, e credo non lo permetteremo.
P.S. Professore, giusto per curiosità: perché scrive “Franco Angeli (purtroppo)”?
Finché c’è domanda la droga ci sarà. È innegabile che non è solo un problema della Sardegna. Diversi Stati nel mondo per il problema della canapa, l’anno legalizzata togliendo milioni e milioni alle tasche degli spacciatori. Ho 67 anni e nel mio vissuto, è uguale se non peggio che negli anni 70. Quando è arrivato tutta sta merda di droga. Dal Vietnam guerra. Bisogna fare qualcosa di diverso da quello che si sta facendo non risolvendo niente. Finché ci sono i tossicodipendenti, la droga invaderà le nostre strade. Per me è su di loro che bisogna agire. È un problema culturale, bisogna entrare nelle scuole, e giocarci tutto sulle nuove generazioni. Che futuro vogliamo dare ai nostri figli. Nelle strade di tutta Italia ché una vera guerra. Bisogna pensare in maniera diversa e avere il coraggio di superare gli errori fatti in questi 50 anni e più. È una vera guerra. Fatta di Falsi ideali e di Falsi uomini. Siamo in guerra è venuto il tempo di riprenderci il nostro Paese.
Professore Maninchedda stia attento, perché se qualche inquirente interpreta la Sua conclusione “Se però la malavita si saldasse con i colletti bianchi, cioè con le strutture amministrative dello Stato…”, sostenendo che volesse intendere “Se però la malavita si saldasse con i colletti bianchi, cioè con le strutture amministrative della Regione… “, il gioco è fatto. La iscrivono nel Registro degli Indagati ritenendoLa ispiratore delle politiche agricole regionali.
Ciao Paolo. Ci sarebbero tante cose da dire sul tema, anche se moltissime sono replicate in modo inerziale da almeno 30 anni… Almeno da quando CUEC inaugurò la collana University Press con il mio “L’eroina in Sardegna. L’offerta è la domanda”, dove sottolineavo i meccanismi di modernizzazione dell’isola nella scelta della gestione del mercato degli stupefacenti rispetto ai crimini “tradizionali”. Lì indicavo la complessità della catena di distribuzione dell’eroina con ruoli, difficoltà e remunerazioni distinte. Sul quel versante nulla è cambiato da allora (primi anni ’90). Antonietta mi presentò il libro a Sassari e concordò (e continua ancora, a quanto ho modo di leggere)…
Invece, molto più complesso è il paragone con strutture organizzative più solide e durature nel tempo, capaci di imporsi nel controllo del territorio. L’isola ha sempre rigettato questi tentativi, fin dalla presenza a Carbonia dei confinati stiddari Iannì-Cavalli, cosca di stiddari perdenti nella guerra di mafia a Gela e inopitatamente confinata dalla legge a Carbonia (il gruppo che fece l’accordo con la banda Tidu di Is Mirrionis, per intenderci…). Su quel fronte, le prospettive illustrate mi sembrano molto fragili e andrei cauto… Carbonia (fondata anche da 3000 siculi) si rivoltó in modo repentino, diffuso ed efficace.
Piuttosto, serio è invece il pericolo di accordi temporanei, ma pericolosissimi, con organizzazioni criminali albanesi, con lo scambio di ciò che stiamo dimostrando di fare benissimo (l’isola è la prima regione in Italia per sequestro di cannabis coltivata in loco) vs armi e/o cocaina molto pura (e quindi estremamente redditizia) e droghe sintetiche.
Quella è una partita rischiosissima, anche in ragione di possibili investimenti in loco di capitale sporco nell’acquisto di strutture ricettive e altre attività commerciali. Se trovo il tempo ci scrivo qualcosa. Un caro saluto, Marco
In d-una realtade de produtzione parossìstica e a bombardamentu consumìsticu ossessionante, disocupatzione garantia e ocupatzione sèmpere prus pagu segura, a simanas e a orixedhas, a iscutas, mescamente in Sardigna su “problema prus grave” est su DINARE: totu s’àteru a comporare («–Quale vuoi? – Tutto!», di tutto e di più, e si lu narant sas criaduras “voce dell’innocenza“ a pubblicidade cussigiada, méngiu po is prus ‘abbistos’ ’emancipati’!), totu s’àteru a comporare mescamente in Sardigna nosi dhu iscàrrigant de importatzione a muntones mannos in pes, solu a pagare.
Sa “ambizione” creschendho est a tènnere sa patente, primu “diritu” de su chi faet 18 annos, “mannu” chentza contos de responsabbilidade.
1. Sa gioventude – peus puru in Sardigna – est iscabudada in d-una iscola assurda digna de una economia de gherra assurda peus puru, disumana, criminale; sa gioventude “ocupada” a ‘istudiare’, no s’ischit si po trebballare e fàere ite, ne inue, ne candho, e in parte manna bagamundhalla “disponibile” bagamundhandho, piciocos e piciocas iscabudaos che canes chentza mere, ne “istùdiu” e ne “trebballu” ma, siat chentza dinare e siat cun dinare, iscabudaos, a machiores de ocasione, parent fìgios de nemos chentza mancu babbu e ne mama.
2. Is afaristas criminales de su dinare a muntones, ideale de is ideales po su “paradisu” in terra, tenent ampramanu e no bastat unu carabbineri aifatu de donniunu po iscocare mescamente is afaristas criminales mannos.
Est giai su mundhu deosi, si dhue at Istados a “guvernu” e “economia” droghista.
Ite podeus e depeus fàere innoghe? Ne a sa Sardigna e ne a su mundhu serbit un’iscola de gherra, ma un’àtera iscola: no cussu solu, ma intantu tocat a tènnere su podere de dha fàere.
Analisi inquietante. Si spererebbe infondata, ma non lo è.
In troppi continuano a ignorare.
Complimenti professore..