La dispersione scolastica, parola che sa di tecnicismo ma non lo è, la senti sulla pelle e nella pancia ogni volta che entri in una classe.
Perché quel 25,8 per cento di figli di questa terra, di figli nostri, che decide di non darsi la chance della cultura, del sapere, del vivere quotidiano a scuola, in mezzo ai coetanei, è una sconfitta per tutta la società sarda. Abbandona. Abbandona l’unica speranza di un futuro più degno. Sceglie scorciatoie lavorative non sempre sicure, o sceglie di rimanere a casa la mattina, nell’oblio della noia, al sicuro di un letto caldo difficile da lasciare per un mondo un po’ nemico.
Perché? Convinzioni e ragionamenti tra i più disparati: qualcuno perché affoga nelle classi pollaio, quelle con trenta alunni o più, dove la sua personalità, magari un po’ debole, non riesce ad emergere. Ma si può essere forti a 16 anni? E la platea di 30 persone delle classi stipate in aule anguste, è adatta a far crescere in umanità e sapere un ragazzino/a? O forse è facile perdersi se non si è abbastanza sostenuti. Per qualcun altro invece lo studio è inutile, fatica sprecata. Quel mondo cattivo non ha bisogno di lui. Lavoro lì fuori non ce n’è in ogni caso. E lo studio viene visto come spesa eccessiva, fatica sprecata, perdita di tempo. Soprattutto se per raggiungere scuola devi macinare km in pullman, aspettare all’aperto le coincidenze, col caldo e col freddo. Perdere soldi già scarsi in famiglia. Sacrifici. Disagi materiali. E disagi morali. Scarso e incerto è il premio promesso.
C’è poi la sete di conoscere, invece, ciò che ci sta vicino, ma gli strumenti per farlo son pochi. E forse anche il problema di studiare e parlare in una lingua che non sempre è quella spontanea parlata a casa. Chissà. E poi, inutile dirlo, ci vuole lui/lei: quel docente che cerca di tirarti per i ciuffi, portarti sulla sua barca: quella dell’importanza del sapere, della cultura, del titolo scolastico. Che senza neanche quello, il domani che sembra lontano ma non lo è, sarà ancora più arcigno e con nessuna opportunità.
La soluzione non è mai stata cercata dalla politica. Non può essere una legge sull’istruzione costruita per una città come Milano che può risolvere i problemi della scuola sarda. Non possono essere i tagli di personale e gli accorpamenti di classi e scuole che cureranno le ferite dell’anima dei nostri ragazzi. Non saranno le magiche Lim, le lavagne interattive multimediali, a risolvere la didattica e soprattutto l’apprendimento degli studenti sardi. Non basta.
Le soluzioni sono invece in uno studio serio del problema, nel toccarlo con mano, nel consultare chi nella scuola opera, chi nella scuola studia. La soluzione è nel potenziamento delle singole e piccole realtà. Chiediamolo agli insegnanti e agli studenti di cosa hanno davvero bisogno. Il resto sono chiacchiere sterili. E la scuola, invece, ha bisogno di risorse e di cuore.
Silvia Galleri
Condivido perfettamente il pensiero di Silvia, ma il nostro ministro chiacchera bene ma…
Se tutto è legato al risparmio indiscriminato e si inizia per primo dalla scuola, possiamo fare solo allevamento in “batteria”… e i polli, se possono, scappano… e poi finanziano progetti del piffero contro la dispersione!
Condivido perfettamente il pensiero di Silvia, peccato che il nostro ministero” chiacchiera bene ma razzola molto male” ma “CHI CE LI HA MANDATI AL MIUR”? Penso a tutti i soldi sprecati in progetti mirabolanti e poi un bell’accorpamento e vai… con “l’allevamento in batteria”!
Ho letto con piacere trovandolo decisamente corretto. Vorrei aggiungere che comunque sono convinto che il cuore e la passione siano fondamentali.., ma altrettanto determinanti sono la pianificazione strategica di una scuola a “servizio”della vocazione di un territorio, quindi presidi della conoscenza di un territorio che con questo dialoghi e consenta anche ai ragazzi più disagiati di ritrovarsi in un percorso di formazione che gli faccia capire le sue origini, legate a quel territorio, che gli consenta di prepararsi in modo congruente con le necessità e le richieste di quel territorio, capace di progettare il suo futuro con cognizione e competenze. Ecco credo a distretti scolastici integrati progettati e realizzati con le vocazioni, con le reali possibilità di sviluppo, allora forse ci sarà minor dispersione. Perché si crede solo alle “cose credibili”, quelle che parlano con la realtà, non ai piani calati e realizzati “altrove”.