da Pastore Studiato Sardo
Caro Paolo, leggo da tempo ciò che scrivi e ho deciso di dare il mio contributo. Tuttavia, come sai, il mondo delle campagne è anche il mondo delle gelosie e io ho moglie e figli e devo tirare a campare, per cui mi firmo per quello che sono e non per come mi chiamo. Io mi sento un Pastore Studiato Sardo e ti scrivo perché in tanti sappiamo come produrre ricchezza dal latte, ma non sappiamo come liberarci da Su Connottu. Ma ora, parliamo di soldi.
Dove siamo L’agricoltura e l’allevamento sono fondamentali per ogni nazione, e lo sono non solo in termini sociali e di presidio del territorio come spesso si legge, relegando l’agricoltore e l’allevatore a un ruolo di manutentore e custode del paesaggio. Questa funzione è certo importante ma non sostituisce, bensì integra il suo ruolo fondamentale che è quello di produrre cibo per la popolazione. Agricoltura e allevamento devono generare in primo luogo prodotti agricoli ed agroalimentari sicuri, realizzati in maniera sostenibile e rispettosi dell’ambiente e delle risorse naturali.
La sostenibilità e i nuovi mercati La sostenibilità va però misurata anche dal punto di vista economico e reddituale: la sostenibilità economica dell’agricoltura sarda è la capacità di creare valore per chi la realizza e di remuerare i diversi fattori produttivi lungo la filiera. Oggi non sempre questo accade e la cosiddetta crisi dell’agricoltura e dell’allevamento, quella per la quale anche oggi si scende in piazza, in Sardegna evidenzia una ciclica non sostenibilità economica. Ma come vedremo ci sono molti controsensi su questo tema, minacce ed opportunità si confrontano in un settore che è fondamentale per il nostro futuro.
La popolazione del mondo cresce, migliora i suoi standard di vita e migliora la sua dieta ricercando continuamente prodotti di migliore qualità nutrizionale.
La Sardegna può e deve avere una agricoltura moderna e giocare un ruolo in questo mercato con l’obiettivo di creare valore e sviluppo per i suoi produttori agricoli e per tutti i sardi.
Un agricoltura non assistita ma basata su moderne imprese organizzate in filiere orientate al mercato in grado di cogliere le opportunità che il mercato offre.
Vi sono settori nei quali la Sardegna è importatrice netta (ortofrutta e carni ad esempio), in virtù dei quali, dunque, anche la domanda interna rappresenta un’opportunità di sviluppo durevole.
Altri sono settori nei quali la Sardegna è invece storicamente esportatrice netta come il settore lattiero caseario, sia vaccino, sia ovicaprino.
La domanda interna di prodotti lattiero caseari è in contrazione ed è necessaria una profonda spinta di innovazione per conquistare il consumatore maturo (europeo o nord americano per intenderci). Non tutti i diversi prodotti lattiero caseari attraversano un calo dei consumi: ve ne sono diversi con forte connotazione di innovazione che sono in crescita anche nel mercato nazionale ed europeo ed è su questi che occorre puntare.
Ma l’innovazione non si compra al supermercato ed è frutto della messa a valore delle migliori conoscenze che abbiamo: imprese e mondo accademico dovrebbero lavorare stabilmente su questo obiettivo e non ricordarsi l’uno dell’altro solo occasionalmente e quando c’è bisogno. È necessario rifondare un centro di innovazione nel settore lattiero caseario in Sardegna, non spendendo un euro in più di quello investito oggi ma concentrando gli obiettivi e promuovendo una stabile collaborazione e sinergia tra imprese e mondo accademico regionale.
Particolarmente dinamica è invece la domanda di prodotti lattiero caseari da parte delle nuove economie: il continente asiatico è un esempio ma non il solo.
Per intercettare questa domanda, che sarà durevole nel tempo, occorre una nuova organizzazione delle filiere e occorrono come sempre nuove competenze.
Se non fosse chiaro a tutti l’interesse del continente asiatico per i prodotti lattiero caseari della Sardegna per ora lo misuriamo dal nuovo Socio cinese della Alimenta di Macomer e dallo sviluppo commerciale di Arborea in gran parte verso il continente asiatico.
Tutti i grandi Paesi produttori ed esportatori di prodotti lattiero caseari guardano all’Asia cosi come al Medio Oriente. La domanda internazionale di prodotti lattiero caseari non è indistinta: il consumatore cerca prodotti di qualità, con valori nutrizionali distintivi, con forte garanzia di sicurezza alimentare e con connotazione territoriale specifica. Le nostro produzioni possono giocare un ruolo se adeguate rispetto alla nuova domanda emergente.
I nuovi agricoltori e allevatori devono viaggiare Ma chi deve essere il protagonista nella gestione di aziende e filiere in Sardegna in grado di creare valore e sviluppo diffuso?
Un imprenditore agricolo e zootecnico moderno in primis. Al centro dello sviluppo di questa agricoltura vi deve essere il capitale umano di chi vi opera. Per porre le basi per questa Agricoltura Sarda occorre selezionare e formare una nuova classe di giovani imprenditori agricoli e zootecnici, farli viaggiare e far loro conoscere le altre realtà agricole avanzate, interconnetterli al mondo e ai mercati, dotarli delle migliori tecnologie ma soprattutto fare loro conoscere le migliori prassi esistenti.
Occorre lavorare prima di tutto sulle risorse umane in agricoltura e zootecnia.
Il passaggio generazionale tra attuali proprietari di azienda agricola e di allevamento (con età medio alta) e i loro figli ed eredi non deve incentrarsi solo sui contributi a fondo perduto, ma su un percorso di formazione e di impostazione di una strategia di benessere non solo degli animali ma di chi li conduce e li alleva. È un’agricoltura basata sull’innovazione e che vede un imprenditore orgoglioso del suo ruolo e del suo inserimento nella società moderna. Deve essere un’agricoltura attrattiva anche per chi non vi ha mai operato o vuole anche solo investire in questo settore. Il giovane agricoltore deve potersi sentire orgoglioso del proprio lavoro ed apprezzato dal resto della comunità. Oggi purtroppo non sempre è cosi.
Le filiere di questa nuova agricoltura devono essere organizzate con meno operatori, promuovendo una crescita dimensionale delle imprese di trasformazione e commercializzazione. I nuovi mercati e la domanda di prodotti innovativi non si approcciano con una dimensione economica piccola e con un basso livello di organizzazione, capitalizzazione e conoscenza.
Il pilastro economico e sociale dell’agricoltura sarda è l’allevamento, e in particolare quello ovicaprino che sta attraversando una crisi congiunturale dovuta al basso prezzo del pecorino romano nei mercati. Tutto il settore lattiero caseario in tutto il mondo è caratterizzato da volatilità dei prezzi a causa di momenti (semestri, anni) di squilibrio tra domanda e offerta. In certi casi la domanda cala (vedi la riduzione degli acquisti della Cina di latte in polvere del 2015), in certi casi l’offerta aumenta e questo è il caso dell’attuale ciclo inflattivo del formaggio sardo più venduto nel mondo.
Questa volatilità caratterizza e caratterizzerà i mercati lattiero caseari in futuro e questi cicli si ripresenteranno. Occorre prenderne atto e utilizzare alcuni strumenti che possono aiutare e contenere questo rischio.
Occorre essere consapevoli che il mercato è l’unico giudice e che non ci sono e non ci saranno risorse pubbliche in grado di contrastare le dinamiche di mercato.
Basta con le distribuzioni a pioggia Le poche risorse pubbliche dissipate in queste settimane con provvedimenti confusi e di distribuzione a pioggia nel settore ovicaprino in Sardegna sono un esempio. Ed a dirlo sono i pastori che rifiutano, a fronte dell’enormità del conto che il mercato gli ha presentato, i pochi centesimi che forse arriveranno (scontandoli faticosamente dal de minimis intaccato anche dal ricorso al credito).
Il primo strumento utile per gestire la volatilità è la conoscenza dei mercati: occorre investire nel monitoraggio delle dinamiche di mercato, seguirne le fluttuazioni ed informare gli operatori. In occasione della recente crisi del Pecorino Romano, il più grave a mio parere degli errori è stato che non si è avuto il coraggio di dire la verità ai produttori di base. La conflittualità dei mesi scorsi sull’interpretazione dei dati produttivi e di vendita o sulla assenza di dati è stata completamente inutile e non costruttiva. Ai produttori di latte non sono stati fornite chiare ed univoche interpretazioni di quanto era successo: nessuna speculazione ma solo uno squilibrio tra produzione e domanda di Pecorino Romano che ha trascinato in basso il prezzo del latte ovino in Sardegna.
Purtroppo a fronte di una maggiore produzione di latte ovino in Sardegna delle ultime due campagne, l’unica destinazione è stata il Pecorino Romano senza alcuna diversificazione di mercato e di prodotto. Ecco la prima contraddizione: il mercato globale richiede e richiederà sempre più prodotti lattiero caseari: grassi e proteine del latte sono ricercati oggi e lo saranno in futuro con una proiezione della popolazione globale a 9 miliardi di abitanti nel 2050. Pensiamo ad esempio al burro che proprio quest’anno ha raggiunto livelli di prezzi altissimi (+94% rispetto al 2016), a seguito di una riscoperta dei consumi sia nei Paesi maturi che nelle economie emergenti.
Le eccedenze e il prezzo Eccedenze o carenze? Crisi o opportunità? Qual è stato il pensiero alto su questi temi in Sardegna?
Il problema sempre discusso è quello della mancanza di diversificazione nelle produzioni lattiero casearie ovine sarde. Vi sono opportunità dai mercati lattiero caseari ma non siamo in grado di coglierle perché quello che sappiamo fare – il Pecorino Romano – non è l’unico prodotto che viene richiesto dai mercati e la sua domanda attuale non può assorbire tutta la produzione lattiera regionale.
Occorre pertanto ripensare, partendo da questa crisi, l’organizzazione della filiera, creando le condizioni affinché si operi una vera diversificazione delle produzioni lattiere evitando in futuro che a fronte di crescite – auspicate – di produzione di latte ovino in Sardegna, queste non vadano a creare eccedenza di Pecorino Romano come accaduto nelle ultime due campagne. Questo dovrebbe essere il compito della politica: pensare nuove regole e nuovi orizzonti di organizzazione del sistema produttivo, non tanto cercare voti con i piccoli e i grandi favori di un tempo. Non ci sono più gonzi in giro che abboccano alla ‘cortesia’ del politico di turno. Quelli che aggiustano tutto sul momento per sfasciare tutto in prospettiva non ci paicciono.
Cose nuove da fare Provo a elencare su quali basi rifondare la filiera lattiero casearia in Sardegna
- Conoscenza dei mercati: esiste un osservatorio dei mercati lattiero caseari a livello dell’Unione Europea: funziona bene ed è il primo strumento che l’UE ha messo in campo a fronte della crisi del prezzo del latte degli anni passati. Chiediamo all’UE di estenderlo anche alle produzioni ovicaprine ad esempio. Miglioriamo la conoscenza dei mercati interconnettendoci con gli altri Paesi produttori. Queste informazioni devono essere facilmente fruibili dagli operatori e non patrimonio di pochi. Occorre diffondere la conoscenza e non difenderla.
- Riorganizzazione delle filiere attraverso una crescita della dimensione economica degli operatori e una loro concentrazione: ci torno nuovamente ma la dimensione economica conta. Decine di operatori di trasformazione non porranno mai le basi per una diversificazione di prodotto e di mercato del latte ovino in Sardegna. Impianti, tecnologie e risorse umane qualificate per valorizzare il latte prodotto in Sardegna necessitano di una dimensione economica adeguata: fusioni tra imprese esistenti e creazione di nuovi operatori con chiare idee di cosa e dove produrre e per affrontare quali mercati. Ci serve un master plan per la filiera lattiero casearia in Sardegna. Questo andrebbe finanziato con i 12 milioni di euro che stiamo dissipando a pioggia con il de minimis.
- Miglioramento dell’efficienza nella produzione del latte alla stalla: anche quella dell’allevamento ovino da latte è una attività economica come tutte le altre in agricoltura e la crescita e lo sviluppo passano attraverso un miglioramento della redditività che non si crea solo dal prezzo del latte. In altri grandi paesi produttori di latte ovino si cresce in produttività per capo, in razionalizzazione dei costi, in riduzione del lavoro fisico ed in automazione ed efficienza.
- Una politica di valorizzazione delle produzioni basata su un concetto di Sardegna unico brand veramente attrattivo per i nostri prodotti agroalimentari. Lo hanno capito le grandi aziende come Heineken che con Ichnusa pone al centro della sua comunicazione il territorio nel quale questa viene prodotta comunicando al consumatore moderno in maniera innovativa tutti gli elementi fondanti della nostra cultura e del territorio.
È sufficiente? Forse no, ma volevo dimostrare che essermi laureato ed essere tornato in campagna qualcosa ha comportato: non sono stupido, capisco, capisco il mondo, capisco cosa serve per fare soldi, e capisco anche chi non ha più niente da dirmi. Un abbraccio a te e famiglia
Invece siamo ancora ai riti delle assistenze e dei soccorsi contingenti che in realtà costano cifre non indifferenti (50 milioni per 15000 aziende!). Risorse che sarebbe meglio utilizzare come strumenti premianti, opportuni indirizzi di politica industriale, per stimolare cooperazione e crescita aziendale e manageriale. Oltre ad un più attento orientamento al mercato, cominciando a premiare chi esce dalla monoproduzione di un formaggio da grattugia sardo venduto sotto nome istranzu che ci ha fatto sprecare cent’anni di promozione del ‘Made in Sardinia’. E lasciando al suo destino chi vuole continuare pratiche arcaiche pensando che la regione Sardegna (vedi il contribuente sardo) sia un’assicurazione contro le fluttuazioni del prezzo del latte e le avversità naturali…
Son d’accordo quasi su tutto, ma approfondisco qualche aspetto sulla base dell’esperienza personale di manager in una azienda alimentare.
La politica e le istituzioni devono stare fuori dalle logiche che riguardano il libero mercato. Non può e non deve esistere l’intervento per il salvataggio di privati, anche se purtroppo appartenenti a settori economici fondamentali per il territorio. Potrebbe sembrare meschino, ma il mercato già da se premia qualità e innovazione, tagliando fuori chi continua a voler lavorare in maniera arcaica e poco competitiva. La politica e le istituzioni devono invece utilizzare i fondi predisposti per facilitare l’impresa senza “dopparla”. Creazione di infrastrutture, promozione del territorio e dell’associazionismo, ricerca scientifica e formazione di professionisti al servizio dell’economia reale. È vero, ci sono aziende che promuovono un prodotto legato alla Sardegna, ma basta uscire dai confini italiani per capire che la Sardegna non si sa dove sia e non si riesce a legare a nessun prodotto alimentare o ad una qualche eccellenza. Se non esistiamo non possiamo nemmeno “venderci”.
Il mercato non è a crescita illimitata. Come per ogni cosa anche in economia un prodotto tende a saturare il mercato fino alla sua stagnazione. Quindi se si vuole sopravvivere come piccola comunità in un piccolo territorio ma protagonista nel mondo, bisogna chiedersi cosa possiamo offrire. Grandi quantità a prezzi competitivi per i mercati emergenti o piccole quantità di altissima eccellenza a prezzi riservati ad una elite di nuovi consumatori? In questa fase non servono grandi master plan o studi per strategie complesse, serve solo capire prima di tutto quale è l’obiettivo da raggiungere, perché personalmente non mi sembra che ne i governanti e ne i produttori l’abbiano ancora definito e condiviso. I posti di lavoro e la ricchezza sono la conseguenza, non il fine. Altrimenti si rischiano le conseguenze di un nuovo piano di rinascita stile anni 60…
Complimenti. Sulla “Riorganizzazione delle filiere attraverso una crescita della dimensione economica degli operatori e una loro concentrazione”: ritengo che dipenda da noi. La politica può aiutare ma, essendo di fatto espressione della nostra stessa cultura, il primo vero intervento è sulla “educazione alla collaborazione, cosa che guarda un po nel “su connottu” era la base… forse se riuscissimo a riviverla in chiave modernacon vere cooperative ad esempio….
Ci vogliono come hai scritto: Impianti, tecnologie e risorse umane qualificate per valorizzare “fusioni tra imprese esistenti e creazione di nuovi operatori con chiare idee di cosa e dove produrre”
Bellissima analisi propositiva
a vedere quel che scrivi non solo sei “studiato”, non solo non sei stupido, ma direi che sei anche intelligente e sveglio (il che, per uno “studiato”, può non essere scontato).
se la media della cultura agricola sarda fosse – anche solo un pò – vicina al tuo pensiero non dovremmo periodicamente vivere questo dramma delle campagne.
ti contesto solo una cosa: per essere veramente attrattivo il brand “Sardegna” è ancora purtroppo misconosciuto, a quanto mi risulta; è il brand “Italia” che all’ estero soverchia il nostro, quindi c’ è molto da lavorare su questo fronte.
se lo spirito e la consapevolezza saranno sempre più vicini al tuo standard c’è da ben sperare