In un sistema politico ordinato, quando un partito di maggioranza pone una questione seria, firma un’interrogazione, rilancia sui media un problema, in genere il governo dà una risposta. Invece, in Sardegna si fa spallucce.
Allora chiarisco meglio che cosa significa ammalarsi di diabete in Sardegna, ma chiarisco bene anche che sarebbe opportuno per la Giunta regionale recuperare un minimo di capacità di riflessione, una veloce capacità di correzione di procedure palesemente ingiuste e sbagliate. Se poi si pensa che un partito parli per dare aria ai denti e non sia capace di atti conseguenti alle sue posizioni, si fa un doppio errore: di inesperienza e di sottovalutazione.
Il nostro Augusto Cherchi, ripetutamente in queste settimane, sta spiegando che:
– si sta comprendendo veramente poco quanto il diabete possa influenzare le scelte di politica sanitaria non solo sarda ma globale;
– l’incidenza del diabete nella popolazione generale è più che raddoppiata negli ultimi 25 anni, e la Sardegna con il suo tasso di incidenza più alto al mondo per la fascia 0/14 anni , si prepara a vivere l’esperienza di una popolazione di vecchi diabetici;
– in ogni caso, oggi, in Sardegna sono coinvolte in maniera diretta oltre 100.000 persone e indirettamente 1/4 della popolazione, con una incidenza sul bilancio regionale del 10% come spese dirette, che salgono al 20 % se consideriamo le spese indirette come le astensioni per malattia dal posto di lavoro, i pensionamenti anticipati, le limitazioni e assenze per 104 e quant’altro ancora;
– una cura razionale e puntuale ritarda il più possibile le complicanze che inesorabilmente la malattia genera e che altrettanto inesorabilmente sono più precoci e gravi quanto più la malattia è mal gestita;
– il sistema sanitario sardo limita l’uso dei farmaci certamente più costosi ma altrettanto certamente più affidabili per impedire a lungo termine le complicanze. Un malato diabetico senza complicanze può costare 3000 euro/anno; un malato diabetico con complicanze può arrivare a costarne 35.000/mese se, ad esempio, la nefropatia diabetica lo porta in dialisi.
Il Corriere della Sera ha dedicato ieri uno speciale al diabete, definito «una malattia che costa quanto la manovra finanziaria»: il servizio sanitario italiano spende circa 15 miliardi di euro all’anno; a questi se ne aggiungono altrettanti in costi indiretti (assenza dal lavoro, pensioni), e 4 miliardi pagati dei pazienti.
In questo quadro proviamo a suggerire alla Giunta sarda un esercizio di fantasia.
Immagini la Giunta:
– una madre o un padre che devono svegliare il proprio figlio di 1 anno, o di 2-3-4-5 anni, alle 2-3 di notte per pungergli il dito e controllargli la glicemia per paura delle ipoglicemie che possono uccidere i diabetici nel sonno, quando esiste un dispositivo che solo avvicinandolo al bambino, senza svegliarlo, ti dice come è la sua glicemia (immagini la Giunta come potrebbe cambiare la qualità della vita del bambino e della famiglia tutta);
– una madre o un padre che per paura delle ipoglicemie notturne e per non sottoporre il bambino alla tortura delle punture notturne, preferiscono mandare a letto il piccolo con iperglicemie (che non uccidono subito ma che fanno danni enormi a organi come cuore, rene, occhi, sistema nervoso…) e sperano che le ipoglicemie siano meno frequenti;
– che, pur avendo farmaci che permettono di ridurre il rischio di ipoglicemie, se ne limiti la loro prescrizione, costringendo spesso i medici diabetologi a prescrizioni clandestine con il rischio di incorrere in sanzioni da parte della ATS;
– un servizio sanitario, quale quello sardo, che nell’ottica della prevenzione ti dice che pungerti e misurarti la glicemia circa dieci volte al giorno (prima dei pasti principali – colazione, pranzo e cena-, saltuariamente agli spuntini – metà mattino e pomeriggio-, prima di andare a letto, se devi metterti alla guida della macchina, prima e dopo ogni attività fisica fuori dalla attività routinaria (si pensi ai ragazzi che fanno sport o ai bambini e alla loro attività di gioco), e che si addebita al massimo 4 strisce reattive e le altre 6 al bilancio familiare (costano 1,2 euro l’una, per un totale di 216 euro al mese, un piccolo mutuo);
– la frustrazione di un malato (o di un genitore) che sa che esistono presidi e farmaci che possono migliorare la qualità della vita sua e dei sui familiari, ma sa anche che le istituzioni sarde non permettono loro di accedervi;
– un dispositivo impiantato sottocute che rilascia automaticamente l’insulina a seconda delle necessità, semplicemente seguendo i dati che riceve da un sensore che monitorizza costantemente i livelli di zuccheri nel sangue. ESISTE! Ma in Sardegna, per scelta delle istituzioni sarde – quando diciamo che l’indipendenza è un modo di intendere diverso che permea ogni azione quotidiana – è ancora fantascienza;
– un sistema scolastico che non garantisce la tutela dei bambini/ragazzi che devono controllarsi e automedicarsi (spesso bambini con meno di 14 anni sono costretti a farsi l’insulina da soli perché i genitori non possono assentarsi dal lavoro) o costringere i genitori a continui va e vieni dalla scuola per controllare la glicemia ed eventualmente fare l’insulina.
Ecco, la Giunta immagini tutto questo e corregga la sue determinazioni, non tanto e non solo perché lo chiede il Partito dei Sardi, ma per non fare del male ai sardi. Noi, questo, non lo permetteremo.