L’intepretazione autentica è stata la cifra giuridica della prima metà della legislatura Solinas. È stata usata per la nomina dei dirigenti; è stata riproposta pe il nuovo Piano Casa. È una carta d’identità culturale.
L’interpretazione autentica è un istituto giuridico di confine tra diritto, filologia e ermeneutica. È un luogo della cultura, non della bardana. La sensazione che in molti hanno avuto è che questa Giunta abbia tentato di usarla come tubercolosi delle leggi vigenti, come batterio corrosivo interno delle leggi avvertite come troppo regolatorie o semplicemente regolatorie.
È notizia dei giorni scorsi l’avvenuta impugnazione da parte del governo Draghi della legge regionale 1 del 2021 della Regione Sardegna (trovate il testo completo qui). È il nuovo Piano casa dopato; è la madre degli edifici Super Sayan dell’urbanistica. Il governo italiano (ed è questo che mi fa più male, osservare che il governo italiano, non sempre campione di lealtà, ha ragione) ne descrive così la reale intenzione:
«Si tratta di una serie sistematica di modifiche all’ordinamento regionale che consentono:
(i) la realizzazione di interventi edilizi, anche di rilevante impatto, in deroga non solo alla pianificazione urbanistica comunale, ma anche a quella paesaggistica;
(ii) l’irrilevanza/sanatoria di illeciti edilizi, al di fuori dei casi e limiti previsti inderogabilmente dalla disciplina statale.
Viene, così, agevolata la massiccia trasformazione edificatoria del territorio, anche in ambiti di pregio, determinando un grave abbassamento del livello della tutela del paesaggio».
Diciamo che non è il massimo prendere schiaffi così intensi, netti, chiari e distinti. Vedere il governo italiano impegnato a contenere il funanbolismo legislativo sardo è per me umiliante. Ma lo è di più leggere la sbattulata con rimbalzo bilaterale seguente:
«L’art. 25 fornisce l’interpretazione autentica dell’articolo 4 del decreto dell’Assessore regionale degli enti locali, finanze e urbanistica n. 2266/U del 1983 (…) L’interpretazione autentica di una norma risalente a oltre quarant’anni prima appare inoltre irragionevole e contraria al buon andamento».
Ecco, noi Sardi ci siamo esposti alla vergogna di predisporre un’interpretazione autentica di un decreto assessoriale quarant’anni fa. Ci vuole impudenza, eccesso di considerazione di sé, presunzione. Ma la cosa peggiore è aver letto sui giornali l’assessore all’urbanistica affermare che la legge è vigente fino a che non si pronuncerà in termini contrari la Corte costituzionale. Perfetto. E chi è il dirigente comunale pazzo che si prenderà la responsabilità di dare attuazione a una legge così farlocca, piena più d’aria che di contenuti? Chi si metterà nei guai per assecondare le interpretazioni autentiche archeologiche dell’assessore all’urbanistica?
Io soffro perché sento molecolarmente la Nazione sarda, ma la Nazione esige cultura, disciplina, severità interiore, fatica, impegno, rispetto. Invece no, abbiamo i distruttori sistematici della Nazione, i pasticcioni a cavallo del diritto che distruggono con la loro insipienza un diritto e un dovere che ha bisogno di esattezza, di sacrificio, di fatica.
Solo un piccolo appunto sul penultimo capoverso. Credo che molti, troppi Comuni rilasceranno concessioni in attesa della pronuncia. Lo stanno già facendo sulla proroga del piano casa anch’essa impugnata. Lo fanno anche se non hanno mai adeguato i PUC al paino paesaggistico e quindi sulla base di paini regolatori del tempo di Cristo. L’ho purtroppo constatato in prima persona. Fatto istanze inviate anche in regione. Risultato il silenzio assoluto e l’ostilità se non di peggio. Purtroppo le connivenze su questa materia sono troppe e attorno al mattone girano tanti soldi e tanti voti.
Deus nondhe campet!
Ma sa “vignetta” de cussu macu chi ndh’est seghendhe sa camba de s’àrbure inue est sétidu no est zusta e si est, pro narrere, custas “interpretazioni autentiche” creo chi siat su “rinforzo” de sa “camba” pro si bi pòdere sere prus a códumu, seguros e a tempus meda.
E si invetze ndhe sunt seghendhe s’àrbure dae fundhu (no creo tirendhendhela de fund’e arréxini, ca tandho no bi cheret serracos) tiat èssere cosa de prus pagu macos? (pro no chircare un’àteru agetivu de sa zenia)
Solo una piccola osservazione in attesa del bis con la “Riforma degli enti intermedi”.
Raramente ho assistito a un abbassamento del livello della classe dirigente sarda come quello attuale.
Basta rileggere il testo del decreto del 1983, pensare a chi lo ha steso e chi lo ha firmato. Basta ricordare la battaglia per inserire nell’articolo 3 dello Statuto la competenza in materia di enti locali. E poi osservare come si esprime oggi quell’Assessorato.
Difficile conservare qualche speranza sul futuro della nostra Sardegna.