di Luciano Uras
La “questione sarda”, la sua natura e dimensione, è tema più che mai attuale, oggi anche nel contesto istituzionale europeo.
Rappresenta uno spazio di discussione interessante e ricco di suggestioni positive.
Può costituire, in relazione alle vicende italiane, così come si sono sviluppate anche in Sardegna nel corso delle ultime consultazioni elettorali e come si vanno sviluppando anche in queste ore, il terreno sperimentale di una nuova stagione politica, dentro e fuori i confini dell’Isola.
Questo ragionamento per non essere presuntuoso ha bisogno di un punto di partenza vero.
Mi è parso di intravedere più volte, nella significativa letteratura politica che ha trattato la specialità dell’autonomia statuaria, prima e dopo la Liberazione e la successiva fondazione della Repubblica Italiana, lo sforzo di coniugare gli obiettivi di sviluppo civile, sociale ed economico ai principi dell’autodeterminazione responsabile, tramite l’esercizio da parte dei Sardi di un sistema complesso di competenze e poteri pubblici e la gestione di strumenti generali di pianificazione e di coordinamento degli interventi, avvicinabili a quelli di uno “Stato” .
La riconquistata libertà dopo la tragedia della guerra e la necessità di dare impulso alla ricostruzione con il pieno coinvolgimento delle popolazioni ha dato origine in Sardegna, come nel resto dell’Europa occidentale, ad una fase colma di proposte e a un grande ottimismo verso il futuro. In quegli anni, anche nel conflitto sociale, si sentiva la proiezione, la ricerca di progresso, il bisogno di cambiamento, la sete di vita.
In quella produzione artistica, letteraria ma anche cinematografica, si evidenziano, però, due approcci distinti, uno coraggioso, l’altro preoccupato e timoroso, che hanno prodotto due (così le vedo) strategie politiche coesistenti.
La prima tenta di coniugare poteri e progetti in funzione di una reale emancipazione della Sardegna e del suo popolo da una condizione di bisogno, con atti di contrasto a vecchie pratiche di colonizzazione culturale prima ancora che economico/produttiva.
L’altra, al contrario, riafferma la supremazia dello Stato, cercando sicurezze e protezione attraverso una nuova subalternità politico/partitica e istituzionale (a corredo cito, come testimonianza di quei tempi, due splendidi documentari: uno restaurato dalla Cineteca Sarda – “L’ultimo pugno di terra”, di Fiorenzo Serra, l’altro prodotto dalla Regione Sarda, di Giosi Moccia e Luigi Pambira, “Il congresso del popolo sardo”).
Il desiderio di autodeterminazione del popolo sardo, per alcuni di noi già presente nell’affermazione normativa della “autonomia speciale” – autonomia che certamente non può che essere progressivamente rafforzata, soprattutto in considerazione del contesto istituzionale mutato con la costituzione dell’Unione Europea e il suo successivo allargamento – si scontra con l’antica paura della solitudine davanti ai problemi e la ricerca delle necessarie rassicurazioni nella benevolenza del “sovrano”. Si rifugge, così, l’idea di promuovere un robusto dialettico rapporto istituzionale paritario con lo Stato e l’Unione Europea.
Questa contraddizione, questo volere e non volere, si è tradotto in un rapporto ambivalente e prevalentemente passivo nei confronti dello Stato Ministeriale e della sua legislazione, arrivando al punto che le leggi regionali, regolarmente approvate secondo Costituzione, qualora sottoposte ad impugnazione per conflitto di attribuzione dai Governi di Roma, finiscono per essere illegittimamente disapplicate per autonoma determinazione delle burocrazie regionali e locali ancora prima del giudicato della Corte Costituzionale. Un atteggiamento di asservimento che contribuisce non poco ad un rallentamento dello sviluppo economico e sociale, un blocco delle soluzioni programmate, un indebolimento strutturale della Autonomia Statutaria.
Come reagire, se si vuole veramente esercitare la responsabilità del Governo? Se si vuole percorrere il cammino del vero cambiamento con il metodo democratico, che tenga conto, per modificarlo anche radicalmente, del quadro normativo e costituzionale esistente?
Alcuni rispondono sul piano dell’organizzazione politica: se nascono “partiti e coalizioni” radicate e sviluppate nella terra sarda, proiettate in forza dei bisogni e delle aspirazioni del nostro popolo, si sarà in grado di avviare e realizzare la trasformazione. Potremo cancellare preoccupazioni e paure, emancipare nella sostanza e nelle forme l’autonomia dei sardi, conquistare l’autodeterminazione e tutti i risultati positivi che dalla stessa possono derivare attraverso la cura esclusiva degli interessi della Sardegna. Rispetto questa tesi. Intravedo in alcune proposte presenti anche nel PD sardo ( mi riferisco al Silvio Lai) questa volontà. Mi pare però che sia necessario ma non sufficiente. Credo che ci voglia anche altro.
Campo Progressista Sardegna propone un progetto politico nuovo come pratica della necessaria trasformazione.
Offre un insieme di contenuti che definiscono la missione della nostra Terra, dentro la dimensione Mediterranea ed Europea nella quale si riconosce.
Affida agli obiettivi individuati e ai relativi strumenti per il loro perseguimento – tra cui forme alte di autogoverno – il potere di cambiare in meglio la vita delle persone e delle comunità in cui si articola il nostro Popolo, quello che vive in Sardegna e quello che sta nel mondo.
Lo sviluppo delle terre mediterranee è bloccato dalle guerre, quelle tra gli Stati e quelle interne agli Stati, pensiamo che la Sardegna, più volte proclamata dal Parlamento dei Sardi “Terra di pace e di amicizia fra i popoli”, possa dare un contributo decisivo candidandosi a diventare la piattaforma del dialogo, anche diplomatico, per un Mediterraneo veramente pacificato.
La libera circolazione di persone e merci é una grande conquista dell’Unione Europea, deve riguardare ogni cittadino e ogni territorio, per questo il “riconoscimento dell’insularità” quale condizione oggettiva di svantaggio deve prevedere un sistema di aiuti derogato rispetto alle attuali regole comunitarie, analogamente a quello definito per le regioni ultra-periferiche.
La questione ecologica è un tema di enorme importanza, di dimensione planetaria, nel nostro territorio si registra la presenza di ogni teatro tipico dell’inquinamento. Da quello industriale della produzione di base, anche petrolchimica, a quello militare connessa all’attività pluridecennale di esercitazione. Per questo la Sardegna, anche in considerazione del suo essere Isola, può diventare la terra del risanamento ambientale, della ricerca e della sperimentazione ecologica e della produzione ecosostenibile, organizzando soluzioni, tutte, proponibili alla nuova economia. Una grande occasione di lavoro che si accompagna alla migliore qualità di vita dei Sardi.
Cultura, identità e lingua sarda, istruzione e formazione, sono pilastri fondamentali per una politica efficace di contrasto ad ogni forma di dispersione scolastica, per un vero protagonismo delle nuove generazioni di sardi, quelle che nel prossimo futuro dovranno conquistare sviluppo civile e sociale e una qualificata espansione economica.
A questi, che sono alcuni dei temi programmatici sui quali riflettiamo insieme a tante altre forze politiche democratiche, della solidarietà, della autonomia e dell’autogoverno, si collegano le riflessioni sui “poteri” e sulle “responsabilità”. Quelle riflessioni che accompagnano la nostra idea di una grande “confederazione politica dei sardi”, dai confini precisi sul piano dei valori di libertà e democrazia. Una confederazione, dove soggetti diversi possano convergere per una trasformazione positiva dei rapporti istituzionali, interni ed esterni alla Sardegna, e il definitivo superamento della organizzazione pubblica soffocata nella operatività dai formalismi burocratici, adatti solo ad esercitare una supremazia su persone e comunità, piuttosto che per servirle.
Questo è il nostro punto di vista, da cui partiamo per un rispettoso, libero e fruttuoso confronto.