Un sito molto frequentato dai docenti universitari ancora militanti della libertà di pensiero ha recentemente pubblicato due inchieste sulla qualità del lavoro nell’Università.
Nella prima ci si chiede se il lavoro del docente possa essere assimilato a quello di un qualunque lavoratore dipendente oppure no.
La risposta, fin nell’occhiello del titolo, è rimasta aperta. Bisognerebbe rispondere NO considerando che «all’accademico è strutturalmente richiesta un’adesione sostanziale alle norme e consuetudini che presiedono al funzionamento del corpo e dell’apparato di riproduzione culturale e sociale di cui è parte, e perché esercita – sempre meno, in verità – una funzione intellettuale non assimilabile ad uno status di lavoro subordinato».
Viceversa si risponderebbe SÌ «a partire dall’evolversi della normativa universitaria, e soprattutto della pratica quotidiana, sempre più sembra attribuire all’accademico un ruolo impiegatizio-burocratico a metà strada tra l’insegnante e il quadro/funzionario pubblico».
Proprio l’inversione gerarchica tra i ruoli accademici e quelli amministrativi (a favore di questi ultimi) è stato uno degli argomenti di discussione nella campagna elettorale del neo rettore dell’Università di Cagliari Francesco Mola, con non pochi docenti impegnati a segnalare all’allora candidato oggi Rettore l’avvenuta subordinazione del corpo docente dell’Ateneo alla struttura amministrativa (cosa visibilissima anche negli stili retorici delle comunicazioni interne dei dirigenti e dei funzionari, che stanno scivolando verso la perentorietà degli ordini ai subordinati).
È in questo contesto che si colloca l’ultimo incarico che i docenti sono chiamati (“devono”) svolgere: la vigilanza “on line” durante i TOLC, ossia i test d’ingresso per la valutazione delle competenze delle matricole.
I TOLC sono dei test elaborati dal CISIA, uno dei tenti titani dell’olimpo ministeriale.
Ai docenti trasformati in temporanei vigilanti si chiede alla p.11 del manuale della guardia (“Procedure e dotazioni Commissioni Aule Virtuali”) che io (che farò il vigilante a settembre) e i miei colleghi guardiani chiediamo ai partecipanti:
– che il candidato collegato da casa mostri col cellulare il proprio viso (e fin qui, tutto chiaro);
– che il candidato collegato da casa mostri «che l’abbigliamento non comprenda indumenti che consentano di nascondere oggetti» e qui le cose non vanno per niente bene, perché io che sono grosso di natura non riesco ad apprezzare neanche cosa siano gli indumenti Slim, non ho l’educazione estetica per le cose aderenti. Tuttavia, il manuale della guardia mi aiuta: sono vietate le felpe con le tasche , le giacche e i giacconi, per cui personalmente potrei trovare diligenti i candidati in canottiera;
– che il candidato mostri l’ambiente circostante che deve essere “silenzioso”, (e fin qui siamo nella ragionevolezza), “privo di altre persone” (e qui siamo nell’ovvio che comunque è sempre meglio esplicitare), “correttamente illuminato” (qui, invece, scivoliamo nel pretenzioso tecnico-percepito che nella mia mente se ne andrà dove deve andare);
– infine il candidato dovrà posizionarsi in modo che i dispositivi inquadrino contemporaneamente il suo volto, la sua attività e la porta d’ingresso della stanza in cui si svolge la prova, in modo che si veda se entra qualcuno (e qui siamo alla scena del crimine, siamo a un livello di sofisticazione che rasenta il sublime).
Serve commentare?
Non credo.
Servirebbe un sommovimento generale nell’università cui non si è più abituati, anestetizzati come si è da carte, burocrazia, scimmiottamenti degli americani e dei loro metodi di travestimento dell’egemonia con la presunta oggettività, da promozioni facili degli studenti per riempirsi le aule (i docenti, e spesso gli organi collegiali, non sanno più dire di no, lasciano questo privilegio agli atenei del Nord, che possono permettersi il lusso di bocciare), dall’appiattimento dei voti sul 30, ma anche da quell’intossicazione che è il reclutamento parentale (niente è più familista dell’università, anzi, forse sì, c’è un altro ambiente, quello dei miei amici magistrati) con il quale i docenti, che sono pagati per essere liberi, si subordinano agli impiegati per non essere sbugiardati.
Da tutto questo è generato il passaggio da docenti a vigilantes.
Che dolore vivere così!
Pensi agli studenti, quelli che hanno sempre studiato per capire senza pensare al voto, poiché non è il voto che rispecchia le capacità reali, sopratutto in facoltà scientifiche… Eppure chi non ha quella media che porterà a concludere il percorso con un voto che sia prossimo al massimo, viene considerato uno studente di basso livello, poco degno del tempo altrui, poco degno di essere considerato.
Ho visto studenti e studentesse accettare voti “non degni”, non sempre derivanti da uno studio poco approfondito (perché ricordiamoci che siamo esseri umani), trattati come nullità…
Questa è l’università, un forno che produce geni da 110L che, più spesso di quanto si possa pensare, sono un insulto a chi davvero ha meritato un riconoscimento simile.
Concordo pienamente con la riflessione di Lucio. Nel corso degli studi universitari ho assistito alla trasformazione di numerosi studenti, usciti miracolosamente dalle superiori con 36-40/60 e altrettanto miracolosamente diventati dei veri e propri fenomeni all’università. Se allora ci fossero state le regole attuali, oggi, forse, non ci sarebbero ottimi laureati e ottimi professionisti. Certamente questa testimonianza non può essere assunta come una legge generale, ma concordo con la necessità, anzi, il dovere dell’istituzione universitaria di dare un’opportunità a tutti, senza barriere all’ingresso ma con una seria selezione da attuarsi nel primo anno o nel biennio.
Credibilità. Credibilità che l’università ha perso. Familiarismo spinto (ed un po’ di massoneria che non guasta), curricula di gruppo (io scrivo un lavoro e lo divido con altri 4 “autori” ciascuno dei quali si sentira’ in dovere di fare lo stesso. Risultato: paghi uno e compri 5), nuovi criteri di arruolamento, accentramento del potere delle scuole di specializzazione, drammatico peggioramento della qualità dei docenti (ho assistito a sessioni di laurea in cui il voto più basso è stato 110/110. Tutti geni!). Ci si meraviglia che conti più un burocrate che un ricercatore?
Lesa maestà !
Gentile Paolo, mi ritorna in mente la “modesta proposta” di Jonathan Swift che per risolvere i problemi della sovrappopolazione e della fame nell’Irlanda del 700 suggeriva di mangiare i bambini. Con un colpo solo li risolveva entrambi. Ridurre la platea degli aventi diritto somministrando un questionario assurdo, che pretende di verificare competenze e conoscenza che la scuola dell’obbligo non da, tanto che le famiglie si sobbarcano l’onere economico e psicologico di mandare i propri figli a seguire corsi supplementari, è una aberrazione in diritto e in logica. La questione è lo scarso livello dei finanziamenti all’università? Basterebbe unificare Cagliari e Sassari, ma so che è impossibile
Io sono convinto che sia abbastanza facile individuare la “location” ideale per risolvere il problema logistico: basta rientrare nell’utero materno. Il che renderebbe anche attuabile e concreto il famoso enunciato “cunn’e mammadùa!”
Caro Lucio, mi trovi assolutamente d’accordo, ma mentre prima il problema era rendere universale un diritto, ora il problema è come ridurre la platea degli aventi diritto.
Scegliere la facoltà è uno dei momenti della vita di un ragazzo tra i piu critici. Si concentrano speranze, aspettative, soddisfazioni e delusioni proprie e di tutta la famiglia. Tutti in casa sono emotivamente coinvolti e per un intero anno, quando gli anni non sono due nel caso di medicina, non si pensa ad altro se non al test.
Secondo me sarebbe più semplice consentire l’iscrizione al primo anno a tutti e al secondo anno solo a coloro che maturano crediti formativi limite (come si diceva un tempo “passare gli esami”)
Cun sa ‘cultura’ elefantíaca de “Ti frego”: primu, unu no est una persona séria mancu po issu etotu, líbberu e responsàbbile comente tocat; segundhu, no dhue at unu solu puntu firmu, seguru, po nemos.
E tandho?… Serbit unu carabbineri (si no dhu pagant is màfias) avatu de donniunu? Po donai unu ‘postu’ a totus?
S’importante est totu a VINCERE e VINCEREMO! Una ‘civiltade’ a ‘economia’ dominante de gherra, cun sa garantzia prus manna chi unu at a fàere su… disocupau, su iscartau, su fuliau, e possibbilidade meda prus pitica chi at a pòdere fàere unu trabballu de profetu chi tocat a ischire fàere.
Est de cust’apesta, pudémia peus de su corona virus, chi tocat a s’iscabbúllere e trebballare po campare cun dignidade in cunditziones umanas, prus po ÈSSERE, no po VINCERE e errichire/AVERE (e is àteros PERDERE e impoberire fintzes de umanidade).
È assurdo. Nessuno parla.