In Sardegna si discute, nell’ordine: delle trasparenze dei vestiti (argomento ridicolo), dei titoli di studio (argomento scivoloso per tanti ma non per tutti), del Cagliari e della Dinamo, dei nomi degli assessori (argomento rivelatore di consapevolezza). Agli entusiasti del nuovo potere ricordo una frase terribile pronunciata dal portavoce di Aldo Moro, Corrado Guerzoni: “C’è una potenza che sta al di là dei nomi che è la potenza delle strutture. Esistono i segretari generali, i capi di gabinetto, tutta una rete che dà la continuità dello Stato. Questa è la struttura del potere italiano. (…) Esiste questo traliccio che è la struttura portante sul quale si muovono queste figure che passano che sono i politici. Altrimenti lo Stato non starebbe in piedi“.
Nell’Italia proprietaria dei cieli e dei mari della Sardegna, e di conseguenza dei nostri interessi e dei nostri diritti, si discute di che cosa discutono Salvini e Di Maio, si boccheggia sulla Libia (che è a qualche centinaio di chilometri dalla Sardegna) e si scopre improvvisamente che la Libia non è più uno Stato (ma guarda un po’!) ma un Paese in preda a una guerra civile dove solo gli ipocriti possono far rientrare i migranti (che in Libia non sono ospiti, ma ostaggi che pagano per andare via).
Solo per ricordare in quale Stato consumato viviamo (nostro malgrado) e per far capire quali politiche di bilancio ci attendono, riporto il dato principale dell’ultimo dossier dello Studio Ambrosetti: il debito pubblico italiano “è del 22% superiore ai livelli immediatamente successivi alla fine della Seconda guerra mondiale (in rapporto al reddito nazionale) e appena del 18% più basso rispetto ai livelli della fine della Grande guerra” (Fonte: Corsera). Noi Sardi vantiamo crediti ingenti con lo Stato più indebitato d’Europa che intende continuare a indebitarsi, tuttavia anche noi facciamo la nostra bella figura di cicale: un assessore neonominato ha paralto dell’ineluttabilità dell’incremento della spesa sanitaria. Uno scenario perfettamente italiano.