Ai tempi della peste, il modo di stare al mondo di chi governa è diverso da quello di chi è governato.
Chi governa dovrebbe fare due cose:
1) anticipare gli sviluppi per prevenirli;
2) gestire molto bene la comunicazione, senza mentire ma anche senza nascondere.
L’Italia ha inizialmente sbagliato il primo obiettivo.
Il virus era già in Italia, in questo il dottor Galli dell’ospedale Sacco ha dato una lezione di serietà a tutti, anche al ministro della Salute e al Presidente del Consiglio che nei primi giorni dello scoppio dell’epidemia in Cina, giravano l’Italia a petto in fuori. Sono state clamorosamente sbagliate le strategie di contenimento al punto da non fermare il segretario del Pd che ha preso un aereo da Roma per fare un’assemblea di iscritti e simpatizzanti a Milano ed è rimasto contagiato.
Adesso si sta correggendo in modo da prevenire al Sud (e c’è anche chi fa notare il fattore, al momento casuale, che vede il virus diffondersi più lentamente nel Sud del mondo) e sperare di tamponare al Nord.
In Sardegna, i fronti esposti sono gli ospedali. Mi pare che nel Sud dell’Isola, dopo i primi scivoloni al Santissima Trinità di Cagliari e al Sirai di Carbonia, le procedure di accesso siano diventate adeguatamente severe. A Nuoro, Sassari e Olbia vedo una situazione molto più esposta, con il caso Nuoro che è ancora terribilmente indecifrabile nei suoi reali effetti. Vedremo nei prossimi giorni.
La Regione Sardegna farebbe bene a gestire la comunicazione in modo più serio. Nessuno ha bisogno di essere banalmente tranquillizzato, ma constatare che frequentemente ciò che viene detto è impreciso, superficiale o inutile, non aiuta. Se si fa un sito, deve funzionare. Se non funziona, è impossibile gestire esattamente i dati.
Sempre per dare una mano, mi pare che adesso occorra guardare lontano e ricordare che in Sardegna sempre il ciclo della morte è stato scandito da tre sciagure: guerra, carestia, pestilenza. L’ordine dei fattori non era rilevante. La miseria era costante, la guerra occasionale, la peste ricorrente.
Adesso il problema è “la fame”, cioè il sistema produttivo. Ricordiamoci che abbiamo circa 400.000 persone sopra i 65 anni e che le imprese sarde sono per lo più imprese individuali con bassissima o inesistente capitalizzazione. Abbiamo un settore primario (allevatori e agricoltori) che in questo periodo deve reggere e che invece è ammazzato dalle chiacchiere, dalla propaganda, dall’incompetenza sovrana e dalal burocrazia.
Una prima cosa da fare potrebbe essere quella di concordare in sede europea una procedura semplificata di liquidazione automatica delle domande presentate sui fondi europei, prevedendo successive indagini a campione.
Stesso discorso andrebbe fatto con le imprese titolari di finanziamenti di varia natura e magari bloccate o ritardate da cavilli, piccoli scostamenti sulle garanzie bancarie, diavolerie sugli immobili.
Infine l’Aspal dovrebbe e potrebbe usare l’occasione per varare corsi di formazione a distanza per i quaranta-cinquantenni espulsi negli anni scorsi (e espellendi in quelli a venire) dal sistema produttivo, in modo da formare allo smart working e utilizzarlo successivamente come grande rete di diffusione capillare territoriale di non pochi servizi pubblici.
Ovviamente sono solo spunti. Tuttavia penso che sia questo il registro giusto cui attenersi, piuttosto che impaurire o manipolare. Proviamo, ogni giorno, a collocarci un passo avanti, a non cercare untori con cui prendercela, a tollerare gli inadeguati al potere, e magari, a provare a dar loro una mano, anche con disdegno (noto, per esempio, che il numero dei posti di Terapia Intensiva aumenterà ulteriormente. Bene).
È certamente questo il punto. Trovare soluzioni nuove. Fare gruppo. Puntare su ciò che abbiamo e costruire intorno altre opportunità di lavoro. Che questa pausa possa aiutare tutti a concetrarsi sui problemi e trovare soluzioni. Per tutti.