Il linguaggio tutto italiano, cioè tutto generato dalle vocazioni al conformismo, alla manipolazione e alla ferocia gruppettara che ha attraversato e attraversa la politica italiana, fa presa spesso sul linguaggio politico sardo.
Nei giorni scorsi alcuni esponenti politici sardi hanno tacciato la nostra proposta di “Convergenza nazionale” con il termine ‘ammucchiata’. Un termine volgare, orgiastico, e pertanto coerente con la migliore tradizione estremista italiana. Quanto più un programma è pertinente alla realtà e suggestivo, tanto più chi avverte la vita come vocazione allo scontro perpetuo sente il dovere di aggredirlo e volgarizzarlo.
Noi reagiamo e lo riproponiamo libero dalle deformazioni dei settari e dei violenti.
Noi vogliamo unire i Sardi intorno alla coscienza dei loro diritti, dei loro doveri e dei loro interessi.
Non ci interessa da quali porti partano; non ci interessa in quali appartenenze politico-culturali si siano iscritti o si iscrivano; ci interessa non da dove si arrivi e da dove si parta; ci interessa la convergenza sulla rotta da prendere da ora in poi. Ci interessa la destinazione. Questo ci ha consentito e ci consente di parlare con tutti, senza perimetri precostituiti sulla Destra e la Sinistra italiane.
Ci si faccia una domanda: è vantaggioso per i Sardi schierarsi ancora una volta su frontiere italiane poco ragionate, come sempre si è fatto nella storia?
Facciamoci qualche domanda.
Cappellacci si è prima fidato dei governi Berlusconi e poi ha presentato durissimi ricorsi contro le leggi finanziarie dello Stato sugli accantonamenti. Cappellacci ha concluso i suoi mandati con una consapevolezza maggiore rispetto al principio che non esistono governi amici.
Pigliaru e Paci hanno prima firmato un’intesa sugli accantonamenti fondata sulla fiducia nel Governo Renzi, poi, una volta gabbati, hanno presentato durissimi ricorsi presso la Corte Costituzionale contro i governi Renzi e Gentiloni.
Si possono trarre due conclusioni. Primo: per tutti in Sardegna non esistono più “Governi amici”. Il rapporto con i governi italiani è competitivo. Secondo: la sola forza del mandato elettorale non è sufficiente a battere le prevaricazioni dello Stato italiano. O si produce un governo sardo che abbia dietro una grande capacità di mobilitazione popolare o si è costretti a seguire la strada defatigante dei ricorsi e dei controricorsi.
Faccio un altro esempio: i trasporti. Dalla Giunta Soru alla Giunta Pigliaru passando per Cappellacci, tutti i governi sardi hanno rivendicato poteri di regolazione del mercato oggi fortemente limitati dalle strategie Ue e dai governi italiani. Le differenze sono intercorse sulle strategie tariffarie, ma non sul diritto/dovere dei Sardi di poter decidere su come regolare il settore della mobilità delle persone e delle cose.
Ancora: sulla pressione fiscale ingiusta, indebita e devastante, le forze politiche hanno tutte acquisito una maggiore coscienza della gravità della situazione. La Sardegna non accumula ricchezza da due secoli per una pressione fiscale ingiusta e persecutrice.
Quando i Riformatori costruiscono un orizzonte di partecipazione ampia e senza preclusioni ideologiche sul tema dell’insularità, che cosa stanno cercando di fare se non unire la Sardegna sui propri interessi anziché dividerla prima sulla conta della consistenza delle sue opzioni culturali e politiche?
Com’è che progressisti, liberali e conservatori riescono a dialogare nel comitato per l’insularità e debbono obbligatoriamente dividersi nelle elezioni sarde?
Non sarebbe dunque meglio unirsi su questi temi che dividersi sui giudizi sulla politica italiana?
Noi facciamo questo: animiamo il dialogo della e sulla Nazione Sarda come prioritario su ogni altro. Certo che siamo preoccupati anche noi di rivedere i saluti romani, ma non vorremmo ritrovarci nel clima degli anni Settanta nei quali, anche in Sardegna, in nome della reazione agli estremisti di Destra si doveva diventare tutti estremisti di Sinistra e mentre avveniva questo censimento coatto dei buoni e dei cattivi nessuno, dico nessuno, dei problemi strutturali di libertà e sviluppo della Sardegna trovava uno straccio di soluzione. E d’altra parte, anche in Italia la battaglia democratica contro l’eversione di Destra e di Sinistra non fu vinta dai settari ma dai democratici che rifiutarono la logica dell’obbligatorietà dello scontro.
E dunque, non di ammucchiata si tratta, ma di coesione della Sardegna, di una sua difesa dalle solite parole d’ordine dietro le quali si cela la trappola di posporre la Sardegna ad altri scopi e ad altri interessi. Si tratta di varare una stagione di ricostruzione e di rifondazione della società sarda, della nazione sarda per noi, che passi per il dato più inatteso per l’Italia: l’unità.