Come in ogni fase della politica italiana, è iniziata la macelleria morale spacciata per cronaca.
Oggi i quotidiani scandagliano la vita privata di Draghi, ricordano che il portavoce di Conte, Rocco Casalino, rimarrà senza mestiere, raccontano dei tanti Cinquestelle senza mestiere, ricordano tutto il ricordabile di tutti, compreso un video di una telefonata ignobile di Cossiga ecc. ecc.
È lo schema poliziesco applicato in politica: se emerge qualcuno, si guarda il dossier, il casellario giudiziario, per scoprire debolezze, vizi, punti di forza e punti di debolezza. Il risultato è sempre lo stesso: non ci sono uomini perfetti. Ma guarda un po’!
È l’Italia: se diventi un personaggio pubblico, non si sa per quale regola, non si giudicano i tuoi atti e le tue capacità pubblici, ma i giornalisti e gli avversari sono legittimati a cercarti la mamma, le sorelle, i fratelli, gli amici, le mutande ecc. È il giornalismo alla Goebbels, il giornalismo degli estremi che ormai ha conquistato il centro.
Risultato? Tutte le vacche sono grigie, perché l’uomo è sempre imperfetto e nessuno è esente da errori. Nessuna eccellenza: tutti mediocri.
È la cronaca regolata dall’invidia sociale, direbbe Luca Ricolfi, o dalla faziosità, e il giornalismo italiano è vergognosamente fazioso (quasi quanto quello inglese, americano e francese). Sembra ci sia un gran bisogno di far polpette, di negare le differenze, come pure di affermare che si ha sempre ragione, che la propria tesi è la migliore punto e basta.
La seconda conseguenza del macinato giornalistico è la persecuzione dei vinti.
Una regola aurea che si impara da piccoli è non lasciare mai conti in sospeso.
Le strade per applicarla sono tre.
Quella dei banditi, che uccidono.
Quella dei buoni, che perdonano i torti, scontano le proprie colpe in silenzio e si allontanano.
Quella dei politici italiani: annientare l’avversario. Il politico classico italiota ritiene pericoloso l’avversario che sopravvive alla sconfitta e quindi tende a non lasciargli via d’uscita, a annichilirlo, a annullarlo.
Il risultato è una semina di rancore che si radica in ogni terreno, compresi i più rocciosi. Bettini e Zingaretti hanno cercato di annientare Renzi, sono stati serviti, ma adesso Renzi ha bisogno come dell’aria di qualcuno che lo perdoni e Zingaretti ha bisogno di qualcuno che lo sottragga ai ruoli politici e lo promuova in ruoli istituzionali (che svolgerebbe meglio dello sgomitante avvelenante Orlando).
Conte ha cercato prima di fare melina e poi di fare un atto di forza reclutando i responsabili e ha perso. Adesso c’è chi lo vorrebbe umiliare, chi lo vorrebbe veder rinculare in un giorno sulla cattedra universitaria e poi ingrigire e spegnersi nel rimpianto.
E poi c’è ancora Zingaretti che non è ha azzeccata una e che molti adesso vorrebbero veder processato in un congresso alla comunista, dove non solo ti sconfiggono ma ti pelano e ti annientano.
Ci sono altre strade da percorrere. Chi ha avuto responsabilità politiche e di Stato ed è stato sconfitto non va umiliato, perché diventa un brutto conto in sospeso, va invece utilizzato in funzioni istituzionali dove non fa più l’uomo di parte ma è costretto dal ruolo a fare l’uomo di Stato.
L’Italia si avvantaggerebbe di un ruolo di Conte in Europa? Ma certo che sì! Di Maio deve tornare a vendere bibite allo stadio? Ma certo che no! Ma non deve essere un’eccezione, deve diventare una regola, deve diventare l’antidoto al rancore. Invece, in Italia, si gode da matti a vedere i potenti sprofondare nella polvere, senza badare ai fiumi carsici di vendetta che di conseguenza attraversano i rapporti sociali.
È una malattia culturale e morale con origini antiche e interpreti sempre nuovi che rende difficile l’interpretazione del mandato di Mattarella a Draghi.
Il Presidente della Repubblica ha dato l’incarico a Draghi con una mossa ardita sotto il profilo politico: provare a fare nascere un governo di Stato che aiuti l’Italia a ristrutturarsi istituzionalmente e politicamente. Mica facile, ma certo non lo si realizza con logiche da macello linciaggesco.